Questo amore è una camera a gaslighting

15 Novembre 2024

Gaslighting è tra le parole più chiacchierate e usate del nuovo millennio, non sempre a proposito. Che il gaslighting sia una forma di manipolazione ce lo hanno spiegato i reel sui social, gli approfondimenti psicologici sui disturbi della personalità e anche i giornalisti e gli editoriali, ma non sempre si hanno le idee chiare su cosa realmente significhi, e cosa implichi. Non è un caso che nel 2022 sia stata nominata parola dell’anno dal dizionario americano online Merriam-Webster, con questa motivazione: «Nell’era della disinformazione e delle fake news, delle teorie cospirative, dei troll di Twitter e dei deep-fake, gaslighting è emersa come una parola identificativa del nostro tempo. Trasmettendo il dubbio e la sfiducia, il gaslighting è “l’atto o la pratica di ingannare completamente qualcuno, soprattutto a proprio vantaggio”».

E se oggi troviamo il termine spesso associato al comportamento tossico e nocivo all’interno di una relazione – esemplificato dalla locuzione “sei pazza?” quando bisogna nascondere un tradimento che invece è stato scoperto – il gaslighting contiene implicazioni che sono molto più ampie di così. I significati sono infatti complessi e stratificati, affondano le radici in una tradizione culturale molto antica e dai risvolti inaspettati. Lo spiega benissimo la scrittrice e saggista Hélène Frappat nel saggio Gaslighting, contro la manipolazione, pubblicato in Italia da Neri Pozza nella traduzione di Marina Visentin.

Frappat per questa parola ha sempre avuto una forte fascinazione, a partire dal film da cui prende il nome: Gaslight di George Cukor, del 1944, con Ingrid Bergman, candidato a sette oscar e, all’epoca, un grande successo di critica e botteghino. Il film, che a sua volta riprende l’opera teatrale Gas Light di Patrick Hamilton del 1938, vede Ingrid Bergman nel ruolo di Paula, una cantante d’opera giovanissima che, alla morte di sua zia Alice, anch’essa cantante, ne diviene erede. Si sposa quindi con Gregory, un impostore già sposato che mira solo a recuperare il fantomatico tesoro in gioielli della zia, e, per farlo, sottopone Paula a un lento e inesorabile processo che Frappat definisce di svaporamento. Gregory mira a far perdere la lucidità a Paula, a farla dubitare di sé stessa e delle proprie capacità mentali, così da poterla ingannare meglio. Gaslight fa riferimento al primo dei trucchi che Gregory mette in atto per confondere la consorte: abbassa e alza l’intensità dei lumi a gas della casa e poi nega di averlo fatto, in modo da instillare nella donna il dubbio sulle proprie percezioni. Da qui in poi è un’escalation: Gregory le regala una spilla e le dice di custodirla nella sua borsetta, ma mentre ve la ripone la sottrae, in modo da confondere ancora di più la vittima che non è più in grado di ritrovarla; fa sparire dei quadri alle pareti e corrompe i domestici affinché mantengano la signora isolata e in preda al dubbio.

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Quello che Gregory instilla in Paula è l’idea di non essere sana di mente, ribaltando la situazione dicendole che è lui a essere vittima di un matrimonio con una pazza.

Ottiene questo risultato seguendo un agghiacciante protocollo che diventa comune denominatore di ogni manipolazione ben riuscita. Il primo passo è isolare Paula, sottrarla alla vita pubblica, impedirle di frequentare gente che possa mettere in dubbio la sua pazzia; la manipolazione riesce così bene che alla fine è la stessa Paula ad avere timore di uscire di casa, autorecludendosi. Ma è solo l’inizio: non si tratta solo di isolare e instillare il dubbio, ma anche sottomettere, togliendo lo strumento più importante in ogni forma di ribellione: la voce. Non è un caso che Paula, come sua zia, sia una cantante d’opera e che, a poco a poco, la sua voce si affievolisca come i lumi a gas, fino ad ammutolirsi del tutto.

