Le verità nascoste dell'Italia recente

4 Dicembre 2024

Il volto di una donna sbuca da un lungo telo nero che ammanta il suo corpo. Ha gli occhi scuri cerchiati dalle occhiaie, e le mani, che trattengono a sé il lugubre tessuto, la chiudono in un bozzolo da cui non potrà più liberarsi. Alle sue spalle, un uomo seduto abbassa la testa verso le ginocchia e la trattiene con le mani, nel tentativo di trattenere anche quel poco di umano che è rimasto. Un modo per dire che essere rinchiusi nella disperazione corrisponde a non essere visti, a non esistere. Sono due volti della stessa catastrofe, un eccidio premeditato. Il 9 ottobre 1963 duemila persone morirono travolte dall’onda di fango e acqua sollevata da una gigantesca frana nel bacino del Vajont.

La foto, scattata ad Erto dal fotografo friulano Carlo Bevilacqua, è esposta al Photolux di Lucca nella collettiva Verità nascoste. Eredità visive della storia recente d’Italia e risponde al quesito Il Bel Paese? che dà il titolo al festival. L’Italia è una repubblica fondata sul dolore la cui eredità visiva è un groviglio di segreti. La mostra si sofferma su alcune pagine oscure della nostra storia, a ognuna delle quali è dedicata una singola esposizione, il DC9 Itavia abbattuto nei cieli di Ustica (1980), la strage di Natale del Rapido 904 (1984), la scomparsa di Davide Cervia, esperto in guerre elettroniche (1990), il disastro del Moby Prince (1991), la bomba fatta esplodere in via dei Georgofili a Firenze (1993), il G8 a Genova (2001), l’incidente ferroviario di via Ponchielli a Viareggio (2009). 

Che ruolo attribuiamo alla testimonianza e alla memoria? Come vengono narrati i fatti? In due modalità: il racconto di chi era presente, e il racconto di chi è giunto molto tempo dopo gli eventi. Nel primo caso la testimonianza è legata al valore documentale e probatorio della fotografia. Il ça a été non è solo un costrutto teorico, acquisisce un corpo e un volto, come quelli della donna ritratta da Bevilacqua, con la sua forza di sopravvissuta. Nell’istante in cui entrambi sono testimoni, il ça a été si erge a certificazione di presenza, assunzione di responsabilità. Verità non è solo un’informazione esatta, ma un prendere posizione per quello che si afferma, un esserci in ciò che si fotografa. Frutto di questa visione è la mostra 40 (and more) Years of LOBA (Leica Oskar Barnack Award), il premio rivolto ai fotografi che intendono esprimere in modo vivido l’umanitarismo, nonché il rapporto tra l’umanità e l’ambiente, fra cui emergono un dittico a colori di Dominic Nahr sulla guerra civile in Congo, e le fotografie in bianco e nero di Bertrand Meunier sulle conseguenze del cambiamento economico in Cina, in particolare la dura vita dei lavoratori.

Francesco Cito, Matrimoni napoletani, La damigella, 1993.

Francesco Cito, Matrimoni napoletani, La damigella, 1993.

 

Nel secondo caso riguarda le emozioni e i sentimenti di chi rivede quelle storie, e le modalità adottate nel considerare il passato. La fotografia come rilettura e ritorno sui luoghi della tragedia, seppur lodevole strumento per coltivare la memoria, non possiede la stessa forza della testimonianza diretta. Non restiamo impressionati dallo specchio dove è riprodotto il cielo stellato della notte in cui il DC9 viene abbattuto, bensì dal piccolo volume intitolato Lista degli oggetti personali appartenuti ai passeggeri del volo IH 870 (Nadia Antonello e Paolo Ghezzi). Ci commuovono le voci che ripetono all’infinito brandelli di testimonianze sul disastro di Viareggio, e la scatola sopravvissuta all’incendio con le diapositive danneggiate di alcune mappe catastali, più che le stesse diapositive ingrandite sino a renderle quadri astratti (Giancarlo Barzagli). Le fotografie che ricordano Davide Cervia non riescono a toccarci come il biglietto aereo dell’Air France, su cui si suppone abbia viaggiato l’ex sottoufficiale della Marina dopo la sua scomparsa. (Alfredo Covino). L’immagine notturna del porto di Livorno dove si è incendiato il Moby Prince e quella dei faldoni con i documenti dei processi, non ci feriscono come l’ultimo frame del video amatoriale sopravvissuto al disastro, in cui si vedono solamente un divano vuoto e alcune sedie abbandonate. (Emanuele Camerini, Chiara Ruberti). A differenza delle foto di TerraProject, in cui sono ritratte alcune persone che hanno vissuto l’evento del G8, le parole di Wu Ming 2, accostate alle immagini, ci catapultano immediatamente nell’evento:

la scarpa sinistra di Gea T., persa il pomeriggio del sabato durante il corteo, scappando dalle cariche della polizia. (…) Una sensazione di sentirsi colpevoli e perseguibili senza alcuna colpa effettiva.

