Il miracolo economico, la lavatrice e il frigorifero
A partire dalla metà del Novecento, sono per la prima volta comparsi nelle abitazioni degli italiani degli oggetti di nuovo tipo: gli elettrodomestici. In precedenza, infatti, le abitazioni erano state per secoli piccole, semplici e modeste, in gran parte abitate da contadini poveri il cui principale problema era riuscire a sopravvivere. A metà del Novecento però, da un lato, i notevoli passi in avanti compiuti dalle imprese sul piano tecnologico e produttivo e, dall’altro, i processi di urbanizzazione e soprattutto la grande crescita fatta registrare dai livelli di benessere economico hanno determinato un miglioramento delle condizioni di vita delle persone. Le abitazioni sono state così invase per la prima volta da oggetti di nuovo tipo come gli elettrodomestici.
La sensibilità degli artisti ha chiaramente registrato la comparsa di questo fenomeno nello spazio sociale dell’epoca. Uno scrittore come Georges Perec, ad esempio, ha efficacemente narrato nel romanzo Le cose del disagio e delle difficoltà causate da questa invasione di oggetti ai giovani di quel periodo. Altri, come il regista Michelangelo Antonioni, hanno invece denunciato in film come Zabriskie Point la propria insofferenza verso questo fenomeno.
Negli anni Sessanta e Settanta, gli elettrodomestici sono certamente entrati nelle case degli italiani anche perché sono stati promossi da parte delle aziende produttrici mediante delle intense strategie di promozione pubblicitaria. Ma in realtà all’epoca il ruolo dei messaggi pubblicitari era tutto sommato poco rilevante. Perché gli elettrodomestici riuscivano a presentarsi da soli come dei prodotti fortemente attrattivi. Per il loro carattere innovativo, ma anche per il loro identificarsi con un nuovo modello culturale e sociale basato sui consumi di massa proveniente dagli Stati Uniti. Un modello basato sulle possibilità offerte alle persone appartenenti ai ceti medi e medio-bassi di migliorare il proprio ruolo sociale. Si spiega così la rilevanza che hanno assunto in quegli anni in Italia le spese per l’acquisto dei nuovi beni prodotti dalle industrie, il cui possesso era in grado di testimoniare i miglioramenti avvenuti nelle posizioni sociali occupate. Non è un caso pertanto che le due utilitarie lanciate in quegli anni dalla Fiat, la 600 e la Nuova 500, abbiano ottenuto un elevato successo e abbiano trascinato nel corso degli anni Sessanta l’espansione della motorizzazione privata. E, insieme all’automobile, anche gli elettrodomestici sono stati interessati in quegli anni da un intenso processo di diffusione, replicando quello che si era già verificato nelle case statunitensi nei primi decenni del Novecento.
Questo quadro è noto da tempo e lo storico Ivan Paris ne conferma in realtà l’importanza nel suo recente libro Rileggere il miracolo economico. Gli elettrodomestici tra fascismo e anni Settanta (Carocci). Paris ha sviluppato però una dettagliata analisi che permette di andare più in profondità rispetto a quanto era già precedentemente conosciuto. L’ha fatto prima di tutto delimitando un quadro oggettivamente complesso. Si è concentrato pertanto sul periodo storico che va dalla seconda guerra mondiale alla crisi energetica del 1973. Un periodo che per il settore italiano degli elettrodomestici è stato caratterizzato da un forte sviluppo. Si pensi che già negli anni Sessanta l’Italia era uno dei principali paesi produttori ed esportatori al mondo di elettrodomestici. Paris si è focalizzato inoltre nel suo libro su due tipi di elettrodomestici: il frigorifero e la lavabiancheria. La famiglia degli elettrodomestici è densamente popolata, ma questi sono i più significativi, perché sono quelli che sono stati in grado di diffondersi maggiormente all’interno delle abitazioni italiane. E sono particolarmente interessanti perché, come ha sostenuto anche Paris, possono operare come dei sensibili indicatori del livello di benessere socioeconomico raggiunto da un Paese industrializzato.
D’altronde, gli italiani si trovavano in quegli anni in piena fase di ricostruzione postbellica, ma avevano come riferimento quello che veniva proposto all’interno di molte pellicole di Hollywood: la grande cucina made in Usa, bianca e asettica, ma anche saturata da oggetti di vario tipo. Dominata soprattutto da un grande frigorifero che suscitava un intenso desiderio d’imitazione presso gli italiani, perché stracolmo di nuove merci e operante come un vero e proprio simbolo di conquista del benessere economico tanto desiderato da molti. I quali speravano che gli effetti derivanti dai consistenti investimenti previsti dal Piano Marshall potessero ridurre le differenze esistenti con quel mondo ideale. Il che è avvenuto ma non completamente. Prima di tutto perché in Italia, nel periodo storico immediatamente precedente, quello fascista, il processo di emancipazione femminile era stato ritardato da un’ideologia che comportava per le donne un ruolo domestico estremamente tradizionale e totalmente subordinato all’autorità maschile, ma anche a causa delle oggettive disparità esistenti sul piano del reddito.
L’analisi di Paris mostra comunque che la diffusione degli elettrodomestici è avvenuta in maniera significativa nel nostro Paese negli anni Sessanta e Settanta. Non ha avuto però un andamento omogeneo, in quanto è stata più debole in alcune regioni, nei centri urbani di minori dimensioni e in diverse aree rurali. Testimoniando perciò le difficoltà incontrate anche da una fase d’intenso sviluppo come il boom economico nel sanare quei ritardi e quelle fratture che erano già presenti nel tessuto sociale italiano.
Resta il fatto che gli elettrodomestici si sono massicciamente diffusi a partire dagli anni Sessanta, testimoniando l’adozione anche nelle abitazioni italiane di un modello basato su principi di efficienza tipicamente aziendali. Un modello creato dagli statunitensi applicando anche agli spazi domestici e soprattutto alla cucina le regole sviluppate da Frederick W. Taylor per un’organizzazione scientifica del lavoro svolto all’interno della catena di montaggio. E reso attrattivo attraverso l’obiettivo di creare la nuova “casa elettrica”, simbolo di progresso e modernizzazione dell’abitazione basato sulla “magia” dell’elettricità. La cultura capitalistica dunque, in questo modo, ha cominciato a installarsi anche all’interno delle pareti domestiche, dando vita a un continuum spazio-temporale tra la casa e la fabbrica che ha reso particolarmente efficaci le sue modalità operative.