Pudore e sfrontatezza / Pasolini e Paolo di Paolo: coast to coast
La lunga strada di sabbia è il titolo di un reportage, firmato da Paolo di Paolo e Pier Paolo Pasolini, pubblicato nell’estate del 1959 sul mensile Successo. Lo scopo è quello di mostrare un Paese in vacanza, al mare. “In tre puntate i nostri inviati percorreranno i tremila chilometri delle coste italiane, annotando e fotografando gli aspetti meno consueti e più originali delle nostre vacanze. Come in un film sfileranno, nel racconto di Pasolini e nelle foto di Paolo di Paolo, quei volti e quei fatti che soltanto un’inchiesta così lunga può documentare”, si legge nel sommario, ben in evidenza, nel mezzo della prima pagina di Successo.
In realtà, lo scrittore e il fotografo non si conoscono. Arturo Tofanelli, direttore del periodico, deve rassicurare Pasolini, dicendogli che Di Paolo collabora al Mondo di Mario Pannunzio, e spiegare poi a Di Paolo che il suo compagno di viaggio è “l’intellettuale emergente più interessante della cultura italiana”, al suo esordio come inviato.
Abituati a una cesura netta tra una cultura “alta” e una di livello mediocre, veicolata però da media ad alto e pervasivo impatto, siamo meravigliati nello scoprire che nei rotocalchi, simili a Successo, figurino nomi di spicco come di Pasolini e Di Paolo. Ma, alla fine degli anni Cinquanta, sotto la grande spinta unificatrice della Resistenza e mossi dall’esigenza di un’immediata ricostruzione economica, questo connubio non solo è possibile, ma è ritenuto legittimo e auspicabile. Prima ancora di questa esperienza, infatti, Guido Piovene, dal 1954 al 1956, aveva svolto un ciclo di trasmissioni radiofoniche che si poneva obiettivi didattici e culturali. Non diversamente, sulla neonata Rai, Folco Quilici produceva documentari per bambini. Senza dimenticare, un decennio dopo, le memorabili puntate di “Odissea” introdotte da Giuseppe Ungaretti.
L’Italia è riemersa dalle macerie e il Boom occupa le cronache come nuova epopea nazionale, capace di riscattare il Paese dalle frustrazioni del fascismo e del primo dopoguerra. Gli italiani sostituiscono la bici con la Vespa, in attesa di salire sulla Seicento. I beni primari sembrano ormai alla portata di tutti, e questo stato di apparente benessere stimola bisogni più “alti”: andare al cinema, a ballare, in trattoria, fuori porta, viaggiare, fare le vacanze. Quest’ultima possibilità sta per diventare il vero fenomeno di massa che caratterizzerà il decennio a seguire. E la spiaggia ne è il simbolo.
Da Ventimiglia a Trieste, ciò che Pasolini e Di Paolo cercheranno di fare, è descrivere un Paese che sta cambiando velocemente. Il fotografo ritrae le ragazze in bikini, disinvolte, che non temono gli sguardi dei coetanei. Mostra, attraverso i loro corpi e i loro gesti, il desiderio di vivere in un mondo liberato dalla rigidità del conservatorismo familiare. Mariella Andenna fa la commessa dei grandi magazzini, è indipendente, può andare in vacanza da sola; in Versilia, due giovanissime ragazze sono sdraiate sulla sabbia, assolutamente incuranti dei carabinieri poco distanti; a Fregene, Walter Chiari, appoggiato a una staccionata, esibisce un fisico perfetto, mentre un gruppo di ragazze lo osserva adorante e per nulla intimidito.
Il fotografo ha uno sguardo pudico. Pudicizia per Di Paolo significa non mettere in imbarazzo la persona fotografata, non suscitare sentimenti di vergogna, di inadeguatezza, di disagio. Per questo occorre una particolare sensibilità che non è solo acume psicologico, ma perfetta conoscenza e comprensione della realtà che sta fotografando. Fotografare con pudore equivale a capire il mondo. Si potrebbe dire che “sa stare al mondo”, e per giunta in molti mondi diversi. Non importa se sta ritraendo Stefania Sandrelli che fa il bagno o la giovane commessa genovese, Di Paolo sa come deve comportarsi perché discrezione e pudore sono doti che rendono il suo sguardo sempre accogliente. La lunga strada di sabbia che percorre la Penisola non è solo il titolo del reportage, ma rende bene il modo in cui guarda le persone: morbido, sinuoso e rassicurante. Modo che si contrappone nettamente allo stile di Pasolini, a cui importano molto di più lo stridore e le contraddizioni che incontra e descrive lungo il tragitto.
Non si può ignorare, d’altronde, che lui e Di Paolo hanno fatto insieme soltanto un tratto di quel viaggio, e che questo lavoro non è un vero e proprio sodalizio, ma un semplice accostamento tra il racconto di uno scrittore e quello di un fotografo.
