Samp al Sotto18 Film Festival / Rezzamastrella: un killer contro le tradizioni

8 Dicembre 2020

Tra ulivi, trulli, strade bianche di Ostuni, muretti a secco, scalinate di Gravina di Puglia, linee ferroviarie deserte, la piazza di Galatina dove non si può che ballare una ossessiva, folkloristica pizzica. Un killer attraversa questo Puglia Dreaming: boccoli lunghi agitati dal vento o dalla corsa, simile a un Cristo pasoliniano su un campo di grano tagliato, con baffo, pizzetto e volto sghimbescio, giacca rosa su corpo magro, lisergica, nervosa reincarnazione di Frank Zappa in cerca di tradizioni da uccidere, da killerare. 

Samp è un assassino professionista. Inizia sparando alla madre tra le linee nette, candide, all’interno di un trullo, per poi partire a prendere ordini da un Boss di paese, non senza essersi ristorato con un cappuccino con tazzulella ‘e cafè e succhiatina alle prosperose mammelle di una diversa figura materna. Il Boss gli ordinerà vari omicidi di “gente legata alle tradizioni, che pensa e agisce in modo naturale”, antiquari, vecchie comari di piazzetta, collezionatori di cartoline del bel tempo andato, bambini che aspettano un futuro che continui il passato e perfino Riccardo, l’amico del cuore di Samp, uno che “porta avanti l’amicizia, che non è necessaria in un organismo sano”, dice ancora il Boss. Bisogna estirpare le esperienze. L’unica realtà è il colore acido del denaro, dollari fosforescenti che un contabile del Capo computa, con commenti del Superiore a certi numeri, richiamando date storiche dell’Impero Romano-bizantino.

 

Foto di Antonio Musci.


Samp della premiata ditta teatrale e non solo RezzaMastrella, è stato girato a pezzi lungo venti anni in terra di Puglia, sfruttando occasioni di produzione che poi si chiudevano, conservando i brani girati nel computer, per poi riprenderli e rimetterli in vita. È totalmente un’opera indipendente, com’è nella natura e nelle scelte di questi artisti, che neppure in teatro ricevono sovvenzioni ma vivono solo del favore di un pubblico affezionato, che compiacciono e però spesso sbeffeggiano nei suoi miti e tabù. 

Se non vi foste convinti, neppure con questi retroscena, che il film è un Helzapoppin’ scatenato, un’anarchica discordante sinfonia, aggiungiamo che lo spietato killer uccide le sue vittime con un tubo di metallo, senza spargimenti di sangue, ma con uno sparo che esplode nell’audio, come i colpi di batteria per colpire e ammazzare i clown nel circo. Omoni giganti parlano con vocine, clacson suonano come zampogne (o samp-ogne?), i morti – tutti paesani, trovati nei luoghi – nel cadere stecchiti qualche volta se la ridono sotto i baffi e il suono ossessivo di una sampogna, che farà impazzire uno scozzese in cerca di libertà dalle tradizioni, è emesso da un palloncino bianco con due trombette.

 

Quando l’abitante delle Highlands, imbestialito, l’avrà forato, l’ossessivo motivo risuonerà da un violino, da una coppia di bonghi, dal famoso clacson in un esilarante incidente tra due macchine che schiacciano Samp… E ancora: il nostro spietato killer rock corre tra stradine bianche, lastricati di paese a “chianche” e muretti a secco, a scatti, tra inquadrature sghembe e riprese dal basso, senza mai fermarsi fino a un finale da mezzogiorno di fuoco in un teatro all’aperto sul mare. E si innamora di una donna ideale: una che non ha mai visto, solo ritmo, scandito dal movimento di una macchina appartata dove immagina stia facendo l’amore... È perfetto quel ritmo convulso, seducente, tanto che Samp vorrebbe vederla, ma appena si avvicina viene sempre scacciato dal fidanzato, il fratello del Boss, fino a una rissa da film d’azione sulla sabbia e nelle acque della riva. 

Come quella macchina scossa dalla forza del sesso, in realtà mossa dall’uomo, con reggipetti e mutande femminili appese alle portiere come uniche presenze di un’inesistente fidanzata, molte altre cose del film sono fatte di gusci vuoti. Samp distrugge le tradizioni e poi viene richiamato dal rumore di un aspirapolvere, in quei buchi serrati che sono le case, dove vivono quegli arcangeli (citiamo) che annunciano: “lavatevi le mani!”… “a tavola!”… Il killer in giacca rosa non sa resistere: “la famiglia mi stuzzica… quando si chiude in casa lascia fuori l’umanità… ci vorrebbe la famiglia alla frontiera…”.

