Speciale
Reggio Emilia, Fotografia Europea / Via Emilia. 2016
Un lungo tavolo attraversa la sala, al primo piano dei Chiostri di San Pietro. L’infografica che lo riveste interamente mostra gli elementi che sono le ragioni stesse non solo e non tanto delle esposizioni di queste sale, ma dell’intera edizione 2016 di Fotografia Europea. Il percorso in essa ricostruito esordisce dal 1980, anche se le date chiave su cui occorrerà porre subito l’attenzione sono il 1984, l’anno di pubblicazione di quel Viaggio in Italia che avrebbe cambiato il modo di guardare il nostro Paese nei decenni seguenti, e il 1986 delle Esplorazioni sulla Via Emilia, anch’esse, come il primo progetto, fortemente volute e ispirate da Luigi Ghirri e da Gianni Celati. Qual era la storia di quei territori, di quei paesaggi? Quanto poteva avvicinarsi a essi la lente d’ingrandimento dello straordinario gruppo di artisti che hanno fatto parte del progetto e fino a che punto costoro avrebbero saputo affondare il loro scandaglio in quel magmatico e sotto molti aspetti inedito pan
orama? La risposta più efficace, nei trent’anni che sono seguiti, la dà il fatto che non solo le immagini, le mostre e i libri che sono nati da quelle esplorazioni, ma lo stesso metodo e atteggiamento che sono stati alla loro base, sono ormai diventati “tradizione”, che esse abbiano letteralmente fatto scuola di sé e che ne sia scaturita una continuità che è quella propria di uno stile.
Diane Dufour, Elio Grazioli e Walter Guadagnini, membri del Comitato di Coordinamento Curatoriale di Fotografia Europea, hanno raccolto la sfida di ritornare sulla strada tracciata tre decenni prima. Realizzare l’intento non poteva significare raccogliere pedissequamente i ritratti odierni dei luoghi e della Via. Sarebbe stato invece necessario che l’operazione si portasse addosso l’impegno di andare oltre l’odierno, di superarlo in direzione dell’attuale, del contemporaneo. Multimedialità, nuovo corpo dell’immagine, tecnologie mutate e mutate condizioni sociali e culturali, sono solo alcuni dei concetti dai quali le Nuove Esplorazioni non avrebbero potuto dirsi avulse. Sette autori, racchiusi in una generazione e mezzo, sono diventati così gli esploratori del 2016.
Il compito di ricevere il visitatore spetta alla videoproiezione di Sebastian Stumpf (Würzburg, 1980). L’artista tedesco ha partecipato alla 6a Biennale di Berlino e alla Aichi Triennale di Nagoya in Giappone, conta numerose mostre personali e di recente le sue opere sono state presentate al Wilhelm-Hack-Museum a Ludwigshafen, alla Kunsthalle im Lipsiusbau di Dresda e al Contemporary Arts Center di Cincinnati in Ohio. Il progetto che lo conduce a Reggio Emilia si intitola Via ed è costituito da tante e diverse inquadrature statiche sulla Via Emilia, abitata da paesaggi suburbani o post-rurali e dal traffico pigro e incessante. Un’unica persona, in ciascuna inquadratura, arriva a rompere la routine semplicemente passeggiando, l’andatura dinoccolata, il passo deciso ma non frettoloso. Puntualmente – e scopriamo che non aveva mai non solo raggiunto ma nemmeno perseguito una meta – l’uomo spezza la direzione del proprio vagare, esce dalla strada e scompare dietro, dentro o sotto qualche elemento dell’architettura urbana. Stumpf porta in mostra anche scatti, presi negli ultimi anni in giro per il mondo, che, a loro volta, testimoniano l’analogo smarrimento della figura, una sorta di inetto letterario, preso a metà strada tra la città e la voglia di sovvertirne le regole.
Antonio Rovaldi è nato a Parma nel 1975 e vive tra Milano e New York. La sua pratica artistica indaga l’attraversamento e la percezione del paesaggio attraverso l’utilizzo di mezzi diversi, come la fotografia, il video e la scultura. Elemento ricorrente nella sua ricerca è la rappresentazione della distanza, fisica e mentale, fra luoghi reali e letterari.
Nel 2015 ha pubblicato Orizzonte in Italia (Humboldt Books), racconto di un lungo viaggio in bicicletta lungo la penisola (inclusa la Sardegna) nel quale l’artista ha fotografato ogni giorno l’orizzonte. Mo’Dinna Mo’Dinna (I wanna go back home) è un’evoluzione acrobatica dall’Emilia al profondo west degli USA, al confine tra lo Utah e il Nevada, nella città quasi-fantasma di Modena. La fotografia, una volta di più, trascina l’impossibile su un piano di realtà a noi più congeniale e ci lascia silenziosi, come Modeenah, a contemplarla.
«Una gelida mattina di metà novembre volevo andare da Parma a Modena e così, tenendomi lungo la via Emilia, all’improvviso mi sono ritrovato in mezzo al deserto».
È la volta di Alain Bublex (Lione, 1961) che ha esposto opere in prestigiose e numerose occasioni, a Parigi (Bal, Centre Pompidou), a Lione (Musée des Confluences, MAC) e cui il Musée d’Art Moderne et Contemporain di Ginevra ha dedicato una monografica nel 2007. Firma un libro d’artista, Impressions de France, e il volume Le future n’existe pas: rétrotypes, con il filosofo Elie During.
