Uomini e fiumi
Le emergenze climatiche e le crisi ambientali degli ultimi anni, sempre più gravi, frequenti e ubique, hanno evidenziato la limitatezza e spesso anche l’inefficacia dei pur necessari interventi per riparare ai danni e prevenire il loro ripetersi. Le cause non sono solo da ricercare in difetti organizzativi e scarsità di fondi, ma anche in una inadeguata comprensione dei problemi ecologici sottostanti. Si è fatta così strada la consapevolezza che solo una visione olistica che tenga conto dell’estrema complessità dei sistemi ambientali e della profonda rete di relazioni che li innerva può permettere di approntare misure adeguate. Per creare collegamenti e capire relazioni, interconnessione diventa allora il concetto chiave.
Quale miglior elemento territoriale si caratterizza come esemplificazione della funzione di collegamento se non un fiume? I corsi d’acqua sono incarnazioni geografiche del senso di scorrimento, personificazioni territoriali del continuo fluire, perfette similitudini per la rappresentazione filosofica della persistenza dell’identità, sia pur nella mutevolezza delle condizioni accidentali del momento. Basti pensare alla celebre formula eraclitea del frammento 91 (secondo la classificazione proposta da Hermann Diels e Walther Kranz nella prima metà del Novecento): “Nello stesso fiume non è possibile scendere due volte”.
Un fiume è infatti un ecosistema che può fungere a sua volta da corridoio ecologico di connessione fra ambienti naturali differenziati, quali le montagne, le colline, le pianure, le zone costiere.
Il disegno cartografico dei percorsi fluviali, espresso attraverso linee, e insieme l’aspetto reticolare che assume sulla carta il sistema integrato degli affluenti restituiscono appieno questa funzione connettiva, di legame territoriale, che i corsi d’acqua svolgono. I fiumi sono in grado ci connettere aree lontane, di collegare ambienti diversi, di favorire scambi e relazioni di diversa natura.
Il giornalista e uomo politico Giovanni Zibordi (Padova, 1870 – Bergamo, 1943) nel suo interessante libro Il cavallo rosso. Memorie, figure, pensieri (Milano, Bietti, 1933) giungeva, dalla sua postazione ideologica socialista, a proporre addirittura una bella provocazione socio-politica, affermando che la proprietà delle fertili terre della ricca pianura padana avrebbe dovuto essere almeno in parte condivisa con gli abitanti delle più difficili e povere aree montuose appenniniche ed alpine, da cui, in fondo, il terreno sedimentatosi poi nelle pianure originariamente proveniva. A ben pensarci, in un’ottica geomorfologica, il ragionamento non fa una grinza…
Indagare sul delicato rapporto che intercorre fra gli uomini e i fiumi apre molteplici e affascinanti prospettive di ricerca. Per studiare i corsi d’acqua occorrono competenze multiple, in grado di attraversare più discipline: idraulica, geomorfologia, ecologia, botanica, zoologia, geografia, antropologia, sociologia, pianificazione territoriale, psicologia. Sono tanti gli strati conoscitivi che un fiume scava nel suo incessante scorrere.
Esisterebbe anche un termine apposito per indicare questa ipotetica “scienza dei fiumi”, una parola peraltro non priva di fascinoso potere evocativo: “potamologia”, dalle parole greche potamòs, fiume e lògos, discorso (anche se il termine è stato fino ad ora adottato quasi esclusivamente nell’ambito dell’idrologia).
Ad aiutarci a comprendere le tante ottiche con cui si può guardare a un fiume e alle sue manifestazioni arriva anche il recente (giugno 2023) volume di Stefano Fenoglio, significativamente intitolato – con azzeccato rapporto fra titolo generale e sottotitolo provocatorio – Uomini e fiumi. Storia di un’amicizia finita male (Milano, Rizzoli).
L’autore (nato a Bagnolo Piemonte, in provincia di Cuneo, nel 1970) è docente presso l’Università degli Studi di Torino, dove insegna corsi di biologia, zoologia ed ecologia. Fenoglio ha al suo attivo più di duecento pubblicazioni scientifiche, ed è impegnato in numerosi progetti di ricerca sullo stato di salute degli ecosistemi fluviali.