Se nel film il gaslighting sembra mettere all’indice il matrimonio nella società vittoriana, basato sull’idea di una casa di bambola in cui, come giustamente nota Frappat, le donne vengono zittite e infantilizzate e il dialogo tra pari viene meno sostituito da un monologo paternalistico e unidirezionale, non è solo nel matrimonio, o nella relazione di coppia, che il gaslighting si verifica.

Il gaslighting, continua Frappat, somiglia un po’ a quello che Humpty Dumpty fa con Alice all’interno del romanzo di Lewis Carrol, fa fare alle parole ciò che vuole, mostra chi deve esserne il padrone creando un mondo alogico a cui Alice si sottrae grazie alla lucidità e allo smascheramento delle insidie del linguaggio. Nella nostra società, così sovraesposta all’informazione continua e così pronta a dimenticare, il gaslighting può facilmente diventare uno strumento di governo, una forma di controllo delle masse, un modo di annullare la sequenza logico-temporale che rende un discorso coerente e coeso sostituendolo con la vaghezza di un tempo incerto, in cui tutto si perde.

Il gaslight è una “logologia”, ovvero un discorso che “fa essere”, un discorso “demiurgico” che “fabbrica il mondo”  e “lo fa avvenire”, afferma Frappat, che suffraga la sua teoria portando, tra i vari esempi, la campagna elettorale di Donald Trump, durante la quale il suo portavoce asserì, senza ombra di dubbio, che il giorno della sua elezione il sole splendesse su Washington, mentre pioveva a dirotto. Il sole splendeva perché Trump aveva vinto, contro ogni evidenza.

Il gaslighter ha infatti spesso bisogno di complici per riuscire nel suo intento e nelle sue manifestazioni più terrificanti e grottesche: come Gregory corrompe i domestici, così i regimi dittatoriali corrompono un intero sistema.

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Non è un caso che le madri di plaza de mayo, durante la feroce dittatura di Videla, furono soprannominate le pazze: continuavano tenacemente a cercare i loro figli e a testimoniare la loro esistenza anche se un intero sistema politico, statale ma anche religioso, la negava. Viene da pensare alla condizione attuale delle donne afghane, dal corpo e dal volto coperti, estromesse dalle cure mediche, dal lavoro e dalla vita sociale, recentemente private anche del diritto di cantare e dunque di usare la voce come strumento di espressione, riconoscimento e di lotta. In Leggere Lolita a Teheran, ad esempio, Azar Nafisi sottolinea come il rapporto di Humbert con Lolita non può limitarsi solo alla pedissequa e letterale interpretazione del rapporto di un pedofilo con la sua vittima; l’isolamento che Humbert crea intorno a Lo, la manipolazione, la sottomissione, quel non avere altri che lui, sono indicativi non solo di una manomissione psicologica in cui Humbert tenta di convincere il lettore di essere lui vittima di Lolita, come Gregory fa con sua moglie Paula, ma possono estendersi a rappresentare i rapporti di co-dipendenza e sottomissione che uno Stato più forte esercita nei confronti di uno più debole e privo di mezzi.

Frappat rende evidente l’efficacia del gaslighting quando lo si utilizzi per un fine politico repressivo, e allarga dunque il campo a questioni politiche e sociali che niente hanno a che fare con il genere in sé, ma se prende come esempio il gaslighting esercitato nei confronti delle donne è perché questo è esemplificativo di un meccanismo che ha visto il genere femminile vittima privilegiata, nel corso dei secoli, di questo tipo di manipolazione.

Stai zitta! Sei un’isterica! come ricorda Michela Murgia in uno dei suoi libri più noti, sono da sempre locuzioni rivolte alle donne, meccanismi sociali usati contro il sesso femminile per mantenere su di lui controllo e supremazia, e servono entrambe a silenziare e mettere in discussione – con l’accusa di isteria, aggressività o pazzia – le valutazioni e le reazioni legittime delle donne quando osano smascherare la fallacia logica nel ragionamento dell’altro o, più semplicemente, una menzogna.

