Matto e mostro / Lo strano Federico Tavan

1 Febbraio 2020

Federico Tavan nasce “strano” perché, quando è ancora in pancia, riceve la maledizione della strega del paese. Così la pensano ad Andreis, un borgo incantato, in cui vivono meno di 250 anime in Val Cellina, nel Friuli più segreto, al confine con l’“Italia”. L’Italia, a iniziare dal Veneto, è un posto dove non si parla la marilenghe, la lingua madre, il friulano. Mentre ad Andreis l’italiano è cosa che si usa solo sui banchi di scuola.

Andreis è fatto di case in pietra con i ballatoi in legno, dove si può lasciare il fieno ad asciugare. C’è il torrente Alba che a volte è azzurro e altre verde fosforescente: lo guardi e sai che esistono le fate. Poi alzi la testa, vedi le montagne vicine, e sai, che se il tempo si fa grigio, di un grigio-dolore, esistono anche le streghe. Come quando il mondo si è capovolto lì vicino, a Erto e Casso, dove un pezzo del monte Toc ha fatto strabordare la diga del Vajont.

 

Anche lì, colpa delle streghe come Giacomina, la vecchia laida, corrosa dalla solitudine e dalla disperazione, che vede Cosette Tavan, la futura madre di Federico, entrare in chiesa con il grembo leggermente dilatato, la camminata consapevole di chi porta un carico prezioso. Mentre Cosette chiede alla Madonna di crescere un bambino sano, Giacomina dietro di lei, urla e strepita. Le scaglia addosso la disgrazia e Federico il 5 novembre 1949 viene fuori “storto”: per gli altri, non per Federico.  Ringrazio/ la mia strega/ e quelle successive/ che m’hanno dato/ occhi/ color della terra e del grano/ simili a quelli di nessuno. Ringrazio/ quelli della mia età/ che m’hanno dato la solitudine per diventare poeta... Ringrazio/ la pazzia/ che m’ha permesso/ di restare me stesso...

Scrive raramente in italiano Federico: la sua espressione immediata è il dialetto, sensibile come un sismografo alle distanze. Bastano pochi chilometri per cambiare consonanti, vocali e accenti, come dimostra il casarsese Pasolini, il chiusano di Pier Luigi Cappello, il medunese di Ida Vallerugo. L’andreano di Federico è più dolce: ha un’accentuata rotondità del suono, le esse calcate e pastose, che sanno dire bene ugualmente il dolore e la solitudine del pazzo veggente.

 

 


Ha saputo raccontare la storia di questo poeta “matto e mostro” con una narrazione già di per sé lirica Alessandro Mezzena Lona in Il poeta delle pantegane (Acquario, Milano-Torino, pagg.126, € 9), titolo che prende spunto dall’incipit di alcuni versi di Tavan: E soi al poeta de li pantianes/ ch’i me impaltamèa lì mans/ La fogna a me plâs/ parceche éis in bas... (Sono il poeta delle pantegane/ che mi infangano le mani./ La fogna mi piace/ perché è in basso) .

Si sente molto simile a Giacomina Federico e da adulto le scrive una lettera d’amore. “Giacomina, ti amo. Da sempre solidarizzo con i perdenti Ti amo nonostante tu mi abbia maledetto, ucciso tutte le galline del pollaio, offerto caramelle avvelenate”.  

 

Federico cresce rincorrendo fantasie sui prati, giochi da cowboy, solo, solissimo, nessuno lo vuole toccare. Ma lui non si arrende, cerca, spinge, vive. Al era la neif. / ’E rideve alta vous./ ’E cordeve d’éisse/ in t’un altre paèis./ Jè strengêve la man./ ’E veve catordeˆs ans./ ’E cjaminave cuntravint./ Ài da jescî,/ bisugn che jêsce./ Vuoi matiâ/ vuoi vîve jò, vuoi vive./ A catordeˆs ans/ a se pôut./ O mai pì (C’era la neve./ ridevo a voce alta./ Credevo di essere/ in un altro paese./ Le stringevo la mano./ Avevo quattordici anni./ Camminavo controvento./ Devo uscire,/ bisogna che esca./ Voglio giocare/ voglio vivere io, voglio vivere./ A quattordici anni/ si può./ O mai più).

