Disabilità e liberazione animale / Bestie da soma

6 Gennaio 2022

Scrivendo di Saartjie Baartman, la Venere nera, mi sono stupito di trovarla, unico umano, nella Histoire naturelle des mammifères: avec des figures originales, coloriées, dessinées d’après des animaux vivans di Etienne Geoffroy Saint-Hilaire e Frédéric Cuvier, individuata come femmina boscimane. A giustificare la sua presenza, due tratti fisici peculiari, il “cuscino posteriore delle Ottentotte”, come lo chiamava Cesare Lombroso, e il “grembiule” delle Ottentotte stesse, l’iperplasia delle piccole labbra. Il corpo non conforme relegava nel regno animale, evidentemente, mai ci sarebbe finito uno studioso di anatomia comparata francese, come gli autori.

 

 

Scorrendo le cartelle cliniche dell’ex ospedale psichiatrico di san Servolo a Venezia, per una ricerca sull’istituzionalizzazione dell’autismo (pubblicata nel libro collettivo A sé e agli altri, Mimesis, 2013), era ricorrente il riferimento all’“animalità” di alcuni ricoverati, inadatti alla partecipazione al consorzio umano per la loro “bestialità”. Del resto era frequente trovare, nella classificazione della nosografia psichiatrica dell’Ottocento, un parallelismo tra gli “idioti” e alcune tipologie animali, secondo il grado di compromissione, tanto che a fine secolo, tirando le fila della lunga storia ottocentesca delle categorie, Paul Sollier spiegherà le ragioni dell’inadeguatezza del criterio. Non di meno ricorre anche nel suo testo, Psychologie de l’idiot et de l’imbécile (1891), il raccordo tra la disabilità cognitiva e relazionale e l’animalità: “Se bisogna senz’altro ammettere nell’uomo un’anima secondo la concezione spiritualista, caratteristica dell’uomo e assolutamente differente nei suoi attributi superiori da quella degli animali, si deve convenire che si sarebbe imbarazzati nell’accordarne una simile a un idiota incapace di parlare, cosa che è la vera caratteristica dell’uomo” (Sollier, 1891, 146-7).

 

 

Ci ritroviamo così a tematizzare l’intersezionalità inedita che sostanzia il volume di Sunaura Taylor Bestie da soma: disabilità e liberazione animale, recentemente tradotto da feminoska e da lei curato con Marco Reggio per Edizioni degli animali. I Critical Disability Studies recenti, come molti altri ambiti emancipativi delle scienze sociali, si sono caratterizzati per l’affermarsi di discorsi “intersezionali”, per l’ibridamento con la triade class/gender/race, ma non solo, e l’apertura ad altri orizzonti, come in questo caso lo specismo, ha contribuito ad arricchirne il panorama teorico, a renderli uno degli orizzonti di discorso più interessanti e vivaci delle scienze sociali contemporanee. Il libro di Sunaura Taylor è un ulteriore contributo prezioso alla disciplina, e spicca per qualità e originalità dell’argomentazione.

Artista visuale, autrice e attivista, Taylor ha raccolto e intrecciato in modo esemplare i discorsi che connettono attivismo disabile e animalista, in un percorso in cui l’esperienza di persona con artrogriposi, conseguenza dell’inquinamento chimico prodotto da installazioni militari prossime alla casa dei genitori, si coniuga alla sensibilità antispecista, coinvolgendo i due piani in una serie di interazioni virtuose, prefigurando orizzonti emancipativi comuni: “Un pensiero mi ha attraversata: se l’oppressione animale e quella di chi è disabilitato sono intrecciate, non si potrebbe dire lo stesso dei rispettivi percorsi di liberazione?” (p. 40). Lo sviluppo dei capitoli asseconda il concatenamento di una pluralità di temi e prospettive, che non è facile riepilogare, tanti sono i fronti su cui si muove l’argomentazione. Provo a raccogliere alcune suggestioni.

 

 

I Disability Studies, fin dai loro albori negli anni Sessanta e Settanta, sono stati sviluppati da persone disabili, ed è esattamente l’esperienza in prima persona di ciò di cui si parla a determinare l’orizzonte del discorso, in precedenza monopolizzato dallo sguardo medico e caritativo-religioso, che si figuravano le necessità delle persone disabili esclusivamente per proiezione. Anche in Bestie da soma l’esperienza personale è il piano fondamentale su cui si struttura l’argomentazione, progressivamente il discorso sulla propria disabilità si chiarisce attraverso il confronto con gli autori di riferimento dei Disability Studies (il libro è in effetti anche un’eccellente introduzione ai Disability Studies, si tratta di raccogliere e sviluppare i riferimenti puntuali che vi sono disseminati), il percorso di coscientizzazione che ha portato Taylor all’attivismo disabile viene riepilogato nelle sue tappe, fino all’impegno teorico in linea con la crip theory contemporanea, l’orizzonte di ricerca in cui i temi della disabilità si confrontano, in rivendicata omologia con la queer theory, con le dimensioni sociali delle condizioni esperite, sulle direttive intersezionali che li raccordano a genere, razza, classe e specie.

