Sulla consolazione. Trovare conforto in tempi bui

26 Dicembre 2022

“Consolate, consolate il popolo mio…”, esortava il secondo Isaia invitando Israele, da tempo deportato in Babilonia, a ritrovare lo slancio per tornare a Gerusalemme e ricostituire la nazione dispersa. Cosa ci può consolare nei momenti oscuri della Storia, nelle tragedie personali o nello sconforto che spegne la voglia di vivere quando un fallimento destruttura la nostra vita? Molte cose, in effetti, che si riassumono in una sola parola: la speranza. Nessuno, onestamente, riesce a vivere se non spera in qualcosa. E se il bisogno di consolazione è sempre lo stesso, ciò in cui la si cerca è cambiato nei secoli.

O forse è meglio dire che, a seconda delle epoche storiche, l’uomo ha posto la sua speranza in cose diverse, senza che necessariamente le nuove speranze cancellassero quelle antiche. “In quale consolazione possiamo ancora credere”, si chiede Michael Ignatieff nel suo libro Sulla consolazione (Vita e Pensiero, 2022), oggi che “viviamo in un mondo profondamente scettico” in cui “il premio della consolazione ha perso ogni attrattiva: una cultura che insegue il successo non dedica grande attenzione al fallimento, alla perdita o alla morte. La consolazione è per i perdenti”. 

Michael Ignatieff è uno storico canadese, autore di molti libri, uomo politico per un periodo leader del partito liberale del suo Paese, e racconta di avere cominciato a riflettere sul tema della consolazione, per lui inusuale, a seguito di un’intensa esperienza vissuta a Utrecht nel 2017. Nell’ambito di un festival di musica corale in cui quattro cori avrebbero cantato i salmi, lui doveva tenere una conferenza sul tema della giustizia nel Libro dei Salmi. Ascoltando la musica e le parole, ebbe un’esperienza, che egli stesso definisce catartica, di grande consolazione e si chiese da dove venisse quel sentimento e come potesse essere provocato in lui, non credente, da un testo religioso vecchio di duemila anni e più. 

Il risultato della ricerca avviata da quell’esperienza è il libro di cui stiamo parlando, Sulla consolazione, in cui l’autore, attraverso una carrellata di personaggi che vanno da Giobbe a Cicerone, da Boezio a El Greco, da Montaigne a Condorcet, da Marx a Camus e Cicely Saunders e molti altri, ripercorre le tradizioni di consolazione offerte dalla religione, dalla filosofia e dalla fede laica nel progresso. Quelle tradizioni che si sono sviluppate nel corso di migliaia di anni, afferma, ci toccano e ci ispirano ancora. Grazie alle loro testimonianze comprendiamo che i dolori e le tragedie dei nostri tempi o della nostra vita, sono stati già affrontati da altri nel corso della Storia e riusciamo a relativizzare il nostro presente, collocandolo nel flusso delle vicende umane. Consolare deriva da una parola latina che significa trovare conforto insieme. La vicinanza spirituale con chi ha sofferto ieri ciò che noi patiamo oggi, allevia il senso di smarrimento e di isolamento in cui il dolore ci sprofonda, e attenua il terrore di vivere un tempo senza futuro e senza speranza. 

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I ritratti seguono un ordine cronologico, iniziando dai Salmi che sono voce collettiva universale di chi si sente spaventato, solo, braccato e perso. Si passa poi a Giobbe, l’emblema del giusto sofferente del quale è riconosciuto il diritto a gridare il proprio dolore, a cercare la verità rifiutando il conforto banale e retorico degli amici. Il conforto non basta, sottolinea Ignatieff, perché è transitorio e fisico; aiuta, ma ciò di cui si ha bisogno è la consolazione, che è duratura in quanto “è un’argomentazione sul perché la vita è così come è e sul perché dobbiamo continuare ad andare avanti”. Per Giobbe la risposta di Dio al suo grido non è una spiegazione sulle ragioni del suo patire, ma l’affermazione che il suo grido è ascoltato da una divinità incommensurabile e inconoscibile, ma non sorda né muta. Paolo di Tarso testimonia la consolazione cristiana, la più scandalosa e grande, riposta nella fiducia in un Dio che ama fino al sacrificio di sé e attesta la vittoria sulla morte e sul male, aprendo il cuore alla speranza di una vita futura, vita piena ed eterna. 

Lo stoicismo romano, che aveva fatto della consolatio un genere letterario specifico, invita a cercare consolazione nella filosofia, “che insegna come dobbiamo vivere e morire”. Cicerone, il più noto rappresentante di questa tradizione, dopo la morte della figlia trovò forza nella convinzione di dovere essere un esempio di autodisciplina e moderazione per la società a cui apparteneva. L’imperatore Marco Aurelio si rivolse al dialogo con se stesso per alleviare le fatiche e la solitudine delle campagne militari scrivendo i Pensieri e anche il filosofo Severino Boezio, in attesa dell’esecuzione, si appellò alla filosofia e scrisse il De consolatione philosophiae

Molto lontano dal distacco degli stoici, nel XVI secolo il francese Michel de Montaigne, afflitto da molte magagne e dolori fisici, cercò “sollievo nei piaceri, nei ritmi, nella resilienza del corpo umano. Così facendo sposta la ricerca della consolazione dalla mente alla sensazione, istante per istante, che la vita sia degna di essere vissuta semplicemente perché se ne può percepire il ritmo scorrere nelle vene.” Il marchese Nicolas de Condorcet, matematico e politico francese, vittima del Terrore scatenato da quella stessa Rivoluzione che lui aveva tanto esaltato, si aggrappò sino alla fine alla fiducia nel progresso, alla convinzione che il futuro vedrà una realizzazione progressiva della ragione umana e dei suoi valori. Anche Karl Marx ripose la sua fede nel compimento, demandato al futuro, della rivoluzione, laicizzando la religione e sperando in un domani di giustizia per tutta l’umanità, in un’escatologia senza Dio.

Nel mondo occidentale oggi domina lo scetticismo: il paradiso è scomparso e la fede nel progresso umano non sta molto meglio. Allora, quale possibile consolazione c’è quando siamo davanti alla morte, il momento ineluttabile che sancisce la nostra definitiva sconfitta? Cicely Saunders, la fondatrice del movimento degli Hospice per gli ammalati terminali, testimonia di un’ultima consolazione ancora e sempre possibile. Al di là del paradiso, di una nuova vita o di un mondo nuovo, sulla Terra o altrove, la riconciliazione con se stessi e il proprio passato, la possibilità di amarsi e sentirsi amati fino all’ultimo istante è l’unica, vera consolazione permessa qui e ora agli esseri umani. Abbiamo amato, siamo stati amati, abbiamo dato al mondo quello che abbiamo potuto e saputo dare, ne abbiamo ricevuto in cambio esperienze e conoscenza. Con umiltà e senso del limite, possiamo essere riconoscenti per avere avuto qualcosa che non ci siamo meritati – l’occasione di vivere – e con dispiacere, ma anche con accettazione, possiamo lasciare il nostro spazio ad altri. Sperando, ognuno, in ciò che più consola il suo cuore.

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