L'altra metà del cielo / Le donne e la chiesa
Negli ultimi decenni tra le donne e la chiesa cattolica è andata crescendo un'inimicizia del tutto nuova che talvolta si esprime con toni duri, espliciti, persino esacerbati, talvolta è silenziosa, strisciante, addolorata; per lo più assume la forma di un'assoluta indifferenza. Questa è la sua faccia più radicale e ne mostra chiaramente la gravità; è come se si fosse oltrepassata una soglia da cui pare difficile tornare indietro. Si tratta di una situazione del tutto nuova. Infatti, per secoli e quasi fino all'altro ieri, per così dire, nonostante molte difficoltà e ancor più delusioni le donne hanno costituito la base più appassionata, tenace e fedele della chiesa cattolica, il suo zoccolo duro. Oggi il loro allontanamento e la loro disaffezione hanno assunto dimensioni tali da allarmare sia le gerarchie ecclesiastiche sia chi ha a cuore il futuro del cristianesimo.
La secolarizzazione crescente e l'emancipazione femminile sono tra le cause che, in varia misura, hanno portato a questa inedita situazione. Tuttavia, rispetto alle chiese sorelle del mondo della riforma, senza dubbio quella cattolica sembra avere con le donne (e anche con la società contemporanea nel suo insieme) un rapporto più difficile, il che rende la sua situazione apparentemente più grave. La disaffezione delle donne, alle quali è principalmente delegata l'educazione religiosa dei bambini, tra l'altro, si ripercuote fortemente sulla religiosità degli adulti, e ne risulta una frequentazione sempre più scarsa delle chiese. Il numero dei praticanti è diminuito al punto di scuotere anche quelle frange del clero che non si erano lasciate troppo turbare dall'incongruenza tra il Vangelo e l'emarginazione femminile; tra lo sguardo libero, accogliente e limpido con cui Gesù guardava le sue interlocutrici, e quello offensivamente condiscendente o diffidente, talvolta proprio arcigno, con cui ancora certi religiosi si rivolgono alle donne.
Il paradosso è che la chiesa ha perso in gran parte la sua presa sull'universo femminile nel mondo occidentale (America ed Europa), mentre altre regioni del mondo giustamente la guardano «come l'istituzione che più e meglio difende la dignità delle donne» (Lucetta Scaraffia). Questo è vero soprattutto in Africa, e in tutti i paesi in cui la società civile non ha ancora recepito, nella mentalità e negli ordinamenti, i valori di libertà e uguaglianza che, finora, hanno reso grande l'Occidente. Lì la chiesa sa mostrare ancora tutta la sua forza civilizzatrice.
Ma le Scritture, e il Vangelo in particolare, giustificano un atteggiamento discriminatorio nei confronti delle donne? Nell'Antico Testamento si dice che il terrestre (adam) fu creato a immagine di Dio, maschio e femmina: per quei tempi non è poca cosa in fatto di dignità e uguaglianza! Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, oltre all'atteggiamento di Gesù, si può ricordare l'affermazione rivoluzionaria di Paolo nella lettera ai Galati: «Non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 28). Vi si enuncia l'uguaglianza di ogni essere umano in Dio. Abbiamo assimilato le prime due indicazioni paoline, perché tanta fatica ad accogliere la terza?
Per capire lo stato della questione e quale potrebbe essere la via per un dialogo utile, scevro da polemiche e da prese di posizione ideologiche, può essere di grande aiuto la lettura di due brevi saggi pubblicati recentemente. Nel primo, Dall'ultimo banco (Marsilio 2016), Lucetta Scaraffia, storica e giornalista, racconta la sua esperienza come auditrice al Sinodo sulla famiglia tenutosi nel 2015. Ne ricava un'analisi molto acuta dell'atteggiamento ecclesiastico verso le donne e la società odierna, di cui individua le origini e prospetta le probabili (e disastrose) conseguenze per la chiesa e il cristianesimo se si procederà sulla stessa strada. Il secondo libro, Una fede al femminile (Qiqajon 2018), raccoglie quattro interventi di Anne-Marie Pellettier, biblista e docente di sacra Scrittura ed ermeneutica biblica, vincitrice del Premio Ratzinger-Bendetto XVI per la teologia nel 2014, autrice delle meditazioni lette durante la Via Crucis del Papa del 2017. Nel saggio di Scaraffia la questione femminile è considerata nel quadro più vasto del rapporto tra il mondo di oggi e la chiesa cattolica. In quello di Pellettier, invece, il focus è posto da un lato sul contributo fondamentale dato alla teologia da molte pensatrici, e dall'altro sulla necessità di costruire un nuovo rapporto tra uomini e donne nella chiesa, la cui mancanza mette a rischio la sopravvivenza stessa dell'istituzione ecclesiastica.