Niente amici: dagli altri, anzi, son calci, pugni, sputi. Figuriamoci l’amore, sui cui mette una pietra tombale e vi dedica dei versi, a cui mette titolo Amen

E ch’al sêe/ cussì per sempre./ Amen./ E li fémenes?/ cê sôni / li fémenes? (E sia/ così per sempre./ Amen./ E le donne?/ che cosa sono/ le donne?).

 

L’unico amore che gli è concesso è quello materno. Anche il padre gli vuole bene, ma non crede alla sua incapacità di stare al mondo “come dio comanda”. La dura legge dei friulani dice che se non sei capace di mantenere un lavoro sei un parassita e che se ti ricoverano al manicomio vuoi solo fare il furbo.

Il padre non gli crede perché quando lo mandano a scuola dai preti, al Don Bosco di Pordenone, Federico è bravo, è considerato intelligente. Ma per lui è una tortura vivere senza montagne, dove ci sono solo preti. “Un esercito. Un esercito scodinzolante in nero”. Non trova dio lì dentro: E cuan ch’al mierle/ al à perdût la vous/ pa’ la val/ ce freit (e quando il merlo / ha perduto la voce / nella valle / che freddo). “Venite a prendermi “, scrive ai suoi. “Sennò mi ammazzo”. 

 

Escogita un trucco per uscire dalla prigione del collegio; sviene in continuazione, ma quando lo portano in ospedale nessuno crede che lo faccia apposta: lo ricoverano, una, due, tre, enne volte: strada lunghissima e senza fine. Punture, sonno, punture, sonno, stordimento, psicofarmaci, alcol.

Federico per 64 anni – è morto nel 2013 – passa attraverso il fuoco, ma riceve anche qualche carezza. Il coraggioso circolo culturale friulano Menocchio intuisce il valore delle sue poesie e le pubblica. Lo aiutano gli amici friulani e in particolare il giornalista Paolo Medeossi. Viene segnalato da intellettuali come Claudio Magris, Franco Loi, Carlo Ginzburg, Marco Paolini, Danilo De Marco, che lo ha immortalato in fotografie che sono specchio della poetica di Tavan.

 

Mezzena Lona racconta la sua epopea in forma libera con l’umanità che è stata la cifra del suo percorso professionale da giornalista al Piccolo di Trieste, in cui è stato responsabile della sezione Cultura, catturando istanze culturali al di là del confine in un’ottica di dialogo (fu lui a segnalare a Fazi il capolavoro di Boris Pahor, Necropoli). Mezzena non è nuovo alla letteratura: ha scritto saggi e gialli assai apprezzati, in cui ha messo rispettosamente e ironicamente in pista anche Svevo. Oggi debutta con una casa editrice nuova, che con Il poeta delle pantegane ha già dimostrato di saper fare libri unici nello spirito di Bobi Bazlen, fondatore dell’Adelphi assieme a Luciano Foà. Non a caso una delle menti di questi libricini, con la grafica elegante di Paola Lenarduzzi, è Anna Foà, figlia di Luciano, assieme a Marco Sodano, digital editor della «Stampa». I libri sono infatti corredati da contenuti visibili sul web side attraverso un QR code (in questo caso Marco Paolini recita i versi de La nâf spaziâl, acquariolibri.it), sound e ghost track, sempre accompagnati da un disegno inedito di Bazlen. In verità, quello di Mezzena Lona non è il primo volume di Acquario: c’è un precedente libro unico, Banda Larga, con testi brillanti di vari autori. Di questo prezioso volume, che racconta di editori e di editoria è stata pubblicata una prima edizione non venale, ma ora sono disponibili alcune copie numerate della seconda edizione, ordinabili sul sito o in piccole realtà indipendenti, per le quali il libro è una cosa viva.

 

Cristina Battocletti è giornalista presso "Il sole 24 ore"

Alessandro Mezzena Lona sarà ospite all'ottava edizione del festival Writers, che anche quest’anno ha scelto di essere dedicato solo ad un tema, si propone di raccontare e rappresentare non l’orrido ma il normale che cela l’orrido. Dal 31 gennaio a domenica 2 febbraio ai Frigoriferi Milanesi.

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