In questo libro ci offre un ricco e dettagliato excursus sull’importanza che i fiumi hanno avuto nella storia dell’umanità. Significativamente il capitolo introduttivo (aperto dalla riproduzione di una carta topografica cinquecentesca, che ci fa capire con immediatezza la centralità del reticolo idrografico nella percezione geografica del mondo nei secoli passati) si intitola Vecchie e importanti amicizie. Ecco, il termine “amicizia” appare di particolare importanza non soltanto per comprendere la passione per l’argomento di studio che anima l’autore, ma anche per mettere a fuoco l’atteggiamento che dovremmo tenere nei confronti degli elementi territoriali e degli ecosistemi. La parola “amicizia” raccoglie infatti sinteticamente la ricchezza del rapporto che ha legato da sempre l’umanità ai corsi d’acqua, restituendone anche appieno una dimensione affettiva, fondata sulla fascinazione che le acque correnti esercitano in tante loro manifestazioni. La copertina del libro, ad esempio, rimanda – attraverso uno stralcio tratto dal Tableau Comparatif de la Hauteur des Chutes d’Eau Les Plus Célèbres, pubblicato nel 1835) alla fascinazione per le cascate, che ha caratterizzato l’amore per l’orrido e per il sublime alla base della moderna société paysagère (per riprendere il termine proposto dal geografo francese Augustin Berque) occidentale. Come afferma l’autore: “Per secoli uomo e fiumi hanno vissuto in stretta comunione in un rapporto caratterizzato da quella precoce e assidua frequentazione e da quell’intima conoscenza che sono alla base delle buone amicizie” (p. 12).
La dimensione storica del rapporto fra comunità umane e fiumi è un elemento fondamentale da tenere a mente, non soltanto per un corretto inquadramento cronologico, ma anche per comprendere appieno quanto la nostra epoca rappresenti, in quest’ottica, uno scarto, una rottura, un tradimento (cfr. il capitolo “Un luogo molto ben irrigato”).
La narrazione proposta da Fenoglio alterna riflessioni storiche, osservazioni scientifiche, dati statistici, aneddoti personali, in una sorta di ottovolante di immagini, pensieri, notizie, tutti orbitanti intorno al mondo fluviale. Il registro narrativo alterna rigore scientifico e licenze poetiche, affrontando apertamente qualunque argomento di pertinenza fluviale. Un intero capitolo, ad esempio, intitolato argutamente “Un bisogno urgente”, propone un excursus storico su una delle funzioni che i fiumi hanno sempre svolto nel corso dei millenni, quella di luogo di scarico delle deiezioni prodotte dalle sempre più numerose ed accentrate comunità urbane.
I successivi capitoli inanellano, in un riuscito equilibrio fra elementi centripeti (il ruotare intorno ai sistemi fluviali ed al loro funzionamento) ed elementi centrifughi (aneddoti, notizie, storie, eventi di contorno), le principali funzioni svolte dai fiumi: l’offrirsi come vie di trasporto (cfr. capitolo “Vie d’acqua”), il rappresentare un’inesauribile fonte di energia (“Fiumi, macchine e tecnologia”), il provvedere alla fornitura di un elemento, l’acqua, indispensabile alle pratiche alimentari ed igieniche quotidiane (“Un bene primario”).
Occorre però tenere in considerazione che uno dei fattori principali per cui l’amicizia fra umanità e fiumi è andata a finire male (la fascetta che segue il sottotitolo del volume recita letteralmente: “Siamo una specie fluviale. È dai fiumi che è nata la nostra civiltà. Poi qualcosa è andato storto”) non è soltanto di natura strettamente tecnica (l’eccessivo utilizzo e sfruttamento della risorsa idrica), ma anche, e forse soprattutto, di natura culturale. È l’incapacità di tenere in vita, comprendere e assaporare i valori spirituali, psicologici, mentali, immateriali della risorsa idrica fluviale ad aver causato un ingrato allontanamento dell’umanità dai corsi d’acqua. A questo proposito appare significativo il titolo, “Fiumi e felicità”, che Fenoglio assegna al capitolo dedicato ai piaceri che possono provenire dall’acqua dolce (viene spontaneo il rimando al magnifico L’eau et les rêves. Essai sur l’imagination de la matière di Gaston Bachelard del 1942, assai infedelmente tradotto in italiano con il titolo Psicanalisi delle acque. Purificazione, morte e rinascita). Un corretto rapporto con il sistema fluviale passa infatti anche attraverso il riconoscimento e l’assaporamento dei piaceri sensoriali, corporei, psicologici e cognitivi che la frequentazione dei fiumi può offrire.
I capitoli finali del volume ci riportano doverosamente alle cronache degli ultimi mesi. I titoli parlano da sé: “Fiumi senz’acqua” e “Fiumi con troppa acqua”, a indicare gli estremi opposti delle condizioni idrauliche che abbiamo di recente visto materializzarsi tragicamente nei territori italiani. Se l’ineludibile attualità di queste manifestazioni richiede una lucida capacità di lettura e di analisi ad ampio spettro, per non rimanere ancorati nella prospettiva stretta (e pericolosamente retorica) dell’emergenza, occorre tenere sempre in considerazione, come doverosamente fa il volume di Fenoglio, la longue durée del rapporto fra umanità e fiumi, unitamente alla ricchezza dei piani di scambio ed incontro che questa relazione può offrire.
Leggi anche
Davide Papotti, Po, fiume della sofferenza e dell'abbondanza
Davide Papotti, Il fiume Po, la siccità, la (assenza di) cultura fluviale
Davide Papotti, L'acqua dispersa
Davide Papotti, Cambiamento climatico e disastro ambientale