 

 

Artrogriposi non è qualcosa che accada solo agli umani, nell’approfondirne la conoscenza si imbatte in un racconto che raccorda perfettamente i temi del libro. Un articolo di giornale riportava dell’abbattimento di una volpe affetta da artrogriposi, gli arti deformi avevano motivato la sua uccisione come gesto compassionevole, salvo poi scoprire che malgrado l’entità dei problemi fisici, la volpe era ben nutrita e perfettamente in grado di sostentarsi. Leggendolo mi è tornato in mente Omero, il gatto di un’amica, che aveva un controllo assoluto sugli spazi della casa, saltava sui mobili, e non si sarebbe mai detto che fosse cieco, finché non lo si guardava negli occhi che non aveva. “Le convinzioni e i pregiudizi che abbiamo sui corpi disabili sono profondi, così profondi che proiettiamo questo abilismo umano anche sugli animali non umani” (p. 67). La storia della volpe introduce a una serie di interrogazioni sulle valenze del discorso sulla disabilità e l’abilismo in relazione agli animali, e agli infiniti modi con cui la selezione commerciale devia da quella naturale per massimizzare il profitto, con conseguenze devastanti per il fisico degli animali.

 

Come ho accennato, ogni capitolo apre un fronte ulteriore per l’analisi del rapporto complesso tra disabilità e animalità, il quadro si complica progressivamente, la storia di Booee, scimpanzé a cui era stato insegnato il linguaggio dei segni, mette in questione l’assunto aristotelico che lo specifico dell’umano sia il linguaggio, cosa che del resto, come avevamo rilevato dalla citazione da Sollier, relega nell’animalità chi non vi abbia accesso.

Condivido con Sunaura Taylor l’interesse per i Freak Studies, uno degli ambiti di ricerca dei Disability Studies più sorprendenti, per quanto raccordano in modo eclatante il tema della disabilità a quello della spettacolarizzazione e alle dominanti culturali del tempo in cui lo spettacolo si è dato. Libri ormai classici di Rosemarie Garland Thomson e di Robert Bogdan hanno aperto l’indagine alla ricostruzione storica dei side show; uno degli ingredienti ricorrenti degli spettacoli era l’animalizzazione dell’uomo, di cui nella storia del cinema restano tracce straordinarie, Freaks di Tod Browning, Elephant man di David Linch, La donna scimmia di Marco Ferreri, e in qualche modo la mia amata Saartjie Baartman, la Venere nera di Abdellatif Kechiche. Nella fascinazione per il mostro, dismorfia e animalità si fondono rivelando un orizzonte inconscio comune come alterità minacciosa, rispetto a cui l’ideale abilista si pone come esorcismo.

 

 

Molti quadri di Sunaura Taylor riprendono il tema da side show dell’animalità-disabilità, trasvalutandone le valenze, rappresentando il suo corpo al fianco di animali con posture simili, ripetendo così la mossa teorica dell’assunzione, trasvalutazione e rivendicazione del marchio dello stigma, in continuità con le teorie crip e queer. Animalità e disabilità si intrecciano in modo sempre più articolato, l’esperienza soggettiva della disabilità è la matrice di tale trama: “Nel corso della mia vita sono stata paragonata a svariati animali. Mi è stato detto che cammino come una scimmia, che mangio come un cane, che le mie mani assomigliano alle chele di un’aragosta e, in generale, che assomiglio a un pollo o a un pinguino” (p. 169).

Uno dei piatti più sostanziosi del libro è il confronto serrato con l’abilismo nell’antispecismo, nella figura di Peter Singer, stimato per le analisi di Liberazione Animale, ma messo in questione per le ricadute abiliste dell’etica utilitarista, che finisce per risolversi in giustificazione razionale dell’eliminazione delle Lebensunwertes Lebens, arrogandosi il diritto di decidere che esistano vite degne di essere vissute, e altre no.

 

Altrettanto sacrosanta è la messa in questione della carne “etica”, della giustificazione dell’uccisione per scopi alimentari qualora venga dopo un periodo di maturazione in condizioni di vita non alienanti, e della perorazione della buona morte, come nel caso dell’attivista autistica Temple Grandin. Grandin, personaggio molto esposto mediaticamente, divenuto anche soggetto di un bellissimo documentario di Errol Morris (Stairway to heaven), e di un filmone biografia hollywoodiano, oltre che come attivista autistica, è nota per aver progettato la metà dei macelli attivi negli Stati Uniti. Ricordo il raccapriccio che mi aveva procurato la lettura della parte finale di Pensare per immagini, libro decisamente sopravvalutato su più fronti, ma in qualche modo aurorale rispetto al discorso in prima persona sull’autismo, in cui racconta con trasporto l’esperienza al limite del mistico della macellazione kosher. Entusiasmo evidentemente non condiviso dalle sue vittime.

 

 

Il libro si conclude raccontando di Bailey, il cane randagio salvato all’ultimo minuto dall’eutanasia e divenuto suo cane da assistenza, compagno fedele fino a quando cominciò a manifestare problemi spinali. L’interdipendenza tra cane e padrone è così diventata simmetrica, “due esseri vulnerabili e interdipendenti di specie diverse, che imparano a capire di cosa ha bisogno l’altro. Goffamente e imperfettamente, ci prendiamo cura l’uno dell’altra” (p. 331).

Ho raccolto qualche spunto dalla lettura, molti altri ne offre Bestie da soma, spero che il libro riceva l’attenzione che merita, sono certo che contribuirà in modo determinante a portare attenzione in Italia ai Disability Studies, e alle ragioni dell’antispecismo. La qualità della traduzione e della cura del volume lo rendono ancor più una lettura piacevole oltre che necessaria.

Ho scritto la presente recensione con in grembo Bia, gatta bianca sorda che talvolta accudisco, e che mi accudisce.

 

Sunaura Taylor, Bestie da soma. Disabilità e liberazione animale, a cura di feminoska e Marco Reggio, traduzione di feminoska, Edizioni degli animali, 2021.

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