Speciale

Ologrammi / Baudrillard e il virale

22 Marzo 2020

Negli ultimi anni, all’interno della nostra cultura, la parola “virale” ha visto progressivamente indebolirsi i significati che possedeva. Il grande successo del web e dell’universo digitale, infatti, ha sempre più portato tale parola ad esprimere dei significati di popolarità, consenso e successo. Ma oggi, dinanzi alla drammatica diffusione in tutto il mondo di un vero virus, la parola “virale” sta riacquistando quelle connotazioni di segno negativo che esprimeva in precedenza. Connotazioni che possedeva ancora quando il sociologo francese Jean Baudrillard ha cominciato a utilizzarla e che, proprio per questo motivo, gli sono servite all’epoca per compiere un’operazione trasgressiva. Perché, in una certa misura, parlare di virus e viralità in quel momento faceva scandalo. 

 

Pertanto, Baudrillard ha fatto più volte ricorso al concetto di viralità. L’ha fatto, ad esempio, nel 1990 nel volume La trasparenza del male (SugarCo), nel quale ha aggiunto ai tre differenti ordini di simulacri che aveva precedentemente individuato un quarto tipo di ordine: quello “virale”. Infatti, negli anni Settanta, all’interno di Lo scambio simbolico e la morte (Feltrinelli), aveva affermato che durante la storia della civiltà occidentale, a partire dal Rinascimento, si erano via via succeduti l’ordine della “contraffazione” (guidato dalla legge naturale del valore), l’ordine della “produzione” (basato sulla legge mercantile del valore) e l’ordine della “simulazione” (reso possibile dalla logica del codice e del linguaggio informatico). Adesso però, a suo avviso, sulla scena sociale era arrivato il momento del nuovo “stadio frattale, o anche stadio virale o stadio irradiato del valore” (p. 11). Vale a dire un tipo di valore che era in grado di dilagare in tutti i possibili spazi della società e che non era più dotato della possibilità di una equivalenza. Con la conseguenza di rendere pressoché impossibile realizzare all’interno della società delle valutazioni o delle misurazioni ed effettuare perciò degli scambi efficaci.

 

 

Per Baudrillard, però, il concetto di virale aveva a che fare soprattutto con l’universo contemporaneo della comunicazione. Un universo dove l’essere umano viene immerso in misura crescente all’interno di un rapporto diretto con le cose, le quali sono private di tutti i segreti di cui dispongono e sono brutalmente esposte, rese più visibili del visibile, “iperreali”. Si tende pertanto ad annullare la distanza tra i contenuti che vengono rappresentati dentro gli schermi elettronici dei media e gli sguardi dei soggetti che li stanno guardando e si configura progressivamente quella che Baudrillard, nel suo libro Le strategie fatali (Feltrinelli) del 1983, ha definito l’“estasi della comunicazione”. Una fase particolarmente avanzata dei processi di comunicazione, che si caratterizza per un elevato livello d’intensità comunicativa, dove i messaggi sono costretti a circolare ininterrottamente e sono soggetti a un processo di contagio virale. Il che la rende “oscena”, frutto di un potente processo di “sovrarappresentazione” che ha l’obiettivo di ottenere una trasparenza totale di tutte le cose. Siamo cioè in «un universo perfettamente estatico e osceno di oggetti puri, trasparenti gli uni agli altri, e che si fracasseranno gli uni sugli altri, come puri nuclei di verità» (p. 54). 

 

In questo universo, le immagini diffuse dal sistema dei media svolgono per Baudrillard un ruolo centrale. Perché tali immagini non hanno più la necessità di rifarsi a un referente che le preceda. D’altronde, è in questa capacità di liquidare totalmente qualsiasi significato che risiede la principale ragione del potente fascino che queste immagini rivestono per noi. Nella loro possibilità cioè di evocare qualcosa che non esiste più, di rappresentarlo e distruggerlo nello stesso momento. Di farci credere che esse contengono il riflesso del nostro mondo, mentre in realtà trasformano tale mondo ai nostri occhi in una pura fiction. Proprio per questo motivo, le immagini oggi possiedono la libertà di moltiplicarsi con estrema facilità, dando origine a un processo epidemico e virale di sviluppo.

 

In una certa misura, per Baudrillard, ogni virus può essere considerato come qualcosa di simile a un ologramma. In questo, infatti, ogni singolo elemento rinvia costantemente all’informazione totale, ogni parte rimanda al tutto. Per questo motivo, si presenta ai nostri occhi come sfuggente e inafferrabile. Al suo interno non ci sono più confini, né strutture fisse. Tutto fluisce incessantemente. E, come ci ha detto Baudrillard, possiamo tentare di affrontarlo solamente cercando di assumere la sua stessa natura. Impiegando cioè un metodo che è dotato anch’esso di una natura “ologrammatica” e virale. Un metodo che accetta pienamente la sua sfida basata sull’incertezza, sull’eccesso e sulla reversibilità e che fa ricorso a un pensiero che adotta la strategia del suo oggetto. Un pensiero che anzi diventa il suo stesso oggetto.  

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