Goffredo Fofi: sono nato scemo, morirò cretino

7 Luglio 2022

Tutte le mattine, da ben più di mezzo secolo, Goffredo Fofi si alza a ore antelucane e scrive uno o due articoli. Fino a che era possibile pestava le dita sulle Olivetti elettroniche, poi si è dovuto rassegnare al più silenzioso PC. Impossibile provare a ricostruire una bibliografia davanti a una produzione sterminata. L’ultimo tentativo lo aveva fatto, in occasione dei 60 anni del nostro, Giuseppe Fonseca, ma è passato un quarto di secolo e il ritmo non accenna a diminuire. Due libri usciti da poco invitano a fare un bilancio sul suo ruolo nella cultura e nella società italiana: Caro agli dèi (E/O), una serie di ritratti di amici e sodali morti in genere giovani, e Sono nato scemo, morirò cretino. Scritti 1956-2021 (Minimum Fax), una ricca antologia curata dallo studioso di cinema, amico e allievo, Emiliano Morreale.

Il punto è che Fofi, se da un lato ha le carte in regola per essere considerato un “grande vecchio” che ha col tempo tentato di diventare saggio, dall’altro ha nell’impazienza e nella curiosità le caratteristiche che meglio lo definiscono. Un impeto giovanile che ancora lo muove alla ricerca di libri, film, spettacoli teatrali, graphic novel e molto altro, ma soprattutto persone che vale la pena conoscere e far conoscere. In lui, a differenza della quasi totalità degli uomini di cultura, non c’è distanza tra il libro e la vita. Morreale, nell’introduzione del libro che deve il suo titolo a un couplet di Nino Taranto, paragona Fofi a due divoratori di cultura e insigni critici come Mario Praz e Alberto Arbasino.

Ci sono punti di contatti, ma Fofi, a differenza dei due, è un caso rarissimo di intellettuale militante di provenienza non borghese e che da questa posizione è stato forse il primo a rivalutare la cultura popolare: non solo l’amato Totò, ma Maciste, la fantascienza, l’avanspettacolo o il fumetto. Il percorso culturale di Fofi può essere seguito percorrendo due strade: o ricordando le riviste a cui ha collaborato, fondato o diretto: ‘Positif’, ‘Quaderni Piacentini’, ‘Ombre rosse’, ‘Linea d’Ombra’, ‘Dove sta Zazà’, ‘Lo Straniero’, ‘Gli Asini’ (che ha appena raggiunto i 100 numeri); oppure i luoghi dove ha vissuto: la natìa Gubbio, la Sicilia dove raggiunse Danilo Dolci nel 1956, Roma, Torino (a cui è legato il libro a cui tiene di più: L’immigrazione meridionale a Torino), Parigi, Napoli, Milano, e poi di nuovo Napoli e Roma, intervallati da spostamenti frequentissimi (fondamentale per lui vivere vicino a una stazione) che l’amico Piergiorgio Giacché definì per celia “il complesso di Chiappucci”, riferendosi a un ciclista popolare negli anni ‘90.

C’è una terza strada per seguire la biografia culturale di Fofi ed è quella di ripercorrere gli incontri con i suoi maestri: Aldo Capitini (il pacifismo), Angela Zucconi (l’inchiesta sociale), Raniero Panzieri (il socialismo non dogmatico), Elsa Morante (l’attenzione ‘creaturale’), l’ingombrante Franco Fortini (l’uso o l’abuso del carisma), a cui si possono aggiungere punti di riferimento come Manlio Rossi Doria, Rocco Mazzarone, Ada Gobetti e altre donne da cui ha appreso molto, come scrive nell’introduzione di Caro agli dèi. È un elenco incompleto e bisogna fare almeno un altro nome: Elio Vittorini, modello imprescindibile per chi ha fatto cultura attraverso le riviste nel secondo Novecento.

Altre caratteristiche si ritrovano in un diario del 1960, ampiamente antologizzato da Morreale: l’attrazione verso le minoranze, il gusto per gli spettacoli popolari, il cinema e la letteratura come abitudine quotidiana, l’eredità famigliare. Dalla mamma direi che ha preso la tenacia, il lavoro giorno per giorno, mentre “il babbo, iroso e umorale (...) quanti difetti mi ha passato”. Fofi raggiunge i genitori a Parigi dove recupera, nei cinema d’essai, tutta la storia del cinema e vive in diretta la rivoluzione della Nouvelle Vague. A quel punto, dopo aver imparato a fare inchiesta nell’esperienza in Sicilia, fin troppo intensa nel periodo di Cortile Cascino, e averla messa a frutto a Torino in un libro che provocò una spaccatura all’interno dell’Einaudi, torna in Italia nella seconda metà degli anni Sessanta.

