Rezza-Mastrella Anelante
Salta, parla, parla quasi senza fermarsi mai Antonio Rezza nell’ultimo spettacolo. Come nei precedenti lavori, si dimena nella scena (“habitat” li chiamano loro) disegnata come sempre da Flavia Mastrella. Questa volta non sono stoffe tagliate come un quadro di Fontana da cui far apparire facce deformate, gambe, braccia, pezzi di corpo, personaggi, e non sono neppure strutture leggere, sempre principalmente di stoffa, da indossare, da penetrare, da far dilagare nel palcoscenico. Sono edicolette o teatrini o spogliatoi coloratissimi, leggeri, modulari, spostabili, con interferenze di zebrature, bianchi e neri, neri e rossi, con tendine e veli, che servono a celare, a rivelare, sempre loro, personaggi evanescenti, come noi tutti, corpi scomposti in un delirio futurista, dadaista, cubista. La differenza con i precedenti lavori, tutti ormai di culto, molti ancora in repertorio e in tournée (vedi sul sito della Compagnia Rezzamastrella), è che in Anelante il palco si popola di altre presenze oltre a quella dell’attore romano, Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, controfigure fisiche del protagonista, ipercinetiche come lui, coro di brusii più che di voci, dotato solo di parole incomprensibili, sovrapposte o senza senso.
RezzaMastrella, Anelante, ph. FM
Rezza, in tutina bianca e stivaletti rossi, boccoli a caduta libera, faccia scavata, corpo scolpito, con gli altri quattro dà vita a un ansimare nel mondo come lo conosciamo fino a togliersi il respiro, e a toglierlo agli spettatori. L’attore romano, come già in Fratto_X, in 7-14-21-28, in Pitecus e negli altri lavori teatrali, come nei Corti che lo hanno reso popolare agli amanti della visione notturna a Fuori Orario, e come pure nelle folli interviste di Troppolitani, si trasforma in un burattino devastato da un mondo conformista che cerca a sua volta di deformare, di forzare, di far esplodere.
RezzaMastrella, Anelante, ph. Giulio Mazzi
Attraversa la matematica, la scienza, la religione, la famiglia, il sesso, la politica dei grandi, la psicanalisi, le nostre personalità sempre più instabili, la vita, la morte, sbeffeggiando tutto, rovesciando cento volte le cose note, con i cateti di Pitagora che diventano cateteri di anziani che è inutile che si dannino per la misera pensione perché li aspetta al varco la fine (“tanto devi morì” dice, verso i toni acuti, con perfida vocina). E Freud si insinua in sonni inquieti da cibo pesante e innesca mostri di amori familiari, io innamorato di mio padre, lui di mio nonno, e mia madre dove la mettiamo? I grandi della terra appaiono e scompaiono nel teatrino in un balletto in cui per fare i G20 ne mancano sempre 14 o 15 o 16 o 17 o tutti – uno su, uno giù, gli attori, uno in una casetta, l’altro nell’altra, e il primo che scompare e riappare, e via, in una sarabanda. Ma non va meglio con un G12 o un G8 e così via, fino a un G5 più realizzabile dal numero degli attori, ma non ci sono mai tutti oppure uno muore e la dipartita diventa osceno funerale orgiastico, completo di sodomie e masturbazioni, con un Cristo che scende da una croce dal braccio obliquo per partecipare, in una esilarante danza macabra dopo una parata di culi e di voli pericolosi che portano tra il cielo e il desiderio, con quel Cristo che talvolta guarda, forse interviene a scampare disgrazie, forse no.
RezzaMastrella, Anelante, ph. Giulio Mazzi
Questo spettacolo è sempre corso fino al soffocamento, da questa marionetta insidiata dalla presunta esattezza scientifica di un mondo approssimativo, che con la sua purezza geometrica certificata dai grandi scienziati, Pitagora, Keplero, Copernico, Newton, in leggi matematiche inoppugnabili, in vertiginose radici quadrate, inocula sempre e soltanto sofferenza, nevrosi, instabilità. Rezza – volto contratto, voce deformata in maschera di infantile ingenua perfidia – dirige le danze ora scrivendo inutili formule matematiche sulla grande lavagna del pavimento attraversato, come le edicolette, da interferenze coloristiche simili a faglie, a fratture di terremoti, a crepacci dell’anima. Le sue controfigure si scompongono in gambe, braccia, volti, natiche, ritmici incalzanti salti sulle sedie, a simulare un altro unico corpo allungato, dilatato, moltiplicato, suppliziato. Sade domina questa scena del sacrificio sull’altare della banalità quotidiana, sempre colorato con tono di anarchico sberleffo. In uno sproloquiare senza requie, come sempre negli spettacoli di questo contorsionista della parola ospitato da morbide colorate leggere strutture architettoniche di Flavia Mastrella simili ad abbracci aperti sul vuoto, i veri protagonisti si rivelano il linguaggio e le sue malattie, le sue ipertrofie narcisistiche che cercano di coprire gli sprofondi di solitudini troppo fragorose, troppo devastanti, e l’insensatezza dell’agire.
