Fare i conti con gli anni Ottanta

9 Novembre 2023

Non è semplice ricostruire la storia editoriale di un libro come I sentimenti dell’aldiqua. Opportunismo, paura, cinismo nell’età del disincanto ora riproposto da Deriveapprodi. Il nucleo di partenza fu un ciclo di seminari del 1987, che riunì persone di diversa formazione culturale, inclini a coltivare interessi molteplici: filosofia, politica, arti visive, scrittura creativa, architettura, giornalismo, informatica, ecologia, cinema, oltre alle cosiddette “scienze dure”. L’obiettivo comune era riflettere sul tempo presente e cogliere i tratti caratterizzanti delle trasformazioni in corso. I primi risultati del dibattito confluirono in un inserto del “Manifesto” nel marzo del 1988, e nel settembre dello stesso anno si tenne un convegno alla Casa della Cultura di Milano per mettere a punto i metodi di indagine, rielaborare i materiali prodotti e tracciare un bilancio parziale. Nel 1990 i testi – firmati da Giorgio Agamben, Marco Bascetta, Lapo Berti, Alessandra Castellani, Lucio Castellano, Andrea Colombo, Massimo De Carolis, Massimo Ilardi, Augusto Illuminati, Franco Piperno, Rossana Rossanda, Domenico Starnone, Paolo Virno – furono pubblicati dalla casa editrice romana Theoria e riuscirono a suscitare interesse nei lettori, fino a raggiungere il primo posto assoluto nelle classifiche di vendita. È quasi superfluo sottolineare come un risultato del genere fosse, allora come oggi, del tutto insolito per una raccolta di saggi.

Le copie disponibili andarono esaurite nel giro di poco tempo, ma non ci furono ristampe a soddisfare le richieste residue. Il libro finì nel dimenticatoio e continuò negli anni successivi a incontrare l’interesse solo di poche persone: cultori, collezionisti, cercatori di esemplari unici nei mercatini domenicali. Torna oggi in una nuova veste con un’introduzione e un’ampia postfazione di Marco Mazzeo (il solo contributo di Agamben è assente per ragioni di diritti). Il risvolto e la quarta di copertina ripropongono gli stessi contenuti dell’originale, sottolineando come autrici e autori cerchino di “saldare i conti con gli anni Ottanta” esaminando i mutamenti della politica, dell’economia, del lavoro e della cultura. Il punto di convergenza delle ricerche svolte si trova nell’opportunismo, nella paura, e nel cinismo, ovvero nelle tre grandi “tonalità emotive” dell’età del disincanto. In queste “figure-cardine” – opportunismo, paura, cinismo – sono rinvenibili le maschere di un decennio, le “risposte sintomatiche a una modernizzazione e a uno sradicamento senza precedenti”, segnato dalla fluidità del processo produttivo, dalla precarietà delle nuove mansioni lavorative, e dalle conseguenti attitudini a cogliere di volta in volta le possibilità offerte dalla scacchiera sociale, in un gioco multiforme e privo di regole fisse. 

In questa complessa costruzione concettuale, risulta assente la nostalgia del periodo 1968-1977, segnato da conflittualità e spinte verso il cambiamento. A emergere è invece un tentativo organico di leggere le nuove passioni di fine millennio in maniera fredda, senza usare schemi riduzionisti. Sarebbe infatti semplice classificare l’opportunismo e il cinismo come segni di una definitiva rassegnazione all’immutabilità dell’esistente, fino a rinchiudere qualsiasi impegno umano nella logica del “qui e ora”, del vantaggio immediato e individuale. Ma autrici e autori dei Sentimenti dell’aldiqua fanno ben altro: provano a scorgere nei nuovi soggetti emersi dal sistema economico degli anni Ottanta – impiegati del terziario avanzato, artigiani dell’informatica, piccoli speculatori, agenti immobiliari, operatori telefonici, intellettuali senza occupazione dediti all’accrescimento del loro curriculum vitae – i segni di un’ambivalenza che può contenere, allo stesso tempo, una piatta adesione ai dettami del potere e una pulsione sovversiva. Viste in quest’ottica, tutte le “figure-cardine” possono mutare di segno. L’opportunismo diventa un atteggiamento utile a chi intende costruirsi fortune personali, ma anche a chi desidera cogliere l’attimo per rovesciare l’ordine costituito. La paura genera paralisi, ma offre anche motivazioni per non piegarsi alle regole vigenti. Il cinismo stimola la cura del privato, ma anche uno sguardo critico verso una macchina economica che favorisce nuove forme di schiavitù.    