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Scrive soprattutto di cinema, collegandolo nelle sue recensioni alle trasformazioni in atto nella società. Il risultato è Il cinema italiano: servi e padroni (Feltrinelli, 1971). Pagine che risultano un po’ invecchiate sul versante dall’analisi dei singoli film (lo stesso Fofi su Fellini, ad esempio, ha cambiato idea), ma che valgono ancora nella denuncia della supposta superiorità morale del nostro cinema impegnato, fonte di equivoci e brutte opere. Il decennio del lungo Sessantotto Fofi lo vive da fratello maggiore e, pur impegnato in Lotta Continua, continua a dividersi tra politica e cultura. È significativo, per comprenderne le posizioni, l’adesione convinta allo sforzo di Elsa Morante di scrivere con La storia un libro per tutti, e il rifiuto delle Città invisibili di Italo Calvino che risultano un raffinatissimo gioco letterario ma non è quello che il critico vorrebbe dallo scrittore ligure in quel momento storico.

Le potenzialità inespresse di quelle trasformazioni sociali, in ogni caso avvenute, si colgono nei ricordi di Maurizio Flores d’Arcais e di Marco Lombardo-Radice. Il lascito di quella generazione Fofi lo andrà cercare negli anni successivi tra gli operatori sociali più aperti, tra i preti coraggiosi e tra gli educatori più aggiornati, mai rassegnandosi a un ritorno all’ordine. 

‘Linea d’Ombra’ fondata a Milano nel 1983, corrisponde, all’acquisita maturità per Fofi. È un momento di ripiegamento per la Nuova sinistra, una generazione di grandi scrittori sta lasciando la scena senza essere rimpiazzata, l’intera società sta andando da un’altra parte. La rivista ha il merito primario di riunire i non rassegnati e, tra le altre cose, di scoprire per prima la letteratura delle ex colonie, di trovare nuove forme di narrazione al di fuori del romanzo, di segnalare nuovi talenti in diversi campi espressivi, a partire dalle illustrazioni delle bellissime copertine.

Sono anche gli anni del crollo del comunismo che per la rivista non significa la fine della lotta di classe, ma la ricerca di nuovi esempi, nuove strade da imboccare. C’è anche una maggiore autorevolezza di Fofi, che non ha mai smesso di imparare dagli incontri della vita, come osservatore della società. Ne danno conto le stroncature di Bertolucci, Veltroni, Arbore, Scalfari, Benigni, qui antologizzate, ma molti altri sono stati oggetto di “plausi e botte”. In alcuni casi seguono riconciliazioni. Ricordo che quando Olmi girò Il mestiere delle armi, dopo una serie di film di qualità inferiore rispetto ai primi, Fofi voleva dargli un premio come miglior esordiente di quell’anno.

Innumerevoli poi i litigi (“di Parma e Piacenza, possiamo farne senza”) e gli armistizi con Bernardo Bertolucci e Marco Bellocchio. Il tratto comune di queste critiche è il rifiuto del midcult, la categoria individuata da Dwight MacDonald per definire la paccottiglia culturale ammantata in vesti solenni (Benigni che riduce la Shoah a un’occasione per spargere buoni sentimenti, per fare un solo esempio). Molte belle risultano le pagine dedicate all’osservazione delle trasformazioni del costume: l’ossessione italiana per il cibo, il ballo, l’umanità colta sui treni oppure chi si incontra sulla metropolitana di Roma alle sei del mattino.

Fofi è un non riconciliato, a volte il disprezzo per il presente risulta un po’ meccanico, ma è sempre attento a distinguere tra produzione culturale (sempre esigua, da cogliere ai margini della vita collettiva) e consumi culturali che è quello che oggi si intende solitamente per cultura: i festival, i bestseller, oppure l’aggiornamento tecnologico della scuola in cui si confondono i mezzi con i fini. Si leggono con commozione i ricordi di amici come Luca Rastello e Alessandro Leogrande, esempi fulgidi perché impegnati a incidere nel proprio tempo. Per finire un consiglio: Fofi è uno dei pochi a conoscere l’Italia quasi palmo a palmo: sarebbe utile riunire i suoi scritti in un’antologia secondo un criterio geografico. Ne risulterebbe una mappa in grado di spiegare molte cose sul nostro Paese.

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