Già alcuni anni fa, il teologo gesuita francese Joseph Moingt, dicendosi convinto che la maggioranza delle donne non ambisca al sacerdozio né a posizioni di potere, affermava di essere altrettanto certo che si sentissero offese, ferite e umiliate dalla discriminazione sessuale vigente nella chiesa, tra l'altro in evidente violazione dei diritti umani che sanciscono l'uguaglianza senza distinzioni di sesso (cfr. J. Moingt, Les femmes et l'avenir de l'Eglise, «Etudes» 2011). Senza mezzi termini Moingt denunciava questa discriminazione come una tendenza suicida da parte della chiesa che, affermava, può realizzare la propria missione solo nell'inclusione libera, autentica e convinta dell'altra metà del cielo. Senza la quale, dal punto di vista biblico, l'essere umano non è immagine di Dio.
Sia per Lucetta Scaraffia sia per Anne-Marie Pellettier, il nodo centrale dell'avversione tra donne e chiesa riguarda la morale sessuale e familiare richiesta (o piuttosto imposta) dalle gerarchie ecclesiastiche, e avvertita dalle donne laiche, comprese moltissime cattoliche praticanti, come un «abuso d'autorità» (Pellettier), come un'indebita ingerenza nella sfera della vita privata da parte di chi, troppo spesso, prende decisioni improntate a una rigidità autodifensiva. E comunque sempre in base a considerazioni frutto del «pensiero di uomini celibi, che non hanno esperienza di famiglia e non sanno niente delle donne. Le quali, d’altro canto, giustamente, non accettano più che si parli di loro senza che se ne ascolti la voce, l’esperienza» (Scaraffia). Impressionata dall'ignoranza della storia di molti padri sinodali, Lucetta Scaraffia ne sottolinea le gravi conseguenze: «Sembra che nessuno – afferma – a parte un vescovo di Malta, sappia che la famiglia difesa in questo modo è quella disegnata intorno alla metà del Cinquecento dal concilio di Trento, nel corso del quale i padri definirono per la prima volta ufficialmente il matrimonio come sacramento…» L'immagine della donna tramandata nella chiesa sembra ormai avere poco a che fare con la realtà del vivere e del sentire femminile. Inoltre, molte controversie rivelano «un certo modo d'investire la differenza sessuale di un significato di sacralità molto equivoco» (Pellettier), al punto che persino un documento come la Mulieris dignitatem, accolto con molta speranza dalle donne cattoliche, oggi provoca piuttosto un senso di fastidio, perché nei fatti si è tradotto un po' in una presa in giro (Scaraffia). Insomma, si parla troppo delle donne e si decide per loro, ma non le si ascolta.
E naturalmente c'è la questione del sacerdozio femminile, che Anne-Marie Pellettier non considera per nulla marginale, come qualcuno potrebbe pensare. Mostrando la debolezza di un discorso teologico «incapace di vedere la sua stessa chiusura nell'orizzonte maschile», la studiosa fa emergere il vero problema ad essa sotteso. Non si tratta, infatti, come insinuano o temono molti ecclesiastici, di una volontà di potere da parte delle donne. L'obiezione, tra l'altro, si presterebbe a essere rivolta polemicamente contro di loro, accusandoli di non volere rinunciare al potere che a loro deriva dall'accesso esclusivo al sacerdozio. Ma al di là delle polemiche, inutili e sterili, si tratta, sostiene Pellettier, di riconoscere che essa crea una dissimmetria tra la sfera del maschile e quella del femminile, perché attribuisce soltanto alla prima la piena dignità di rappresentare il divino. Anche l'uso del rapporto tra uomo e donna come metafora di quello tra Dio e Israele, afferma, non rende giustizia alle donne che si trovano inevitabilmente raffigurate come l'elemento fragile, manchevole e fedifrago dell'alleanza (come è l'uomo rispetto a Dio).
Insomma, sostengono entrambe le studiose, è teologicamente sbagliato, profondamente ingiusto, non conforme alla mentalità di Gesù e dannoso per la chiesa e la società, offrire come modello della pienezza cristiana la mascolinità. È necessario, ribadisce più volte Pellettier, per il bene di tutti ma soprattutto per il bene della chiesa, costruire nuove relazioni tra uomo e donna, senza permettere che preconcetti e timori impediscano di scorgere la via verso un futuro che può essere ancora ricco e creativo, come sono stati i venti secoli passati. Per procedere in questa direzione suggerisce di restituire alla sua centralità originaria il ministero battesimale, che appartiene a tutti i battezzati e li autorizza di per sé – e li impegna – a testimoniare la fede con le parole e le opere; e riportare in secondo piano, il ministero sacerdotale, sicuramente successivo al primo e non esplicitamente istituito da Gesù in modo inequivocabile.
Guardato con gli occhi di una donna Dio mostra qualcosa di sé che gli uomini (maschi) faticano a cogliere. Lo testimoniano senza dubbio figure come Simone Weil, Edith Stein e Etty Hillesum, alle quali si deve una riflessione altissima sul male: hanno saputo guardarlo diritto negli occhi, patirlo sulla pelle senza perdere né umanità, né ragione, né fede. È grazie a loro «se oggi possiamo ripensare il Novecento in modo meno disperato, se riusciamo a non vedere nella Shoà la "morte di Dio". Sono donne … che sono riuscite a trovare risposte quando gli uomini tacevano» (Scaraffia), quando la loro umanità sembrava destinata alla sconfitta.
Non è ancora abbastanza?