Laddove Di Paolo si sofferma con delicatezza sulla soglia, Pasolini irrompe con una scrittura “corsara” e velenosa. Alla descrizione lirica dei luoghi, alle sue sensazioni, alle emozioni, sin dalla prima puntata, si affianca la denuncia del degrado morale, prima che fisico, che descriverà negli scritti successivi: “Qui c’è la spiaggia del Cinquale. Un mare di memorie, alimentate soprattutto dal mio amico poeta Bertolucci, che viene a villeggiare qui, coi più squisiti dei letterati. Qui ci fu D’Annunzio. Qui tra il ’20 e il ’30 Huxley scrisse Foglie secche, e Thomas Mann – che faceva fare il bagno nudi ai figlioletti scandalizzando gli italiani – scrisse, indignato, Mario e il Mago. Da queste parti veniva anche Rilke (…). Ora cammino per la spiaggia del Cinquale, fra tutte queste memorie contro quel po’ po’ di sfondo dei monti della Versilia; e sapete che vedo? Una banda di giovinastri emiliani distesi a pancia in giù a guardare una tedesca, tutti un po’ grassi e spennacchiati, con uno che fa l’epilettico per buffoneria”.
La voce di Pasolini si rivela per quella che è: un tarlo di profezia che preannuncia il collasso e l’implosione di un intero sistema. Dalle sue parole si coglie la lacerazione tra occhi che vedono e occhi che desiderano. Dopo aver incontrato Luchino Visconti a Ischia, e prima di aver fatto il bagno con Adriana Asti a Siracusa, Pasolini si trova a Ravello: “la situazione è di quelle che non si possono facilmente esprimere (…). Riannodo le fila, che mi parevano perse, con la grande Italia cristiana e comunale (…). Come Lawrence – che, anche lui, avrebbe voluto morire qui, di troppa pace – non riesco a staccarmi da questo angolo di cielo (…). Ma scendo: eccomi a Minori. Due ragazzette mi fanno l’autostop. Le faccio salire: sono tutte carine, vestite a festa. Una, una brunetta, già col viso della mamma”.
La trasfigurazione letteraria dei luoghi si scontra inevitabilmente con la consapevolezza di una realtà molto più prosaica. Lungo quella strada di sabbia, il dubbio pasoliniano, per contrasto, rende più netto il pudore del fotografo. La fotografia è dunque finestra, ovvero apertura ed esplorazione del mondo, ma anche specchio, cioè luogo che riflette e in cui ci si riflette. In queste foto i soggetti riescono a riconoscersi perché c’è un occhio capace di vederli ed hanno l’illusione di coincidere con l’immagine. Lo aveva capito la Magnani, quando gli chiede di fotografare il figlio poliomielitico, per impedire un ulteriore assalto di paparazzi. E il pudore di Di Paolo riesce placidamente anche a soddisfare il bisogno di riconoscersi sia delle giovani bagnanti del Tigullio in bikini succinto, sia delle signore attempate, che fanno il bagno nello stesso tratto di mare.
Ancora una volta La lunga strada di sabbia non è solo la via delle vacanze. Segna inequivocabilmente il confine tra chi vive al mare, e chi abita in città, e al mare ci va per le vacanze. Nell’ultimo numero del reportage, pubblicato a settembre, Pasolini si pone un quesito: “Che cos’è che segna il passaggio dal Sud al Nord? Sì, c’è una lunga sfumatura intermedia, gli alti Abruzzi e le Marche: eppure certi mutamenti sono repentini. Compaiono ad un tratto le biciclette, le insegne del metano: ma soprattutto, compaiono ad un tratto le belle donne (…) già a Pescara, e poi trionfanti, a San Benedetto, a Falconara, a Senigallia… Finché, nella costa romagnola, diverranno addirittura le uniche, incontrastate protagoniste, le padrone, le regine, le amazzoni”.
La discutibile e viscerale provocazione pasoliniana, contrasta i toni pacati del fotografo. Ad integrazione del reportage, in mostra, si possono vedere molti altri scatti. Adesso la sabbia non è più il simbolo delle vacanze. Alle pareti si contemplano soprattutto scene di vita quotidiana: la donna vestita di nero con la brocca per l’acqua seduta in spiaggia, i panni stesi a Brindisi, le tre donne sedute, vestite di nero, sugli scogli in Salento che ricordano le lamentatrici di De Martino, gli immancabili ragazzini che guardano dentro un’auto, come fosse un’astronave. Il limen dei Galli Senoni, che icasticamente Pasolini associa alle “belle donne”, in modo più banale, fissa i termini geografici della questione meridionale. Due Italie, una proiettata verso un futuro di emancipazione ma anche di consumo e conformismo, l’altra oscillante tra un passato mitico e un presente d’abbandono.
È già da molto che Pasolini e Di Paolo, a questo punto del viaggio, si spostano per proprio conto. Ma in futuro qualcosa li riavvicinerà. Pasolini chiederà a Di Paolo di essere ritratto sul Monte dei Cocci a Roma. In una di queste fotografie, si vede un ragazzo che si allontana e lo scrittore che lo osserva. L’incontro silenzioso ci dice molto di più di tutto ciò che è stato raccontato sullo scrittore e i ragazzi che andava cercando. Si capisce che si conoscono. Lo sguardo dello scrittore è in bilico tra desiderio e impotenza. E sarà il pudore di Di Paolo che permetterà di fotografarlo in questo momento di assoluta intimità e di profonda solitudine.
Mostra:
La lunga strada di sabbia. Paolo Di Paolo e Pier Paolo Pasolini, a cura di Silvia Di Paolo. Con il patrocinio del Centro Studi Pier Paolo Pasolini.
Galleria Carla Sozzani, da mercoledì 5 maggio a domenica 29 agosto 2021.