Filosofie del vivere bene
Filosofia: amore per la sapienza. La sapienza non ha a che fare con la conoscenza, ma con la contemplazione, l’esperienza e l’etica. È l’arte di vivere bene nel contesto sociale in cui ci si trova e di vivere bene con se stessi. Un’arte antica, che probabilmente è nata insieme al formarsi delle società. Il sapiente osserva il mondo e se stesso, indaga la propria interiorità cercando armonia e pace; trovata una via, la indica agli altri perché raggiungano, se vogliono, quello che lui stesso ha raggiunto. Quello che il sapiente sa e trasmette non è frutto dei suoi studi ma dell’apprendimento pratico ed esperienziale. Nella tradizione antica biblica, digiuna ed estranea alla filosofia, tutto questo si trova nei libri detti sapienziali nei quali un anziano dice a un giovane tutto quanto ha imparato per ottenere “la sapienza del cuore”, l’arte di vivere in armonia con se stesso, con gli altri e con Dio. La sapienza del cuore è ciò che permette di vivere una vita felice, così come la intendevano gli antichi, che non la identificavano con la soddisfazione di sé, dei propri bisogni e desideri. La vita può essere felice soltanto se è anche una vita buona, ispirata al bene e generatrice di bene.
Curare i mali dell’anima, eliminare quello che ostacola la ricerca della felicità è un desiderio inestinguibile, un’aspirazione che ritroviamo in ogni tempo, tradizione e cultura. Grazie a grandi maestri ogni civiltà ha elaborato una sua via, un percorso di addestramento attraverso il quale chi lo volesse avrebbe potuto aspirare alla liberazione interiore e alla guarigione dei mali dell’anima, della mente e dello spirito. Esercizi di filosofia, dunque, che è anche il titolo di una recente collana in corso di pubblicazione per le edizioni Ets diretta dal filosofo Luca Mori con l’obiettivo di “mettere a disposizione dei lettori un inedito repertorio globale e sinottico dei metodi di esercizio e delle tecniche di auto trasformazione che gli esseri umani hanno concepito e praticato fin dall’antichità”.
I primi tre volumi sono dedicati al filosofo greco Socrate (V sec. a.C.), al maestro indiano Patanjali (IV-V sec. a.C.) autore delle 195 disposizioni raccolte negli Yogasutra, e a Evagrio Pontico (IV sec. d.C.) monaco originario del Ponto (Turchia settentrionale) autore di molte opere tra cui l’Antirrheticos (Contro i pensieri malvagi, ed. Qiqajon) in cui raccoglie i suoi insegnamenti per aiutare i monaci a resistere ai ‘demoni’ che ne minacciano la serenità, in seguito chiamati dalla dottrina ‘vizi capitali’. Il libro dedicato a Patanjali, il cui autore, Federico Squarcini è un eminente studioso di sanscrito, difficilmente può essere compreso da chi già non conosca bene gli Yogasutra o non sia almeno un cultore di sanscrito. Mentre i volumi di Luca Mori (Socrate) e di Roberto Alciati (Evagrio) sono fruibili anche da chi non conosce approfonditamente gli autori trattati.
L’aspetto più interessante che emerge da questi primi tre libri (e che immagino sarà confermato dalle future uscite) è la sintonia tra Socrate, Patanjali ed Evagrio, pur così lontani e diversi, non solo per quanto riguarda gli intenti del loro lavoro, ma anche i metodi, la definizione dei mali, la cura proposta. Il che rivela, e non ci sorprende, che gli esseri umani sono sempre gli stessi; certo evolvono e avanzano – purtroppo talvolta indietreggiano – sul cammino dell’evoluzione culturale e civile, ma il loro animo è sostanzialmente lo stesso e desidera una felicità la cui ricetta sembra essere sempre la stessa: la pace interiore e l’armonia con se stessi, con gli altri, col mondo. Semplice a dirsi, ma tutt’altro che facile da raggiungere. La strada, comunque, sembra essere una sola e difficile abbastanza da non garantire affatto che tutti riescano a percorrerla. Infatti prevede che ad essa ci si dedichi anima e corpo, letteralmente – basta pensare agli esercizi ginnici consigliati da Socrate, ma ancor più alla pratica dello yoga che sta alla base dell’insegnamento di Patanjali, e anche alle pratiche ascetiche dei monaci ai quali si rivolge Evagrio, necessarie per avere dominio di sé.
Socrate è considerato il primo che «fa emergere nella coscienza occidentale la pratica degli esercizi spirituali». È nota a tutti la sua esortazione: “conosci te stesso”. In parole diverse per tutti i tre sapienti è questo il primo passo: guardare profondamente dentro di sé, con serietà e sincerità per conoscere i moti del proprio cuore. Se non conosciamo noi stessi o non siamo sinceri nel vedere ciò che ci affligge e ci turba non possiamo nemmeno sperare di guarire quelle che il monaco Evagrio chiama le afflizioni dello spirito.
Questa conoscenza dovrebbe portare alla giusta valutazione di se stessi, alla visione della realtà, dunque all’abbandono delle illusioni, che spesso sono causa di grandi sofferenze.
Il percorso è lungo, come dicevo, difficile, l’esercizio è continuo e deve coinvolgere la vita. Per questo motivo non può essere affrontato da soli. Ci vuole un maestro o un compagno che faccia da interlocutore, non tanto che insegni ma che accompagni a scoprire e a capire da sé quello che davvero abbiamo nel cuore, quello che crediamo sinceramente, quello che invece crediamo di credere e non è altro che la convinzione inculcata da altri. Socrate chiamava quest’opera maieutica, l’arte della levatrice di trarre fuori il bambino. Lo spirito può aspirare alla pace solo partendo dalla consapevolezza della propria inquietudine, imparando qualche tecnica per placare l’agitazione, normalmente attraverso il controllo del respiro, ma anche recitando delle parole che riportano la mente – la scimmia, così è detta talvolta – nel recinto del qui ed ora.
A questi tre primi volumi ne seguiranno altri, secondo il piano della collana, e sarà interessante vedere l’evolversi nei secoli dell’insegnamento della difficile arte di vivere bene.