Paolo Virno invita a non considerare “la situazione emotiva” del suo tempo come un dato irreversibile. L’intimità con le logiche dominanti non può essere catalogata come un semplice abbandono delle prospettive di cambiamento. Le “istanze di liberazione” possono ancora avere un senso, soprattutto se percorrono gli stessi sentieri “lungo i quali si è consumata l’esperienza dell’opportunista e del cinico”. Quasi a fargli eco, Massimo De Carolis si mette sulle tracce di una “fenomenologia dell’opportunismo”, accomunandolo alle “istanze radicali di trasformazione etica e politica” affermatesi nel corso degli anni Settanta. La capacità di sfruttare le occasioni offerte dal mondo affonda le radici nel bisogno di libertà, ormai diventato “valore etico supremo” e non negoziabile. La capacità di muoversi nei labirinti del possibile può produrre effetti diversi sull’individuo: consentirgli l’affrancamento dal caos, dargli modo di seguire in maniera comoda la corrente dominante, ma anche incoraggiarlo a coltivare forme imprevedibili di resistenza. Sulla stessa linea di pensiero si muove Marco Bascetta, che tiene conto del “rancore dell’arrivista non arrivato”, una “sorta di idolatra, vittima di quella stessa religione competitiva cui ha votato se stesso”. In quello stesso rancore trovano alloggio “i germi di una eccedenza” che stimola il rifiuto della maschera sociale e favorisce l’insorgere di un talento anarchico, incline a produrre “comportamenti versatili e individualizzati” non inquadrabili negli argini imposti dal sistema produttivo.

Lo “spazio impolitico” è al centro dell’indagine di Augusto Illuminati. A popolarlo sono – secondo il filosofo – le “figure del ritiro e della solitudine”, che non hanno più alcuna dimestichezza con il dissenso politico organizzato, ma riescono comunque a esprimere insofferenza, a coltivare “atteggiamenti critici verso la realtà circostante”, e produrre fenomeni di “attrito con il mondo”. Pur senza identificarsi come membri di una classe sociale, i disoccupati, gli studenti fuori corso, i tecnici di fabbrica, gli smanettoni del computer hanno in comune la consapevolezza di essere dei marginali: è quindi lecito chiedersi se la loro disposizione esistenziale possa essere veicolata verso una forma inedita di lotta politica. Diversa ma complementare è la prospettiva di Domenico Starnone, che connette l’opportunismo ai dispositivi del discorso ironico, interessato a suo avviso da un’evoluzione tumultuosa. Lo scrittore sottolinea come la cultura di massa sia ormai abituata al dominio della provvisorietà e del sapere aleatorio, e abbia ormai acquisito un’alta familiarità con gli espedienti della retorica. Non è più una minoranza a comprendere le regole del gioco. C’è al contrario una “volgarizzazione dell’attività demitizzante” che trasforma la rappresentazione del mondo in un mero artificio combinatorio. La voce ironica può quindi sfruttare “miriadi di intrecci” possibili, generando instabilità comunicativa, piegando il giudizio verso l’ordine esistente a contingenze e convenienze (“comunica consenso fingendo dissenso”; “comunica dissenso fingendo consenso”). 

Anche il cinema degli anni Ottanta finisce sotto la lente di ingrandimento dei Sentimenti dell’aldiqua grazie all’analisi di Andrea Colombo, che lo considera un “medium detronizzato” impegnato a mettere “in scena il suo stesso declino”, assimilando e replicando linguaggi elaborati in televisione. Una delle chiavi di volta è l’immagine del mondo giovanile che emerge dalle pellicole del decennio. Il protagonista di Class (di Lewis John Carlino, 1983) riesce a intrufolarsi nel terminale scolastico per regalarsi una pagella con voti alti. In War Games (di John Badham, 1983) un genio dei computer entra nel sistema di difesa del Pentagono e rischia di scatenare una guerra nucleare. Soul Man (di Steve Miner, 1986) racconta invece di un adolescente che si finge afroamericano per accedere a una borsa di studio riservata alle minoranze entiche ed entrare ad Harvard. Sono personaggi anticonformisti, autonomi, spericolati, per l’appunto cinici e opportunisti: le loro azioni risultano “funzionali alle esigenze del dominio”, ma non esistono garanzie concrete di una loro permanenza duratura all’interno dell’universo della sconfitta o della debolezza. Sono personaggi dotati di un potenziale distruttivo, che può essere messo al servizio del successo individuale, ma può anche essere usato per far saltare il tavolo e trasformarsi in dissenso radicale. 

