Campagne fotografiche
Esiste un tempo che dura ancora, che in qualche modo resiste. La resistenza, a volte, non è la semplice opposizione categorica a qualcosa, bensì una più sostanziale presa di coscienza di appartenere ancora a una realtà non più allineata con l’epoca che il resto del mondo sta vivendo. Ѐ il contrasto tra chi abbraccia il cosiddetto progresso e chi invece sente ancora che quel tempo, dentro di sé, non è ancora giunto, e che quindi sia giusto soggiornare ancora nella fase prima rispetto a quella che sta stravolgendo il resto della propria epoca.
Questi sono i contadini delle Marche, esempio evidente di quanto il concetto di tempo visto in senso lineare ed evolutivo non basti mai davvero per raccontare un arco storico, o un intero popolo. I contadini, nelle Marche, esistono e lavorano, sono sempre meno, ma la diminuzione numerica non significa annullamento di una realtà storica, e la fotografia, se qualcosa esiste, può rilevarlo e portarlo alla luce.
Non importa che per le strade non si veda quasi più nessuno, o nei campi da coltivare; eccoli: nella mostra “Il respiro della terra” a cura di Alessia Locatelli e inaugurata lo scorso 20 ottobre presso Villa Baruchello nel comune di Porto Sant’Elpidio (FM) due generazioni diverse di fotografi raccontano il fenomeno della resistenza contadina marchigiana. Lorenzo Cicconi Massi (1966) e Christian Tasso (1986) si fanno cercatori di una vita che non ha scelto la strada nuova, restando su quella già battuta e salda della più longeva tradizione agraria, fatta, per quanto possibile, dagli uomini.
Sappiamo dalle immagini di Cicconi Massi delle speciali forme di cui il contadino è circondato nel suo mondo lento e misurato, la fattezza della fatica e dei suoi strumenti: il lungo campo dietro un profilo sfocato è quanto di più vicino ci possa essere all’immagine compiuta per raccontarlo. Le rughe appaiono nette ma sbiadite sotto lo sguardo diretto al sole, quello duro del giorno, che ridefinisce i tagli che sulla terra hanno già fatto le mani, gli arnesi. Mentre è con Tasso che concepiamo questo mondo attraverso il valore della tradizione della pittura realista, vedendo presentarsi ai nostri occhi la vera scena che ispirò Jean-François Millet per l’Angelus, o le vere Spigolatrici, dipinte un secolo e mezzo fa. Il tempo si inverte, si contamina, in nessun modo può dirsi procedere dritto, e in salita sempre: la messa in posa della fotografia “staged” è il congelamento di ciò che è in grado di ripetersi, di saperci presenti negli occhi di Millet nei suoi scenari agresti e nei nostri pure, in ciò che vediamo adesso. D’altro canto, il primo reportage fotografico non poteva che essere realizzato con l’ausilio di soggetti fermi, viste le pose di scatto troppo lunghe: si pensi allo spagnolo José Ortiz Echague, a Timothy O’Sullivan, a Tina Modotti.
La fotografia è documento e attestazione di una realtà celata ma esistente: se Tasso prende come modello i maestri della pittura realista, Cicconi Massi è pieno erede formale della più vicina tradizione fotografica marchigiana, incarnata nell’unicum di questa scuola da Mario Giacomelli, a cui il fotografo dedicò anche un documentario, Mi ricordo Mario Giacomelli, nel 2011. Ripercorrendone in qualche modo i passi, anche Cicconi Massi porta a certe conseguenze estreme l’inquadratura, i toni, il discorso tra i piani; come in Giacomelli l’inquadratura non è mai fatta di acque calme, ma conduce lo sguardo dello spettatore dentro l’incontro inaspettato, nella posizione scomoda della domanda – scomoda per chi predilige il linguaggio più descrittivo di certa fotografia. La donna che si ripara il viso dal sole gettando un’ombra piena sui propri stessi occhi, celando a noi il suo sguardo divenuto con quel gesto, per lei, in verità più nitido. Il puledro inquadrato in modo tale da mozzargli il collo, lasciato sfocato e in primo piano, di nuovo come il profilo dell’uomo apre la strada per scorgere chi è più lontano e nitido, il contadino e la sua ombra, intenti a parlare alla piccola mandria. Anche la terra che incontra Christian Tasso è una realtà seria, che ritrova dipinta sui volti di chi ritrae su sfondo nero, e confinata ora nel quadrato dell’inquadratura. L’elettricità sembra non essere ancora stata inventata in questa parte di mondo: in Tasso la donna illumina con una candela il muso della vacca di notte, in Cicconi Massi l’unica luce di cui paiono a disposizione gli uomini sembra essere quella del sole. Un sole che non evidenzia solo le rugosità dei visi, dei campi o dei muri – triade tematica indissolubile nell’opera del fotografo – ma sancisce il confine tra ciò che è reale e ciò che porta il significato di quella realtà. Ѐ tutta questa luce a definire così nette le ombre, tutta questa luce a rendere bianchi come tuniche i grembiuli dei tre macellai – posti simbolicamente vicini ai tre agnelli, che non hanno bisogno della luce del sole per essere bianchi – questa luce a schiarire le cortecce dei tronchi.
