Tipi strani 2. La Scuola Operativa Italiana e l’ontologia dello sporco
Formato all’archeologia del sapere, mi viene naturale risalire a monte dello stato presente delle cose, interrogarmi sui curiosi casi delle origini, e ciò che oggi usiamo quotidianamente come strumento di supporto al lavoro di traduzione da lingue sconosciute, Deepl, Google Translator, è cominciato con un progetto di traduzione meccanica finanziato nel dopoguerra dal dipartimento per la difesa statunitense. Tra i suoi padri, Ernst von Glasersfeld, creatore del costruttivismo radicale, e Silvio Ceccato, inventore del modello su cui si struttura il pensiero della Scuola Operativa Italiana. Retrospettivamente, possiamo leggere la sua natura di atto originario inscritta nel suo nome, Adamo II (la storia è invero diversa, più complessa e suggestiva, e raccontata da Ceccato qui).
Quando ero giovane e mappavo autori e modelli, mi ero entusiasmato alla scoperta della Scuola Operativa Italiana, SOI, e dei meravigliosi personaggi che l’hanno sviluppata. A loro è dedicato questo pezzo, una trattazione approfondita dell’articolazione del suo pensiero richiederebbe ben altro spazio e dedizione, chi sia interessato può trovare a questo indirizzo un testo che la racconta in modo organico e accessibile, La mente vista in operazioni di Giuseppe Vaccarino, sintesi del pensiero ceccatiano.
Figlio di una importante famiglia di industriali del Nordest, Ceccato studia violoncello, composizione e giurisprudenza, dopo la guerra fonda coi sodali Giuseppe Vaccarino e Vittorio Somenzi (fino a metà anni Cinquanta, era parte del gruppo un altro mio idolo giovanile, Ferruccio Rossi-Landi) la rivista di epistemologia operativa Methodos, che sarà pubblicata fino al 1964. Pubblica libri che gli danno notorietà anche fuori dai dipartimenti di filosofia della scienza (si è invero sempre sentito un tecnico, e sui filosofi si esprimeva in modo per lo più tranciante, titolo di un suo libro è Un tecnico tra i filosofi), per la qualità della scrittura, sempre brillante e geniale, per il carattere estroverso e sanguigno (ricordo che al tempo della mia infatuazione per la SOI, Walter Fornasa mi disse che Ceccato era stato messo ai margini del mondo accademico, con i suoi collaboratori, per aver dato pubblicamente del “coglione” a un collega barone, sicuramente con ottime ragioni) e per un principio etico poco frequentato in filosofia, la volontà di rendere la propria ricerca accessibile nei suoi principi a chiunque, indipendentemente da una formazione specialistica. Negli anni Sessanta e Settanta frequenta varie trasmissioni RAI e scrive libri divulgativi sulla cibernetica, senza mai banalizzarne i principi.
Ma vediamo all’osso i principi della SOI. A monte c’è la critica operazionale in fisica di Percy Bridgman e l’operazionismo di Hugo Dingler, autori i cui limiti vengono peraltro ampiamente evidenziati dalla SOI. Nella sostanza si tratta di analizzare le operazioni mentali che costituiscono ciò che percepiamo, e le parole, sole e in sequenza, sono il concreto di tali operazioni. A orientarci nella procedura sono le dinamiche attenzionali e il filtro della memoria. Per pigrizia e per evitare a monte gli strali di chi alla precisione nell’uso della lingua ha dedicato l’esistenza, cito Vaccarino “Non vi sarebbe comprensione se nel linguaggio non si specchiasse il pensiero. Possiamo perciò partire dalla premessa che le parole, isolate o messe in rapporto, corrispondono ad operazioni mentali. Lo studio della lingua fornisce così una via per analizzare, in parallelo, l’attività mentale. Sotto questo profilo, la filosofia riportata a scienza, viene a essere essenzialmente una linguistica operativa, precisamente una semantica, in cui simboli sono i termini linguistici, simbolizzanti le operazioni mentali” (La mente in operazioni). La metodologia è decisamente articolata, e in più di mezzo secolo di ricerca si è affinata e adeguata in relazione a differenti ambiti di ricerca. Tutto questo buttato lì, non ci sono scorciatoie al confronto coi testi degli autori che vengo a presentare, non in un articolo sullo sporco.
Il giorno dopo aver assistito a una conferenza di Ceccato, Dino Buzzati pubblicò un articolo sul Corriere della Sera (1964):
Un profano come me può soltanto manifestare la seguente espressione: anche se Ceccato e i suoi si sbagliassero e il loro fosse un assurdo miraggio, le loro fatiche tuttavia avrebbero sempre in sé qualcosa di fantastico e commovente, una di quelle splendide battaglie in cui vale la pena di buttarsi anche nel rischio di non vincerla mai.
Di Ceccato si è detto, Vittorio Somenzi ha partecipato alla resistenza al nazifascismo, è stato docente di Filosofia della scienza a Roma, Giuseppe Vaccarino, siciliano, di formazione chimico, si differenzia da Ceccato perché alla cibernetica ha privilegiato la semantica, in opere come La chimica della mente e Analisi dei significati. È un peccato che la sua unica opera letteraria pubblicata sia il delizioso libretto che a seguire andremo a proporre, Lo sporco, uscito per Marsilio nel 1977.