Anche la sensibilità ecologica trova una sua dimensione specifica nelle trasformazioni in corso. Lucio Castellano sottolinea, nel suo contributo, quanto sia centrale l’idea di catastrofe per comprendere le direzioni intraprese dal “pensiero verde”. Un ruolo centrale è occupato dalla paura. Le teorie tradizionali continuano infatti a considerare il trauma potenziale – il futuro annientamento dell’umanità – come una forza ordinatrice “nel pollaio dello sviluppo” e del consumismo. È tuttavia illusorio pensare che sia la natura a imporre “un accordo sulla giusta misura delle cose”, offrendo alle persone la via giusta per evitare errori fatali: il compito spetta a chi è capace di muoversi nella concretezza del mondo e di approfittare, anche in maniera “opportunistica”, delle occasioni suggerite dal presente. Alle metropoli come “mondi possibili” guardano invece Alessandra Castellani e Massimo Ilardi, spiegando come la distribuzione degli spazi urbani sia ormai estranea alle logiche della professione o della residenza. Il lavoro si mescola al divertimento, le abilità economiche agli interessi personali, fino a svuotare di significato la contiguità sociale e spaziale. La città smette di essere una comunità politica naturale, trasformandosi in un’entità friabile attraversata da soggetti che trovano nel consumo una “potenza individuante”, finendo per autorappresentarsi sulla base del possesso di beni “convertibili, trasformabili, scambiabili”. In un contesto del genere, l’individuo diventa un crocevia di biografie possibili. Esprime allo stesso tempo euforia per la sua libertà e rabbia per il suo malessere. 

Nel saggio finale del volume emerge la voce critica di Rossana Rossanda, che si interroga sulla vera identità degli sconfitti. Senza mezzi termini, la celebre fondatrice del “Manifesto” accusa i suoi compagni di avventura di non aver elaborato il lutto per gli esiti della lotta politica degli anni Settanta, declassando le esperienze del passato a errori da rinnegare: “Nessun conflitto lascia i confini dove erano e nessuna guerra il paesaggio intatto”. Le nuove figure che popolano i paesaggi sociali – cinici, opportunisti, o semplici cercatori di fortuna – non danno conto di quello che è avvenuto nelle recenti transizioni storiche. Perché è venuta meno “la comunità di condizione” di chi si batteva per il cambiamento? Sono state le ragioni materiali a incidere? O si è trattato solo di una dispersione delle forze in lotta? E davvero la struttura dell’esistente si può intaccare passeggiando fra gli interstizi del potere, usando gli strumenti del dominio? 

Una risposta prova a darla Marco Mazzeo, a più di trent’anni di distanza, in una Postfazione che cerca di proiettare i Sentimenti dell’aldiqua sul nostro presente. Gli spazi dell’opportunismo, del cinismo e della paura sono occupati oggi dallo stress, dalla disattenzione e dalle fantasie di complotto. I disagi più evidenti sono causati dallo squilibrio fra la quantità di informazioni disponibili e la capacità della mente umana di gestirle. A metà anni Novanta venivano pubblicati negli Usa 60.000 libri in 12 mesi. Nel 2010 sono state inviate 294 miliardi di email. Nel 2022 sono stati scritti 500 milioni di tweet al giorno. In questo terreno trova alimento la crisi di comprensione del reale. Il complottista degusta quella stessa crisi, la sublima, confessando implicitamente la sua impotenza ad agire. Si concentra su dettagli visibili e prossimi – i migranti, i vaccini, le tecnologie, le scie chimiche – per disegnare scenari inquietanti sulla trame oscure dei governi. Ignora le cause storiche dei grandi cambiamenti socio-politici ed economici, attribuendo le responsabilità dell’accaduto a pochi individui che si muovono nell’ombra e decidono i destini della collettività. Nonostante ciò, egli ha in sé un’ambivalenza profonda che connette l’oscenità del pensiero superstizioso con l’impulso partecipativo necessario a promuovere istanze di palingenesi. In altre parole, pur essendo imbevuto di idee non plausibili, possiede energie preziose da investire nella lotta politica. Partendo da questa consapevolezza, possiamo trovare il coraggio di puntare lo sguardo nelle pieghe del presente, per cercare spiragli e sperimentare nuove forme di mobilitazione. Nell’aldiqua sono nascosti molti futuri possibili: bisogna condurli nella sfera degli obiettivi concreti, raggiungibili con la razionalità dell’agire umano.

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