Siamo dunque in una terra illuminata, popolata da chi è rimasto. “Non fanno che ripetere che sono rimasti pochi [...] che una volta la vita era diversa.” riporta Cicconi Massi all’interno del catalogo della mostra, edito dall’editore Emuse. In un’intervista, Mario Giacomelli in merito al suo lavoro del 1968 dedicato ai contadini marchigiani già affermava: “La campagna è cambiata. Ѐ diversa, adesso è una terra piatta, passa una macchina che taglia, miete, macina, fa tutto. Non c’è più fantasia. Arrivano questi bestioni e non c’è più gioia in chi lavora, in nessuno.” Una rivoluzione simile a quella che negli anni Trenta spopolò gli stati del Sud degli Stati Uniti causando la gigantesca migrazione dei lavoratori verso la California.
Quello tra Christian Tasso e Lorenzo Cicconi Massi, oltre a un confronto generazionale sul medesimo tema, è un modo per dimostrare la scissione semantica del presente quando guardato contemporaneamente da più occhi. Se l’argomento e la finalità discorsiva è identica per entrambi gli autori, il significato intravisto in ciò che si guarda accusa le inevitabili differenze che emergono tra chi osserva, dando l’idea di come non solo il tempo non possa mai ricondursi a una lettura univoca, ma la realtà tutta. Ѐ Tasso, infatti, ad affermare che nell’affrontare questo lavoro cercava “una sensazione legata al passato, una connessione profonda tra natura e memoria” trovando a questo proposito il legame di cui si è già parlato con certi modelli del realismo pittorico. Al contrario, Cicconi Massi trova il passato ancora intatto di fronte a sé, senza voltarsi indietro, come qualcosa che continua a vivere e andare avanti. In questo modo il fotografo senigalliese riesce a rendere ancora valido e attuale uno stile iconografico sorto appena dopo la metà del Novecento. Possono apparire contemporanee a queste, infatti, le immagini che i grandi del neorealismo fotografico scattavano nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta; Cicconi Massi si fa d’un colpo coevo di Tranquillo Casiraghi, Franco Pinna, Nino Migliori, l’Italia stessa torna per un attimo quella di allora, mentre noi seguiamo questa strada in cui riescono a convergere visioni remote e queste più prossime, sorte sui colli brulli marchigiani. Dal gruppo Misa al manifesto della Passaggio di Frontiera, da Cavalli a Cutini, il territorio marchigiano ha visto il proliferare di fedeli di una fotografia vissuta nel pieno del suo potenziale misterico e allegorico, oltre che puramente documentativo. Siamo ora forse alla terza e quarta discendenza di quei progenitori potenti, in una tradizione restia a fermarsi.
Nelle immagini esposte, nessuna vera nostalgia prevale nel ravvisare ancora qualche fiaccola di mondo antico, quanto la consapevolezza fiera di saper esistere chi si reputava perso, dando uno spazio a un’esistenza altrimenti prossima alla dimenticanza collettiva.
La terra respira perché e quando è abitata da chi vive al suo stesso ritmo, a quello del vento che solleva i panni stesi aprendoli come quinte teatrali sullo scenario assoluto che domina l’orizzonte marchigiano. Ѐ la terra del lavoro, del riposo, della ritualità della fede, come mostra Tasso accostando i tre falciatori alle due figure dormienti sul covone di fieno e ancora alla piccola processione sotto la torre. Una ritualità che torna anche nella simbologia involontaria di certe figure che Cicconi Massi incontra nel suo tragitto, come la croce in ferro – chissà di che oggetto si tratta – che seziona il cielo sopra i recinti e le persone.
Nel tempo della caduta libera dei valori della tradizione contadina, nel tempo dello sconvolgimento attuato dall’avanguardia tecnologica più sfrenata, abbiamo la testimonianza diretta che i tempi si toccano, che ciò che è stato fino ad ora trova non solo spazio per continuare a essere, ma anche qualcuno che ha ancora il desiderio di raccontarlo.
Il progetto fotografico di Christian Tasso è stato realizzato nell’anno 2024, in differenti comuni delle provincie di Macerata e Fermo
20 Ottobre 2024 – 31 Dicembre 2024
PORTO SANT’ELPIDIO (FM) – VILLA BARUCHELLO
Esposizione di rilievo regionale 2024
A cura di Alessia Locatelli
Coordinamento organizzativo Alessandro Carlorosi