Bublex è artista poliedrico che lascia spesso che a ispirare e poi a condurre la sua traiettoria creativa siano le rimembranze dell’esperienza come designer per Renault. L’automobile diventa così in uno stesso movimento il polo di attrazione e l’esordio concezionale della produzione dell’artista francese. Le fotografie qui raccolte non fanno eccezione a questa tendenza e diventano veicolo di congiunzione tra la strada – la via Emilia, il suo paesaggio – e il ricordo. Il ricordo del territorio, forse il ricordo surreale di qualcosa che non ci è mai accaduto e che pure, chissà dove e chissà quando, avevamo già visto, già incontrato e conosciuto, si lascia riportare a noi dalla superficie di queste immagini: ritoccate con inchiostro, al confine dell’impercettibilità, esse raccontano di veicoli metamorfici ma verosimili, di sogni d’infanzia che potremmo aver vissuto.
«Si scatta una fotografia che si è già vista ed è proprio per questo che la si scatta», afferma Bublex.
«Non conosco la Via Emilia – racconta, solo qualche passo più in là, Paolo Ventura – ci sono forse passato qualche volta quand’ero bambino».
Ventura, nato a Milano nel 1968, ha esposto in musei e gallerie di tutto il mondo e le sue opere sono nelle collezioni, ad esempio, del Mart di Trento e Rovereto, del Museum of Fine Arts di Boston, della Library of Congress di Washington, del MACRO a Roma e della Maison Européenne de la Photographie di Parigi. Traiettorie, geometrie, forme pure. Un paesaggio che sembra volersi affrancare da ogni tentativo di informarlo secondo il bene o il male, una fuga, una traiettoria infinita lungo una retta, una tangente di molteplici mondi che da essa traggono identificazione e misura. Per realizzare queste letture grafiche, questi disegni geometrici, l’artista sceglie di lavorare la materia fotografica con altre materie, quella pittorica e del collage, rendendo paradossalmente queste opere uniche e irripetibili, proprio sulla soglia della loro ambizione all’universale.
Mentre si portano continuamente in scena, da qualche parte dietro la cortina del nostro sguardo, sensazioni e rievocazioni dello stile cui abbiamo fatto riferimento, a proposito della mostra originaria, è confortante e insieme sorprendente trovarsi alla prese con Alcune immagini ricorrenti.
Stefano Graziani (Bologna, 1971) insegna presso la Naba di Milano e il master Iuav /fff di Venezia. Collabora con diverse riviste e case editrici, ha pubblicato, tra gli altri: Caraibi (Humboldt Books, 2015), It seemed as Though the Mist Itself Had Screamed (Galleria Mazzoli, 2014), Conversazioni notturne (Quodlibet 2014) e ha presentato, tra le sue mostre recenti, A Small Museum fo the American Metaphor, a cura di Kersten Geers (Red Cat Gallery – Los Angeles 2014).
Le sue ricorrenze appaiono insieme, e con lo stesso punto di intensità, delle correspondances e ciò che le ricorrenze invocano, dei doni. Queste rosse mele sono i fecondi segni della vita che produce e riproduce e la celebrazione del molteplice punto di vista, dell’immobile cangiante, della placida irrequietudine.
E poi scopriamo che percorrere una strada può voler dire anche non fissarla, sempre a terra, ma trasgredire e buttare lo sguardo all’insù, a scoprire le stelle, affidarsi al loro, di tracciato. SS 9 – Strada Stellare 9 immagina un mondo che c’è, che condensa in uno sguardo passato e futuro remoti e prova a raccontarne il gioco, a giocarne il racconto di mondi alieni, di profondità spaziali, e poi di alberi, rotonde, di centri commerciali.
L’idea è di Davide Tranchina, nato a Bologna nel 1972. Nel 2003, Tranchina espone allo Spazio Aperto della Galleria d’Arte Moderna di Bologna. Nel 2009 è tra gli autori invitati alla Prague Biennale4. La ricerca 40 notti a Montecristo è stata presentata in anteprima alla mostra Perduti nel paesaggio, presso il MART di Rovereto nel 2014.
E in un balenio di stelle, siamo all’ultimo dei fotografi di questa rassegna. Dopo aver lavorato come decoratore di scenografie per il cinema, Lorenzo Vitturi (Venezia, 1980) ha deciso di portare questa esperienza nel suo studio fotografico, in cui combina fotografia, scultura e performance. Nel procedimento adottato da Vitturi, la fotografia è concepita come uno spazio di trasformazione, in cui discipline diverse si fondono insieme per rappresentare una realtà urbana sempre più complessa.
Sintesi SS9 è un progetto che combina la conoscenza storica, in particolare dell’esperienza ghirriana, riletta concettualmente quasi in negativo, e la sapienza artigiana multiforme e multidirezionale, tradotta nella combinazione eterogenea di trattamenti materici, di scelte tecniche e di padronanza degli spazi che genera attorno al visitatore un luogo che sprigiona armonia dalla cacofonia, piacere visivo dal disordine. Gli elementi iconici della Via Emilia sono lasciati affondare e liberi di riemergere in questa stanza fatta di muri incompleti, porte divenute immagini, pareti e loro elementi architettonici invasi dall’anarchia del colore. Quella di Vitturi è indubbiamente la chiusura trionfale dell’operazione Nuove Esplorazioni.
Un’operazione il cui dialogo con quella originaria è ovviamente più eloquente ma perfino più intrigante ora che, esplorate – è il caso di dirlo – le due esposizioni, ne possediamo le intenzioni, i contorni, la dimensione proiettata sul futuro.
Fotografia Europea 2016 è iniziata. La via Emilia. Strade, viaggi e confini, il tema dell’evento. Le Esplorazioni ai Chiostri di San Pietro, il suo cuore pulsante.
Reggio Emilia. Edizione 2016 di Fotografia Europea: La Via Emilia. Strade, viaggi e confini. Mostre fino al 10 luglio.