RezzaMastrella, Anelante, ph. Giulio Mazzi
Lo dice il personaggio, a un certo punto, che anche quando prende un libro da leggere non prova neppure a cucirsi la bocca, perché ogni attimo di silenzio aprirebbe un vuoto, e allora parla parla parla e non riesce a leggere. Il suo interlocutore ideale è un grande orecchio, un mondo-orecchio. Quando nello spettacolo, come un esperimento, chiede un minuto di silenzio, lui stesso non riesce a evitare i commenti a mezza voce, sottotraccia, le risatine, la rottura della consegna auto-inflitta. Ma in quei pochi momenti in cui tace, risuona un alone denso di vuoto pneumatico, che serve a creare il senso dello spaesamento, del frastornamento per il vaniloquio precedente e seguente. L’ansia da riempire. Da fuggire.
RezzaMastrella, Anelante, ph. Giulio Mazzi
Il corpo, con il suo desiderare, anelare senza raggiungere, disperatamente con la risata o lo sberleffo sulle labbra, sognare, copulare, decadere e morire, sospeso nel suo destino tra la volontà di Dio (quel Cristo su una croce con il braccio obliquo e di cartone) e quella del Caso (qui chiamato, naturalmente, Culo), e le maschere sociali sono i comprimari. Fino a un finale acquatico e notturno, come uno sprofondamento da cartoon negli abissi della psiche dove le parodie freudiane dell’amore per padre mamma nonno eccetera acquistano spessore di nodi dolorosi e vitali con i quali la geniale comicità gladiatoria di Rezza fa i conti, mutandosi in vocina sempre più flebile nel buio liquido, in cerca di un raggio di luce.
Ci donano Rezzamastrella, come amano chiamarsi i due artisti, novanta minuti di grandissimo teatro, di feroce divertimento, di specchio per la nostra disastrata società, per la nostra psiche. Rezza distrugge, quasi tutto meno la poesia della follia, con il dolce viatico di Mastrella, con l’aiuto dei suoi assistenti buffoni guastatori. Creando un grande teatro che rovescia quella che chiamiamo realtà, regalando ansia, dimenticanza crudele e pensieri affilati a un pubblico negli anni sempre più vasto, fino al tutto esaurito per lunghi periodi (così è stato nel dicembre-gennaio al teatro Vascello di Roma).
RezzaMastrella, Anelante, ph. Giulio Mazzi
Eppure Rezzamastrella sono mosche bianche in un sistema teatrale come quello italiano, basato sugli scambi e i compromessi, iperassistito e mediamente incapace di proposte coraggiose. Loro, indipendenti, senza contributi pubblici, indicano la strada del radicalismo estremo, del rifiuto del patteggiamento, della fedeltà alla propria arte, anche a costo di mettere in fila spettacoli che sembrano tante varianti di uno stesso copione (o, meglio, di una medesima ossessione). Non potrebbe essere diversamente, dato che quella sceneggiatura e quei personaggi sono la nostra vita mediocre crogiolantesi nelle illusioni, nelle rappresentazioni. Con quelle maschere fisiche e vocali di folletti guastatori, di burini crudeli, di frenetici attraversatori di mondi, pensieri, azioni, rinnovano la potente forza del teatro di svelare e entusiasmare, di far vivere per interposta effigie, di creare esperienza divagando massacrando stralunando, sempre sul confine tra azione e rappresentazione, anzi ricomponendo la presenza dirompente della performance, dell’happening, in composizione d’attore e d’autore con un punto di vista sfaccettato, molteplice, psichico sul mondo. Sia gloria a Rezza e Mastrella e al loro teatro antico come la commedia dell’arte, come Artaud e come Totò, futuribile come tutto ciò che non riusciamo a confessare neppure ai nostri sogni (o incubi).
In scena al teatro Vascello di Roma fino al 20 gennaio (18, 19 e 20 recite straordinarie); 29 e 30 gennaio al Metastasio di Prato; 16-28 febbraio all’Elfo Puccini di Milano; 11-13 marzo al Massimo di Cagliari; 19 marzo all’Astra di Vicenza; 1-2 aprile al Puccini di Firenze; 8-9 aprile al Duse di Bologna.