La vita letteraria di Claudio Magris

21 Febbraio 2023

Cento anni fa, nel 1923, uscirono Le due amanti, primo frammento di L’uomo senza qualità di Robert Musil, il più grande scrittore del Novecento secondo Claudio Magris. Gli anni Venti nella Mitteleuropa del secolo scorso furono lo show down per molti talenti cresciuti sotto l’impero austroungarico, liberi nei costumi e di ingegno precoce, forse perché sentivano incombere la fine di un’epoca. Oltre a Musil e a Stephan Zweig, c’era il Kafka di Il processo, Il castello, America, lo Svevo di La Coscienza di Zeno, l’Arthur Schnitzler di La signorina Else e di Doppio sogno. 

Per riuscire a capire meglio quella cultura necessaria, arrivata in Italia anche grazie all’apporto della casa editrice Adelphi, c’è Inventarsi una vita (La nave di Teseo, pagg. 192, 15 euro), un agile ed elegante libretto quadrato con il profilo di una magnifica tuffatrice che sta per buttarsi sul titolo. In queste pagine uno scrittore romano vicino ai quarant’anni, Paolo di Paolo, si confronta con la vita letteraria e interiore del più grande studioso della cultura mitteleuropea, Claudio Magris, classe 1939, che è anche uno dei massimi scrittori contemporanei, autore di libri indimenticabili come Danubio, Premio Bagutta nel 1986, e Microcosmi, premio Strega nel 1997. Il senso del libro è partire, scandagliare, sentire quegli anni che sfociarono nella Seconda guerra mondiale e nell’ingegneria del Male della Shoah per interpretare gli scricchiolii del nostro tempo, in cui ancora la letteratura preavverte cambiamenti, punti di snodo e oscurità della Storia. 

Inventarsi una vita quindi non è solo un dialogo analitico sul passato, ma una modalità di leggere il presente attraverso di esso e trasformarlo in una staffetta speciale tra due atleti-autori – entrambi scrittori, saggisti, giornalisti –, attraverso cinque passaggi: Tempo curvo, Cosa si perde, scrivendo?, La vita al congiuntivo, Prima di ogni libro, Kafka al Premio Strega. Lo scopo è portare il testimone un poco più in là e, se possibile, trovare un altro alleato-letterato, magari ancora più giovane, alla cui esperienza e creatività attingere. 

Il punto di partenza è naturalmente l’opera del Maestro, che Paolo Di Paolo maneggia con deferenza, iniziando dall’imprescindibile saggio, Il mito absburgico nella letteratura austriaca moderna (Einaudi, 1976). Per questo Di Paolo si reca cent’anni dopo a Friburgo, nel 2020, poco prima di un altro grande gorgo, la pandemia, nella stessa locanda in cui Magris, visse e studiò negli anni’60.  

Mentre Di Paolo vede gli anni Venti del Secolo Breve come ruggenti e festosi, per Magris sono “compulsivi, sfrenati, autodistruttivi”. Per il Professore sono più innovativi e creativi gli anni Dieci, che hanno invece portato la rottura e in cui si sono manifestati i segni avanguardisti degli stessi autori che diventarono maturi negli anni successivi. Negli anni Venti del secolo scorso nella Mitteleuropa già ferita, in corsa verso il più diabolico, scellerato e ingegnerizzato dei movimenti criminosi, il nazismo che ha prodotto la Shoah, la letteratura era geniale, forte e vera perché era matura la sofferenza e stava per esplodere nelle forme più rabbiose. 

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Di Paolo allora coglie l’occasione per lanciarsi verso ferite contemporanee, l’11 settembre del 2001, per ricordare un editoriale di Magris che aveva definito allora il mondo “traballante”. Tempo di guerre, come poi si è dimostrato, e di conflitti che vorremmo elidere come in Non luogo a procedere (Garzanti, 2015) di Magris, in cui realizzare il progetto donchisciottesco di un museo delle armi con funzione di “disattivare” la Storia e promuovere la pace. Ma rimane un’utopia, niente di questo è successo o succede, finiamo costantemente nella rete di qualche guerra, che costella il cuore dell’Europa, su cui premono voci di reclusi, deportati, clandestini, viaggiatori estremi, esiliati, cui Magris ha dato corpo in Alla cieca (Garzanti, 2015).

