Raid the icebox 1
Da ormai diversi anni, nel mondo dell'arte contemporanea, assistiamo al moltiplicarsi di mostre curate da quelli che dovrebbero essere "curati": gli artisti.
Un capovolgimento di ruoli che si verificò per la prima volta nel lontano 1855, quando, in occasione dell' Exposition Universelle, al pittore francese Gustave Courbet venne negata la possibilità di esporre L'Atelier du peintre. Al rifiuto Courbet rispose organizzandosi una propria mostra personale in uno spazio adiacente che chiamò Pavillon du Réalisme dove espose quaranta sue opere. La lista delle mostre curate da artisti è lunga, costellata da esempi unici nate in circostanze particolari che si accompagnano alla quasi normalizzazione di questo "format" nel sistema dell'arte odierno. Negli ultimi anni ha finito per tramutarsi in un semplice strumento curatoriale utile a ravvivare una sempre più retorica programmazione museale o di galleria.
Uno dei casi più interessanti in questa storia, per l'influenza che ha esercitato sulle mostre successive, è Raid The Icebox 1 curata da Andy Warhol nel 1970 al Rhode Island School of Art and Design a Providence.
L'idea della mostra non venne né a Warhol né al direttore del museo, ma a John De Menil, compagno della celeberrima collezionista Dominique, nonché grande mecenate e conoscitore d'arte.
Visitando i "freddi magazzini" (da qui il titolo) del museo della scuola e accortosi immediatamente del grande valore delle opere e oggetti lì conservati, De Menil suggerì al direttore di renderli visibili al grande pubblico coinvolgendo artisti di grande spessore per curarne una serie di esposizioni secondo un criterio basato esclusivamente su un gusto personale. Il primo lo trovò subito. E fu anche l'ultimo. Andy Warhol. Nemmeno il tempo di formulare la proposta che Warhol accettò. Accettò di rovistare tra i depositi del museo e selezionare ogni cosa che lo colpisse. Le testimonianze delle visite dell'artista al museo sono memorabili. L'arrivo, nella piccola Providence, di Andy e la sua gang di giovani modelle, fotografi, filmmakers; ieri eccessivamente denigrati, oggi fin troppo celebrati. I continui suggerimenti del direttore, Daniel Robbins, a Warhol su opere o oggetti che secondo lui gli sarebbero piaciuti, per essere poi regolarmente smentito.
Il museo vantava opere importanti dell'arte americana del XIX secolo (Homer, Sargent, Cassatt), arte latinoamericana del XX secolo, bronzi greci ed etruschi, cabinet di stampe (Rembrandt, Canaletto), 45.000 oggetti, una collezione di carta da parati di inizio XX secolo.
La prima cosa alla quale Warhol guardò fu il cabinet delle scarpe. Un grande cassettone in legno con cinque porte che conteneva scarpe di ogni sorta: ballerine, stivali, pantofole, scarpe da bambino, da uomo, da matrimonio. Tutte fine '800, inizio '900. Ad affascinarlo fu probabilmente la ripetizione, a livello visivo, dello stesso oggetto ogni volta con sfumature diverse. Come le sue Coca Cole, Campbell's, Marliyns ripetute in serigrafia.
Poi si innamorò di vecchie cappelliere decorate con stampe antiche. Il contenitore vale più del contenuto. Come il Brillo Box. Ignorò l'arte orientale così come quella occidentale con l'eccezione di un dipinto optical dell'argentino Eduardo MacEntyre. Nessun artista contemporaneo poteva meritarsi di essere presente. Tranne Warhol stesso, ovviamente. Per rappresentarsi scelse un quadro del 1964, Race Riot. Selezionò diversi dipinti anonimi del XXVII / XXVIII secolo, in particolare ritratti femminili e paesaggi, e una Natura Morta di Cézanne di dubbia originalità per questo degna di essere esposta. A vestiti, cappelli, gioielli, predilesse ombrelli e sedie Windsor (quelle di riserva). Della ricchissima collezione tessile optò per delle semplici coperte indo-americane. Ignorò preziose ceramiche preferendo ad esse vasi e cesti amerindi. Per l'allestimento, volle ricreare l'atmosfera di un magazzino e quindi richiese pile di vecchi cataloghi d'asta, un divano ricoperto di tappeti turchi, sacchi di sabbia e una vecchia panchina.
Inaugurata al culmine delle proteste contro la guerra del Vietnam, della politicizzazione dei campus e degli scontri di Stonewall, Raid The Icebox 1 fu una mostra anomala, imprevedibile e innovatrice. Abolì qualsiasi percorso tematico, esaltò l'arte applicata, sperimentò nuove modalità di display, tramutandosi in un autoritratto di Warhol stesso.