 

 

Il cinema survoltato, sghembo, goliardico e bruciante di Antonio Rezza, attore e scrittore, e di Flavia Mastrella, fotografa e artista, si rispecchia con questa storia girata quasi tutta in esterni nel loro apprezzatissimo teatro, concentrato in una crudele passarella di tipi in palcoscenico, amatissimo da una folta tribù di fan, premiato nel 2018 con il Leone d’oro della Biennale Teatro di Venezia. In scena lui percorre gli habitat che lei predispone, ambienti per l’azione. Sono tele colorate con buchi dove entrare con la testa, le braccia, le gambe, il busto, per deformarsi e costruire personaggi differenti, un’umanità “burina”, piccola, provinciale, spesso orribile, sospesa tra le convenzioni, i pruriti di novità e una consustanziale crudeltà. Oppure troviamo strutture come altalene o macchinette o scivoli che danno ritmo ulteriore all’inesauribile energia fisica di Rezza. O anche edicolette, teatrini, avvolgenti teli che imprigionano e scatenano girandole di sdoppiamenti e di personaggi, in un Io moltiplicato, diffranto. Quegli spettacoli, Pitecus, Fotofinish, Io, Bahamut, Fratto_X, 7 14 21 28, Anelante, per citare solo i più noti e più recenti, sono costruiti per sketch scorticanti che si incastrano l’uno nell’altro per dissolvenza, sovrapposizione, accelerazione, associazione, creando un unico frastornante caleidoscopio di tipi che mettono in piazza, senza pudori, fino allo spernacchiamento e alla blasfemia, i nostri vizi-dèi quotidiani. C’è un Io ipertrofico che si schianta, si modula, si ingigantisce ancor di più in queste divertenti vie crucis in oggetti morbidi e astratti, capaci di prestarsi a simulare, nelle fantasie, la consistenza stessa dei nostri piccoli mondi. E c’è una sfida allo spettatore, travolto dalle risate e dalla deflagrazione delle storie e dei personaggi, a trovarsi da sé fili, ragioni, interpretazioni, assenze. O, semplicemente, a lasciarsi andare.

 

 

Sono involucri, in cerca di qualcosa dietro o sotto le superfici, gli habitat e le scene che abbiamo visto in teatro, come nel film, staccate stazioni di un’unica follia che cerca un senso a sé stessa: il denaro, la matematica (negli spettacoli teatrali), il sesso, l’amore, una divinità spesso irrisa perché assente. Qui, in Samp, davanti a una figura mitologica, prefica e guerriera antica, che compiange lo “sampognaro” ucciso dallo scozzese sulla lastra di un dolmen, il nostro killer-FrankZappa-Cristo si lascia scappare un “Addio!”. E la donna ribatte: Dio non esiste!”. “Lo so, è stata solo una battutaccia infelice”. 

Non esiste, Dio, come non esiste la donna ideale, come le tradizioni ridotte a caricature buone per i turisti, tranne poi entrare da un buco in una casa con tanti coni di trulli con una donna, mandare il contabile del Boss a cacciarsi in culo i soldi e sprofondare nell’amore, col rumore dell’aspirapolvere che risuona da lontano. Ma i gusci nei titoli di coda, dopo la fine del film, dopo la resurrezione happy ending dello “sampognaro”, diventano le case di una strada di un paese bianco, le loro porte e le loro finestre, con i personaggi principali che cercano di bussare, aprire, entrare, e rimangono a dibattersi fuori.

Film anarchico, con una trama semplice o, viceversa, troppo ricca di riferimenti, rimandi, strizzate d’occhio, o forse senza un vero interesse per la trama ma con molti sprazzi d’invenzione e deformazione, ancora una volta, come nei tanti corti girati, nei pochi lungometraggi, nei documentari provocatori come Troppolitani e Milano, Via Padova. Come in tutto il teatro. Samp è un film che fa a pezzi la realtà per ricostruirla sotto forma di gioco divertito e crudele, con qualcosa della perfida voglia di aprire i giocattoli dei bambini, per scoprire come funzionano e in quello smontaggio rivelarsi a sé stessi. 

 

Presentato in anteprima mondiale alle Giornate degli autori di Venezia, Samp sarà disponibile on demand per sei ore a partire dalle 20.10 di oggi, 8 dicembre, sulla piattaforma MyMovies del Sottodiciotto Film Festival (questo il link). La visione del film sarà preceduta da un incontro in live streaming con Antonio Rezza e Flavia Mastrella. 

Il 12 dicembre alle 21.00 e il 13 dicembre alle 18.00, i due artisti saranno inoltre in collegamento Zoom per un incontro dal titolo Dal corpo libero alla contumacia, organizzato da Teatro Vascello. Informazioni e prenotazioni sono disponibili qui

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