In cerca di Zorah Neale Hurston
Deve aver risposto a un bisogno profondo di riconciliazione Alice Walker quando, negli anni Settanta, si è recata a Eatonville, Florida, dove Zora Neale Hurston ha vissuto da bambina, alla ricerca della sua tomba, esperienza raccontata nel bellissimo articolo In search of Zora Neale Hurston. Non l’ha trovata, e ha scelto lei un punto dove porre la sua lapide, affinché ci fosse un luogo dove poterla ricordare. Dobbiamo infatti a Walker, e a Toni Morrison, la riscoperta negli Stati Uniti di quella che oggi è comunemente riconosciuta come una delle prime grandi scrittrici afroamericane, autrice di Con gli occhi rivolti al cielo, romanzo del 1937 uscito per la prima volta in Italia nel 1938 per Frassinelli, nella traduzione e con la prefazione di Ada Prospero Gobetti. Il romanzo è ambientato proprio a Eatonville e in questi giorni è stato riportato in libreria in Italia dalla Tartaruga nella traduzione di Adriana Bottini per l’edizione Bompiani del 1998, proprio perché mantiene la stessa parlata fresca e sfaccettata voluta dall’autrice.
Zora Neale Hurston è stata con la sua vita un esempio di forza ed emancipazione: cresciuta a Eatonville, prima città d’America costruita, fondata e abitata solo da neri, non ha avuto un’infanzia facile e neppure felice. Quando sua madre muore, Zora, appena tredicenne, viene tolta da scuola perché badi ai fratelli più piccoli, e viene assunta come governante presso una famiglia bianca. Non demorde, quello che davvero vuole è continuare a studiare, così entra all’Accademia Morgan di Baltimora, lavorando per mantenersi agli studi, fino a che riesce a iscriversi all’Università, se pur con qualche anno di ritardo e falsificando la sua data di nascita sui documenti. Da questo momento tutto cambia: Neale Hurston inizia a studiare antropologia e a scrivere racconti, poesie, articoli che parlavano dei problemi, dei desideri, dei sogni e delle idiosincrasie della sua gente. Nel 1925 ottiene un posto al Barnard College e si trasferisce a New York, dove diviene una celebre scrittrice e antropologa, parte attiva dell’Harlem Renaissance, il movimento artistico-culturale afroamericano nato nell’omonimo quartiere newyorkese negli anni Venti del secolo scorso. Dopo la pubblicazione di Con gli occhi rivolti al cielo Neale Hurston continua a scrivere, a viaggiare e a studiare antropologia, ma per uno strano moto circadiano della vita è morta in povertà, facendo di nuovo la governante e dimenticata da tutti fino a che Walker non si è messa sulle sue tracce, perché tutti potessero sapere, leggerla, ricordare.
Con gli occhi rivolti al cielo racconta la storia di Janie Crawford, una ragazza afroamericana in cerca dei suoi desideri e della sua strada, ma non parla solo alle donne nere, anche se è imprescindibile da entrambe le caratteristiche: la voce di Janie accoglie tutte le donne del mondo, identifica una condizione universale. È Janie a raccontarcela, tornata a Eatonville. Una donna ormai quarantenne, in tuta da lavoro e con i capelli troppo lunghi per una signora della sua età che si rispetti, dice la gente. Torna con la coda tra le gambe: è stata sedotta e abbandonata da un giocatore d’azzardo, un truffatore più giovane di lei che deve averla lasciata – dopo averla derubata – per una ragazzina, questo pensa la comunità. Ed è per mettere a tacere le chiacchiere dei suoi concittadini che Janie inizia a raccontare alla sua amica Pheoby la sua storia, fin dal principio, perché è lì che bisogna tornare quando si vuole capire qualcosa di sé stessi, perché è così che va la vita: “ci sono anni che pongono domande e anni che rispondono”.
Figlia dello stupro di un uomo bianco quando sua madre era appena diciassettenne, Janie cresce con la nonna che tenta di proteggerla dalla stessa sorte e la dà in sposa, a sua volta diciassettenne, a un fattore molto più anziano di lei, che non la picchia ma non la rispetta neanche, che prova, come molti uomini, a insegnarle che il suo posto è in casa e fuori dai piedi. Janie è bella, secondo il canone dei neri che abitano la sua comunità, perché la sua pelle ha il colore del miele e i suoi capelli sono folti, ricci e morbidi, diversi dai fitti ricci crespi della sua gente. Per questo quando capisce cosa è un matrimonio senza amore e incontra Joe Starks, un uomo aitante e intraprendente di dieci anni più anziano di lei, non esita a lasciare il suo primo marito per andare con lui a Eatonville, una cittadina fondata da neri e di cui Joe diventa subito il sindaco, grazie alle spiccate doti di leadership.