Ma oltre ai padri fondatori, la SOI è effettivamente l’unica corrente di pensiero del Novecento italiano che si sia evoluta in scuola. Tra i seguaci della SOI c’è un personaggio straordinario come Giampaolo Barosso, autore di un delizioso Dizionarietto illustrato della lingua italiana lussuosa, recentemente ristampato, e di scritti bellissimi raccolti su un blog a suo nome rimasto in linea malgrado lui ci abbia lasciati. Come mestiere è stato per decenni l’autore del Topolino di Mondadori, cosa che mi spiega la genialità di tante storie lette da bambino. Altri due sodali a cui sono affezionato e che ho incrociato nella vita sono il linguista Carlo Oliva, autore con Ceccato di Il linguista inverosimile, e Felice Accame. Non seguo la radio, ho fatto un’eccezione per una trasmissione che Oliva e Accame hanno condotto per un paio di decenni a Radio popolare di Milano, La caccia, caccia all’ideologico quotidiano, in cui inseguivano con arguzia, garbo, leggerezza e implacabile precisione l’ideologico concreto in eventi e spunti estemporanei raccolti dalla cronaca e dal quotidiano, appunto. Ancora ricordo la trasmissione ogni volta che ascolto il quarto movimento della Symphonie fantastique di Berlioz, che ne era la sigla. Felice Accame è stato per anni gestore della bellissima libreria Odradek di Milano. Ricordo una sera alla presentazione di un libro, gli avevo esternato il mio interesse per la SOI, tanto era bastato per fargli riversare con meraviglioso entusiasmo sul giovane seguace un’aneddotica sterminata e coordinate precise per sviluppare la ricerca operativa. Ero tornato a casa omaggiato di tanti numeri della rivista Methodologia (methodologia.it) che aveva fondato negli anni Ottanta, ho avuto da leggere per qualche tempo. Ma veniamo allo sporco.
Una premessa, il titolo di questo articolo è sbagliato, non ha senso parlare di ontologia per la SOI, corrisponde esattamente al raddoppiamento indebito che viene rinfacciato ai filosofi, dove i costrutti mentali vengono sdoppiati in una messa al mondo del mondo. Del resto, fosse stato la non-ontologia dello sporco, sarebbe stato un brutto titolo, e niente è meno perdonabile a un autore di un brutto titolo.
Una cosa che ho sempre trovato deliziosa degli autori della Scuola Operativa Italiana è lo stile che per lo più li accomuna. Una scrittura che sembra costruita con mattoncini, di una precisione impeccabile e, valore aggiunto determinante, sempre giocosa e gioiosa, e con il gusto dello spiazzare chi legge ribaltandone le prospettive. Lo sporco di Giuseppe Vaccarino è, da questa prospettiva, esemplare.
Rispetto al genere del racconto, non c’è che la scelta, giallo investigativo, racconto di viaggio, avventura, con epilogo che per il protagonista si rivela compiutamente tragico, una sporca faccenda. Invero è un itinerario nella semantica operativa, che si svolge attorno a un costrutto mentale, lo sporco.
È il racconto in prima persona del protagonista, di cui non viene esplicitato il nome, cosa invero inusuale, con un interesse assorbente per i manoscritti. Ho usato intenzionalmente il termine “interesse assorbente” perché è una delle caratteristiche che individuano una tipologia umana a cui ho consacrato un dottorato, qualche libro e vari lustri di ricerca, persone individuate un tempo con la categoria di DSM “sindrome di Asperger”, ora desueta e sostituita con “autismo di tipo uno” o, su un piano non clinico, da alcuni attivisti con “neurodivergente”, altri ancora ricorrono all’acronimo TUPS. E il protagonista presenta tanti altri tratti divergenti, filtra il mondo attraverso l’interpretazione razionale, senza alcuna comprensione empatica. Una specie di nerd con la fissa dei manoscritti, e forse la nerdischkeit è una categoria che si può estendere a tutta l’esperienza della SOI stessa, un tentativo di decriptazione del mondo, della sua risoluzione in operazioni mentali razionalmente descrivibili. Del resto, la storia della cibernetica è stata tracciata da nerd.
Dunque il nostro protagonista scopre a Leningrado, era il 1977, si chiamava così, un frammento manoscritto di un fantomatico e misterioso Archistein. Seguirne le tracce lo porta a Basilea, dove attraverso avventure rocambolesche viene a sapere che il filosofo e chirurgo era stato cacciato dalla città per aver asserito, evidentemente una bestemmia che chiama il patibolo, in Svizzera, che “nessuno ha mai visto e toccato lo sporco, poiché esso si intende solo con la mente”. Poco dopo egli stesso viene cacciato dalla città, e si ritrova in un paese in cui le tracce della presenza di Archistein si moltiplicano, i locali si rivelano relazionalmente problematici almeno quanto lui, questo innesca ulteriori avventure in cui ricorre in connotazioni, forme e sensi differenti lo sporco come tema dominante. Il libro è anche occasione per apprendere frammenti di erudizione, Vaccarino è stato anche docente di Filosofia antica, e discettando di affinità e differenze tra porco, sporco e sporcaccione, ci imbattiamo in Prodico, misconosciuto confutatore dello Stagirita, che sosteneva non esistessero parole esattamente sinonime. Le vicende divengono sempre più vorticose, la trama sempre più sporca, fino al disvelamento finale della sorte dei manoscritti di Archistein. Questa è la storia, protagonista assoluto lo sporco, in filigrana la semantica operativa. Un gioiellino.