Di Paolo confessa a Magris di aver mangiato una Wiener schnitzel, la cotoletta alla viennese, nella stessa locanda in cui il Professore alloggiava a Friburgo e con il più prosaico degli approcci, quello dell’appetito, trova terreno fertile nel Professore, cresciuto in una città, Trieste, in cui si precipita tutto nell’ironia dissacrante del Witz. È l’occasione per Magris di raccontare il senso dello scherzo, del gioco, del picaresco, imparato a scuola o nelle radici di un’amicizia “soldatesca” che Di Paolo non ha potuto provare per una questione, appunto, generazionale.

Si ragiona e si divaga, soffermandosi sulle origini, per esempio, di uno dei capolavori di Magris, Danubio, nato durante un viaggio fatto con la moglie scrittrice Marisa Madieri, lungo il corso del fiume. Ma anche nei romanzi di Di Paolo con radici ben terrene, come un amore fiorito attorno al profumo di una compagna di classe nella imprescindibile Roma, dove Di Paolo è cresciuto. 

Il dialogo non è mai squilibrato, perché Magris è pronto a tuffarsi negli spazi del suo interlocutore, interroga Di Paolo sul senso del dolore nei suoi libri, in cui la sofferenza non è causata da ciò che svanisce, ma da ciò che non svanisce e “continua a esibire la propria dolorosa insufficienza”. E da questa lacuna entrambi riconoscono la natura “conservativa” della loro scrittura; ciascuno secondo una propria ricetta: per Di Paolo quella di trattenere, per Magris quella di lottare “contro l’oblio”. 

Forse Cosa si perde scrivendo? è il capitolo che più profondamente intreccia umanità e letteratura: un libro, spiegano entrambi, ha la responsabilità di testimoniare, ma può ferire. Di Paolo lo ricorda in relazione all’autobiografismo spinto che ha portato Lalla Romano in Le parole tra noi leggere a perdere l’affetto di un figlio, che si è sentito tradito. Ma Magris subito ricorda che non nominare una persona vuol dire farla sparire e quindi dar vita a un’ingiustizia. In realtà entrambi convengono di come la scrittura superi e scavalchi la vita e a volte riveli il “te contro te stesso”. 

In un altro passaggio, Vita al congiuntivo, ciascuno analizza i rapporti con gli autori che hanno segnato la loro vita. Tanto per citare ancora Musil “La vita non è tanto ciò che accade, ma ciò che potrebbe, dovrebbe, sarebbe dovuto accadere”. E mentre Di Paolo nelle sue ricerche ha analizzato scrittura ed esistenze di Dacia Maraini, Raffaele La Capria, Antonio Tabucchi, Piero Gobetti, Indro Montanelli, Magris lo diffida dal dare troppo peso ai Maestri nella sua formazione.

Ognuno dei due ricorda come un momento fondante il battesimo nella narrativa, entrambi basati su vicende fantastiche e paradossali: Magris con il Conde, in cui un uomo ripesca i morti dal fiume; Di Paolo con Raccontami la notte in cui sono nato, in cui un ragazzo mette in vendita la propria esistenza. E sottolinea come sia necessario adattare lo stile a diverse forme di espressione: quella del giornalismo, paratattica, incalzante, chiara oppure meticcia e intrecciata nella fiction. 

Esiste un verso di una poesia di Srečko Kosovel che dice: “Il cuore di Trieste è malato, perciò Trieste è bella. La bellezza fiorisce nella pena”. Il poeta sloveno la scrisse negli anni Venti del secolo scorso a Trieste, dove si sviluppò lo squadrismo più brutale d’Italia. Qui Magris è diventato uno dei sismografi più raffinati del nostro tempo. Di Paolo ce lo consegna in purezza. 

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