Anche questo secondo matrimonio si rivela però un fallimento: Starks le offre un’esistenza agiata grazie al ruolo di sindaco e all’emporio in cui lei stessa lavora, ma la ritiene non più che un bell’orpello per un uomo di successo. La sua gelosia si accanisce contro tutto quello che può attirare l’attenzione e i bei capelli di Janie vengono stretti in fazzoletti di seta perché nessuno li veda, mentre il suo parere non è mai richiesto, né ascoltato.
Joe la vuole zitta e obbediente, tutta tesa a imparare con umiltà dal suo uomo.
Ed è qui che in Janie avviene il primo cambiamento, quando avverte che la primavera dentro di lei sta sfiorendo, che a soli ventiquattro anni è già una donna sfinita, costretta in una agiata casa di bambola con un uomo che le ha dato ogni bene materiale ma nessun nutrimento emotivo o spirituale, nessuna considerazione come soggetto pensante e come donna.
Woman is the nigger of the world, cantavano provocatoriamente alla fine gli anni ’60 John Lennon e Yoko Ono, e se questo è vero per tutte le donne e i neri del mondo, è ancora più vero che “le donne nere sono i muli del mondo”, come sottolinea Neale Hurston mettendo in luce un concetto semplice quanto fondamentale: il femminismo o è intersezionale o non è.
Ed è per questo che Con gli occhi rivolti al cielo è un romanzo che parla di donne in senso collettivo ma è imprescindibile dalla blackness e dalla soulfulness che lo pervadono – come afferma Zadie Smith in un bel saggio su Neale Hurston pubblicato in Italia da minimum fax nel volume Cambiare idea – e al tempo stesso è anche letteratura pura, che scavalla i secoli e acquisisce un significato universale in cui tutti possono riconoscersi a prescindere dal colore della pelle.
Il romanzo di Neale Hurston è a tutti gli effetti un caleidoscopio che contiene una moltitudine di temi e livelli di lettura, incluso il razzismo interiorizzato della signora Turner, che considera inferiori i neri negri, troppo scuri di pelle: sono loro, con i loro nasi non aquilini e le labbra carnose il problema dell’integrazione con i bianchi, loro, con quella chiassosa personalità e le parlate in slang che l’autrice ripropone così fedelmente in una lingua viva, musicale (e ferocemente criticata negli anni), a impedire a neri non negri, ai chiari di pelle, ai gialli, di essere accettati dalla classe bianca dominante.
Questo breve ma intenso romanzo è anche e soprattutto un libro che getta una luce sghemba e tagliente sulla cultura patriarcale e sull’emancipazione delle donne.
Così Janie, alla ricerca di sé stessa, trova la sua identità prima di tutto come donna e lo fa attraverso la riconquista della parola, impresa due volte faticosa per una persona che “non aveva mai letto libri e dunque non sapeva di essere l’universo concentrato in una goccia”. Quando durante una discussione col suo secondo marito afferma: “Un paio di cose le so anche io. E anche le donne pensano, qualche volta!”; Joe Starks ribatte che “le donne non pensano. Loro credono di pensare. Io, quando vedo una cosa, ne capisco dieci. Tu vedi dieci cose e non ne capisci neanche una”.
È qui che si apre la crepa da cui nella vita di Janie sta per entrare la luce di un cambiamento, che si insinua silenzioso ma inesorabile come una piena: resta accanto a suo marito come fanno molte donne pur allontanandosi dal talamo nuziale, ma soprattutto inizia a ribattere, fa discorsi intelligenti e sensati che irritano il suo consorte, fino a che tra loro inizia la guerra strisciante di ogni relazione diseguale. Starks vuole la completa sottomissione della moglie, inizia a picchiarla e invecchiando inizia a sminuirla anche fisicamente. Perché se a una donna viene attribuita solo la bellezza, persa quella, cosa le resta? E allora deride il suo corpo, la sua giovinezza che sta sfiorendo, davanti a tutti, fino a che Janie fa la cosa più imperdonabile per un uomo e denigra pubblicamente la sua virilità, dando inizio alla rapidissima discesa della loro relazione: “Janie scoprì un’infinità di pensieri che a Jodi non aveva mai rivelato, e tante emozioni che non gli aveva mai lasciato intravedere. Cose impacchettate e riposte in angoli del cervello dove lui non avrebbe mai potuto scoprirle. Stava tenendo in serbo i sentimenti per qualcuno che non aveva mai veduto. Aveva un dentro e un fuori, adesso, e all’improvviso sapeva come fare a non mischiarli”.
