Rezza/Mastrella: comici attentati all’ordine del mondo

12 Dicembre 2012

È spietato e cinico, appare arrogante e irrispettoso nei confronti del pubblico, è un trascinatore e un poeta, un paladino del surreale e un artista capace di immolare il proprio corpo per la causa dell’esperienza artistica. Antonio Rezza ha costruito, e da qualche anno maturato, un proprio codice estetico ben preciso, che si sovrappone perfettamente, senza lasciare spazi vuoti, al personaggio creato. Quel corpo magro e atletico (anche ora che i cinquant’anni si avvicinano) è divenuto ormai “nazionale”. Le tournée e gli spettacoli si moltiplicano in numerosi teatri; un paio di anni fa durante una delle tante repliche del suo cavallo di battaglia Pitecus, allestito all’aperto, il performer annunciò una momentanea sparizione all’estero, e veramente lo fece: portò la sua inarrestabile fisicità e le sue assurde costruzioni drammaturgiche in Francia e Spagna. Stiamo d’altronde parlando di uno di quei rarissimi fenomeni teatrali con un seguito di spettatori in grado di sorpassare le barriere del teatro di nicchia. Eppure non si tratta del cabarettista di turno che riempie le sale perché sfrutta la scia vincente del successo televisivo: Antonio Rezza, anche grazie al sodalizio con Flavia Mastrella, si fa autore di un teatro dove il graffio comico è parte di un più ampio discorso sulla realtà e sul suo paradosso. La battuta corrosiva è quasi mai fine a sé stessa, anzi ha la funzione di aprire piccoli spiragli dentro i quali è una scelta dello spettatore decidere se lasciarsi cadere completamente o rimanere sull’uscio. Questa capacità di farsi leggere senza problemi da pubblici totalmente differenti ha dato a Rezza la possibilità di creare un impianto produttivo totalmente indipendente, dove i veri e propri finanziatori sono gli spettatori.

 

 

E il fenomeno non accenna a diminuire, neppure con questo ultimo lavoro, Fratto_X, in scena fino al 6 Gennaio al Teatro Vascello di Roma: platea strapiena anche nella pomeridiana domenicale. Il perché è facilmente decifrabile. Rezza rifiuta qualsiasi canone, dal teatro di prosa a quello di narrazione, passando per la ricerca del teatro visivo o drammaturgico, in quanto ha un proprio canone rispetto al quale è più conservatore di quello che si potrebbe pensare. In un linguaggio ormai scandito da una grammatica molto precisa: gli oggetti scenografici di Flavia Mastrella (all’interno dei quali Rezza sviluppa il proprio discorso fisico e verbale) con la loro lontananza da qualsiasi approccio realistico, nella loro magnifica e apparente inutilità; le parole e le costruzioni verbali disseminate di trappole e artifici sempre pronti a svelare l’altro lato (quello disarticolato, alogico, dissacrante e inopportuno) e poi il corpo appunto, allenato a correre senza sosta per mantenere un ritmo parossistico nel quale le voci – ché di numerosi risuonatori si tratta – rincorrono i muscoli e viceversa; infine il rapporto con lo spettatore, nel quale quest’ultimo è vittima di un’evidente subalternità senza regole, tanto che in platea si vive sempre una strana atmosfera mista di paura ed eccitazione. Ed è proprio la variazione, talvolta minima, di questo linguaggio (e dei temi di cui esso si fa portatore) a determinare il rischio per il mattatore e la sorpresa per il suo pubblico. Come i precedenti spettacoli Fratto_X è una serie di sketch, debolmente legati tra loro, perché non necessitano di legame – a meno che non sia l’artista stesso a riprendere il filo di un’immagine trattata qualche minuto prima, ma solo con l’intento di pungolare la memoria a breve termine dello spettatore – perché il fattore comune è il performer e il suo codice, è un cartone animato o un fumetto le cui micro avventure comico-filosofiche possono essere viste o lette in qualsiasi ordine.

 

 

Il titolo, come per il precedente 7,14,21,28 prende le mosse dalla metafora matematica, ma anche dall’impatto visivo con il quale gli ambienti di Mastrella dominano la scena: vi sono infatti due lunghi teli che a partire da due sostegni invadono la scena e diventano bozzolo, abiti, arti o escrescenze corporee: anche nel loro continuo incrociarsi ritroviamo la X del titolo.

 

Ma la capacità di sorprendere anche il più affezionato dei suoi fan Rezza la gioca col contagocce, specialmente in questo ultimo spettacolo, nel quale se la prende tra l’altro con la televisione, la polizia, le donne incinte (“la madre partorisce, la polizia spara: due modi diversi di ammazzare”) la religione (altro tema classico); le novità vere sono poche ma ben seminate. C’è, per esempio, un rapporto finalmente maturo col suo “compagno di giochi”, il performer Ivan Bellavista, che in questo lavoro inizia ad avere maggiore spazio. Ed è nel rapporto con l’altro che troviamo infatti la sponda più interessante: folle e magistrale il brano nel quale Rezza presta la voce a Bellavista fin quando questo se ne accorge e i due “personaggi” finiscono per litigare, una coppia divisa per un motivo talmente assurdo da aprire, tra una risata e l’altra, una miriade di crepe nell’oggettività dell’esistenza.

 

 

Andrea Pocosgnich (TeatroeCritica)

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