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Allo stesso modo, per poter sfuggire al gaslighting, si ha bisogno di un terzo, dell’altro che creda alla parola della vittima, e in tal senso funzionano anche le testimonianze scritte come un diario, o un appunto. Così avviene nel racconto di Charlotte Perkins Gilman La carta da parati gialla, la cui protagonista, accusata di crollo nervoso dal marito, viene chiusa in una stanza dal colore livido e con le sbarre alle finestre e le viene sottratta la cosa che ama di più, la scrittura, non solo come forma di realizzazione personale ma anche per il suo valore testimoniale. La salvezza per la vittima di gaslighting si trova dunque in una figura terza, nell’altro che legittima, testimonia, ma soprattutto crede alle parole della vittima.

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Frappat cita in questo caso Rebecca Solnit che nel libro I ricordi della mia inesistenza racconta della sua giovinezza a San Francisco, posto in cui nessuno le riconosceva il diritto di vivere la propria vita liberamente, sentendosi sicura per le strade. E non è proprio quello che si verifica oggi con il victim blaming esercitato sulle vittime di violenza? È la donna che deve stare chiusa in casa, che deve coprirsi, che deve scomparire se vuole evitare la violenza, ed è per questo che Solnit ribadisce l’importanza della frase “io ti credo”, non perché una donna non possa mai mentire, al contrario, ma verificare la menzogna, o la veridicità di un’affermazione, è compito dell’autorità giudiziaria, la società ha il compito di partire da un presupposto di autorevolezza che va dato alla parola di tutti, anche quella delle donne.

La perdita della voce, e della sua forza e credibilità, sono i sintomi più evidenti di un gaslighting in atto, che riguardi la società o un nucleo famigliare ristretto. È esattamente quello che accade a Paula, la protagonista del film di Cukor, una cantante che gradualmente diventa incapace di produrre emissioni vocali, e insieme, di agire la propria vita e mantenere la propria lucidità, l’attendibilità delle proprie osservazioni.

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L’analisi del film di Cukor diviene così, tappa dopo tappa, scena dopo scena, la struttura portante del saggio di Frappat, lo spunto per poter analizzare le ripercussioni dell’uso del gaslighting nella nostra società, fino a ripercorrere a ritroso le sue origini e trovare in tre eroine tragiche della classicità la rappresentazione delle tre fasi del gaslighting: mettere a tacere, confondere, salvarsi.

Compaiono così Elena, la donna a cui è stata tolta la voce e viene raccontata come la causa di una feroce guerra mentre ne è la vittima; Cassandra, la donna punita per la sua bellezza e per aver rifiutato il dio Apollo che per vendetta toglie credibilità alla sua voce; Antigone, la donna che si libera dal gaslighting svelando l’inganno delle parole con il rovesciamento dell’ironia.

Perché, secondo Frappat esiste uno strumento in grado di combattere il manipolatore e annientare le pratiche di gaslighting, ed è proprio l’ironia. L’ironia, che, nella retorica, è un rovesciamento di senso, produce un ribaltamento della confusione prodotta dal processo di gaslighting, liberando chi ne è vittima. Antigone è, e resta, un’eroina tragica, la donna che non è sposata e non ha figli e per questo vive fuori dalla società e agisce ai margini, ribellandosi alle leggi di Creonte, ma è un’eroina che, prima della sua fine, tiene testa al re di Tebe, distruggendo le sue affermazioni con la dialettica, ribaltando contro di lui l’accusa di essere una pazza che lo zio-re le muove.

L’intelligenza sagace di Antigone è la stessa che utilizzerà Paula/Bergman alla fine del film Gaslight per liberarsi dal giogo della manipolazione: aiutata da una vicina, e da un testimone che le crede, e appresa la lezione dal suo stesso carnefice, ritorce le parole contro di lui, trasformando la tragedia in commedia grazie all’uso dell’ironia e riprendendosi lo strumento di libertà più potente di tutti: la forza assertiva della propria voce.

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