Eppure questo non basta a salvare Janie dal machismo di Jodi: inizia a perdere la sua anima, a capire quando rispondere e quando no, diventa “il solco lasciato da un carro: tanta vita sotto, ma schiacciata dalle ruote”. Quello che Joe le ruba è la vitalità, le strappa la gioia con la sottomissione fino a che non le accade quel che accade a tutte le donne costrette in una relazione non paritaria: il matrimonio diventa una trappola per il sé più profondo: “Janie a volte si protendeva nel futuro, immaginando la sua vita diversa da quello che era. Ma per lo più viveva nello spazio tra la testa e i piedi […] Da Jodie prendeva soltanto le cose che si potevano comperare con il denaro, e quelle a cui non attribuiva valore le dava via”. In lei però balugina ancora la speranza del futuro: ne vagheggia uno nuovo, sconosciuto, si aggrappa a quel che resta della sua gioventù e si dice che “trentacinque anni fanno due volte diciassette e che niente era più come prima”. Da qualche parte dentro di lei sta germogliando una donna coi capelli al vento, che “trasforma in estate la sua solitudine”.
Quando Joe Starks muore, Janie ritrova nello specchio una donna non più giovane ma ancora bella, intravede l’adolescente a cui aveva detto di aspettarla e inizia il suo cammino per raggiungerla, sembra rifiorire sotto gli occhi giudicanti e pieni di disappunto della comunità. Si libera dei fazzoletti che le coprono i capelli, bruciandoli uno a uno, racchiude la sua chioma in una lunga treccia e si mette a gestire da sola il suo emporio e gli affitti. Si espande in lei l’estate di una rinnovata libertà, a cui tiene troppo per poter essere celata: la gente mormora ma a Janie non importa, è persuasa che il lutto non dovrebbe durare più del dolore.
Non cerca, è innamorata della sua vita libera e solitaria, e qui compare il terzo uomo, il suo grande amore: Tea Cake. È bello, più giovane di lei, sfacciato, scapestrato, sicuro di sé e imprevedibile, ma soprattutto il primo uomo che la considera una sua pari, che le insegna che nulla è precluso alla sua intelligenza. In lui Janie intravede per la prima volta lo sguardo di Dio. Tea Cake la veste di gioielli e seta azzurra, la riporta alla vita e ai suoi colori facendole conoscere una forma di amore puro e disinteressato, libero. Janie lo segue, e quel che avviene nel resto della sua vita con Tea Cake sarebbe troppo ingiusto da rivelare senza togliere il gusto per lo splendido finale in crescendo che Zora Neale Hurston ha riservato ai suoi lettori. Janie solleverà molte volte ancora lo sguardo per cercare il cielo, interrogandolo – nelle travolgenti e inattese piene dell’esistenza che si abbattono sui progetti degli esseri umani – sull’esistenza di un Dio che permette al dolore di sconvolgere così violentemente la vita degli uomini.
Zora Neale Hurston ha scritto un piccolo capolavoro, divenuto a tutti gli effetti un classico imprescindibile, in grado di trasportare il suo messaggio oltre le epoche e le ambientazioni, nell’eternità di una scrittura che valica il tempo come solo la buona letteratura sa fare, e che in dialoghi vivi e perfetti continua a raccontarci dei pregiudizi delle masse, della discriminazione razziale e della difficile vita delle donne, costretta nelle maglie strette e soffocanti del patriarcato, nella lotta costante per la liberazione di sé.
È forse per questo che Spike Lee si è ispirato a lei per uno dei suoi personaggi femminili più riusciti, la protagonista di Lola Darling, film uscito per la prima volta nel 1986 e recentemente diventato anche una serie per Netflix. Nola, la sua protagonista, è una giovane afroamericana che vive liberamente la sua sessualità sperimentando una relazione con tre uomini diversi, contemporaneamente e alla luce del sole.
Nola rifiuta le convenzioni, disprezza i giudizi della gente e trova la sua felicità nel restare fedele a sé stessa, in un passaggio di consegne che Spike Lee ci restituisce – come un avviso ai naviganti – nei titoli di testa del film, dove campeggia il celebre incipit del romanzo di Zora Neale Hurston con il suo potente significato di rivoluzione ancora intatto: “i desideri degli uomini viaggiano a bordo di navi lontane. Per alcuni arrivano in porto con la marea. Per altri navigano in eterno all’orizzonte, mai fuori vista, mai in porto, finché chi sta di vedetta non distoglie gli occhi rassegnato, i suoi sogni sbeffeggiati a morte dal tempo. Tale è la vita degli uomini.
Le donne… Be’, le donne dimenticano tutto quello che non vogliono ricordare, e ricordano tutto quello che non vogliono dimenticare. Il sogno è la verità. E si comportano di conseguenza”. Zora Neale Hurston non avrebbe potuto lasciarci un epitaffio migliore di questo.