Senza quelle frasi lapidarie i ritratti di Lorenzo Guadagnucci, Alessandro Santoro, Antonella Cignarale, Alessandro Metz, non avrebbero la stessa intensità. Diverso è il progetto di Alberto Gandolfo. Quello che resta è l’album di famiglia di una nazione, composto dai parenti delle vittime di stragi, omicidi, eventi tragici, impegnati nella lotta per la ricerca della verità. Un’istantanea collettiva che ci costringe a un faccia a faccia con il presente e ci tiene avvinghiati alla storia. Non vi sono nomi vicino alle sue fotografie dal piccolo formato. Chi sono le persone davanti a noi? Ilaria Cucchi, Beppino Englaro, Licia Pinelli e molti altri. Non c’è nessuna mediazione, solo un pesante silenzio che interroga il nostro sguardo: l’Italia è un Bel Paese? No. L’Italia metafisica di Gabriele Croppi è vestita a lutto come la donna di Bevilacqua. I contorni neri delle immagini, le ombre lunghe che si proiettano sugli edifici, le rare figure umane nello spazio, la testa tagliata di una statua in primo piano a Pompei, compongono il ritratto di un Paese sospeso tra “SOGNI” e incubi.

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© Gabriele Croppi -Tresigallo- #01, 2017.
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Massimo Vitali, Rosignano Fins, 1995, © Massimo Vitali/courtesy l’Artista e Mazzoleni, London – Torino.

È l’Italia dei monumenti, del turismo e dei turisti, una serie di nuove cartoline, ma tra le persone sole nel deserto delle piazze italiane di Croppi, e la folla di bagnanti nella mostra Sotto questo sole di Massimo Vitali, si percepisce la medesima pirandelliana pulsione a non mostrare nessuno. Il fotografo le realizza in spiaggia, dall’alto di un’impalcatura, che ricorda l’allestimento della mostra realizzato con tubi di metallo. Uno sguardo che non si mescola ai corpi, ma li osserva con distacco. Se la classe operaia andava in paradiso, ora è immobile in un purgatorio fatto di sabbia bianca e ciminiere a Rosignano Solvay. Le foto al Papeete Beach di Milano Marittima nel 2004 mostrano un’unica macchia multicolore, composta dai corpi che riempiono la spiaggia sino a cancellarla. La pasoliniana lunga strada di sabbia è un’esile passerella colma di persone dirette verso un luogo fuori dall’inquadratura, mentre la parete rocciosa sembra in procinto di franare sui bagnanti. Issata su un traliccio, una enorme Venere Paleolitica in plastica veglia sull’affollatissima spiaggia di Viareggio, grottesca parodia di un passato e delle sue esili vestigia. Ben diversa dalle spiagge di Vitali è quella di Pineto, dove si vede il ritratto di una famiglia degli anni Sessanta, in cui madre, padre e figlia ridono davanti all’obiettivo. Fa parte della mostra Viva l’Italia, composta da una selezione delle immagini dell’Archivio Fortepan provenienti dai fondi fotografici dell’archivio della Provincia di Lucca, della Biblioteca Diocesana e dagli album di famiglia. La mostra ripercorre le trasformazioni sociali e culturali dal 1900 ad oggi, un’Italia in auto, in spiaggia, in gita, nelle cui immagini si intrecciano estetica e documento. Queste fotografie non si esauriscono in una semplice posa, il loro tempo è quello degli istanti fissati dai molti testimoni dietro l’obiettivo, e insieme quello della storia che sedimenta nell’attualità del presente.

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Spiaggia di Pineto, Teramo, 1969, Fortepan, Archivio Natale.

Viva l’Italia è l’altra faccia di un Paese fatto di buio e verità nascoste, è il volto della damigella con un mazzo di fiori, in procinto di accompagnare la coppia di sposi alle sue spalle. Francesco Cito la coglie mentre guarda l’orizzonte, è sola, con il viso illuminato dal sole. Quiete, bellezza, speranza, si intrecciano nel momento in cui il velo nero della donna del Vajont si tinge di bianco.

In copertina, Carlo Bevilacqua, Erto. Disastro del Vajont, 1963 

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Photolux Lucca, direzione artistica di Enrico Stefanelli.
Sino al 15/12/2024.

Verità nascoste. Eredità visive della storia recente d’Italia  a cura di Benedetta Donato, Azzurra Immediato, Chiara Ruberti, Enrico Stefanelli

Leica: 40 (and more) Years of LOBA

Gabriele Croppi,  Italia metafisica, a cura di Benedetta Donato

Massimo Vitali, Sotto questo sole, a cura di  Mattteo Balduzzi 

Archivio Fortepan, Viva l’Italia a cura di Chiara Ruberti

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 Carlo Bevilacqua, Erto. Disastro del Vajont, 1963