L’acqua dispersa
Dietro al rubinetto che apriamo, senza farci troppe domande sulla provenienza di quella preziosa risorsa idrica che utilizziamo (o forse sarebbe meglio dire “sprechiamo”? In Italia nel 2020 sono stati ben 215 i litri di acqua potabile erogati pro capite ogni giorno nelle reti comunali di distribuzione), si colloca una complessa rete di captazioni, pozzi, cisterne, condutture, serbatoi, tubature che rende possibile l’accessibilità pressoché ubiqua di questo preziosissimo elemento. Viene alla mente l’immaginifico ritratto della calviniana città invisibile di Armilla:
Se Armilla sia così perché incompiuta o perché demolita, se ci sta dietro un incantesimo o solo un capriccio, io lo ignoro. Fatto sta che non ha muri, né soffitti, né pavimenti: non ha nulla che la faccia sembrare una città, eccetto le tubature dell’acqua, che salgono verticali dove dovrebbero esserci le case e si diramano dove dovrebbero esserci i piani: una foresta di tubi che finiscono in rubinetti, docce, sifoni, troppopieni. Contro il cielo biancheggia qualche lavabo o vasca da bagno o altra maiolica, come frutti tardivi rimasti appesi ai rami. Si direbbe che gli idraulici abbiano compiuto il loro lavoro e se ne siano andati prima dell’arrivo dei muratori: oppure che i loro impianti, indistruttibili, abbiano resistito a una catastrofe, terremoto o corrosione di termiti.
(Italo Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972, p. 55)
Se i rapporti sullo stato delle acque superficiali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi nel territorio italiano gettano periodicamente luce sulla cattiva gestione ecologica di questo tessuto idrico naturale, altrettanto allarme procurano i rapporti sullo stato della rete idrica artificiale. Ce lo ha ricordato recentemente il rapporto dell’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) riguardante gli anni 2020-2022 (pubblicato in occasione della “Giornata mondiale dell’Acqua”, che ricorre ogni anno il 22 marzo; il rapporto è liberamente accessibile nel portale dell’Istituto).
Il reticolo idrografico compone un capillare sistema di fiumi, torrenti, corsi d’acqua, che si distribuiscono in modo ubiquo sul territorio. Una cartografia idrografica regala una visione d’insieme di un dettagliato sistema di “vasi sanguigni”, che assicurano al territorio la linfa vitale dell’elemento acquoreo, necessario per la sopravvivenza stessa del mondo vegetale ed animale (inclusa in quest’ultimo anche l’umanità). Accanto alla rete naturale dell’idrografia, però, esiste un altrettanto ramificato sistema artificiale di distribuzione della risorsa idrica. La costante crescita tecnologica delle società umane nel corso della Storia ha portato infatti alla creazione di complesse infrastrutture per la fornitura di servizi, fra le quali la disponibilità di acqua corrente in ciascun edificio (perlomeno nelle economie avanzate; non va dimenticato che nel mondo 1,2 miliardi di persone non hanno acqua potabile a sufficienza). Se potessimo visualizzare, con uno sguardo magicamente onnipervasivo, la totalità delle reti idriche di trasporto costruite nel territorio italiano, avremmo una “carta delle acque” egualmente – se non ancora di più – labirintica rispetto al reticolo dei fiumi. Il sistema idrografico “naturale” (le virgolette sono necessarie, a causa dell’intervento umano, che ha canalizzato i corsi d’acqua, costruito argini, rettificato meandri, effettuato, insomma, innumerevoli opere di regimazione e controllo) trova dunque un suo corrispettivo – totalmente artificiale – nelle centinaia di migliaia di chilometri di tubature che costituiscono la rete di distribuzione della risorsa idrica per uso civico, industriale, agricolo. Una millenaria (basti pensare al livello raggiunto, in termini di sapienza idraulica, dalla civiltà classica romana, testimoniata ancora ai nostri giorni dalle monumentali sopravvivenze degli acquedotti) opera di gestione delle acque è risultata consustanziale all’evoluzione dell’assetto del territorio nazionale.
L’incredibile parcellizzazione amministrativa della nazione, riflessa culturalmente in un inveterato campanilismo, si riverbera inevitabilmente anche nel mondo del governo delle acque: ci sono ben 2.391 gestori di servizi idrici in Italia, all’incirca uno ogni tre comuni.
A quanto ammonta però questo “deflusso” artificiale di risorse idriche nel sistema di distribuzione? Come si diceva, partiamo dai 215 litri a testa erogati ogni giorno nel 2020: moltiplicati per sessanta milioni di abitanti, fanno 12.900.000 metri cubi di acqua. Un dato comparativo per comprendere la quantità di acqua di cui stiamo parlando: le massime piene storiche del fiume Po si sono aggirate, nel tratto medio-basso del corso, sui 13.000 metri cubi di acqua al secondo. Che vuol dire 780.000 al minuto. Ogni giorno vengono dunque utilizzati nelle reti di acquedotti comunali tanti metri cubi d’acqua quanti ne passano in una piena del maggior fiume nazionale per circa 16 minuti. Un’enormità. Così come è un’enormità il «volume di acqua potabile prelevato per impieghi domestici, pubblici, commerciali, artigianali, industriali ed agricoli che rientrano nella rete comunale» (sempre dal rapporto ISTAT): 422 litri per abitante al giorno (25, 1 milioni di metri cubi; 9,19 miliardi all’anno). I dati vedono l’Italia al secondo posto fra tutti i paesi dell’Unione Europea, dietro alla Grecia. Visto che abbiamo menzionato il fiume Po: il 30,5% del prelievo di acqua per uso potabile è effettuato nel distretto idrografico del maggior fiume italiano.
Uno dei dati che, comprensibilmente, ha attirato l’attenzione mediatica nei rilanci giornalistici di agenzia del report di ISTAT è stato quello sulle perdite del sistema di distribuzione. Il volume di perdita che avviene durante la fase di trasporto della risorsa idrica, cioè nel corso del tragitto dalla fonte (pozzo, sorgente, bacino idrico artificiale, corpo idrico superficiale, lago naturale; in piccolissima percentuale anche il mare, previo processo di desalinizzazione) al consumatore ammonta infatti al 42,2%. Più di quattro litri su dieci vanno persi nel trasporto. In un anno, fanno 3,4 miliardi di metri cubi dispersi, 157 litri al giorno per abitante. Una quantità che corrisponde, negli standard nazionali, al fabbisogno idrico annuale di oltre 43 milioni di persone.
Il dato è allarmante, anche perché in costante crescita nel corso degli ultimi decenni: nel 1999 la percentuale era del 32,6%. Se pensiamo ad altri ambiti, nessuno di noi investirebbe in un sistema che perde oltre il 40% della risorsa semplicemente durante il trasporto.
La geografia delle perdite riflette un gradiente Nord/Sud, con i valori percentuali più alti nelle isole (oltre il 50% in Sicilia e in Sardegna). Un paradosso: le perdite sono mediamente maggiori dove la disponibilità della risorsa è più ridotta.
Certamente gioca un ruolo primario in questa situazione la vetustà degli impianti. Il rifacimento strutturale delle condutture è un lavoro economicamente oneroso, che esige programmazioni di medio-lungo termine. I risultati di tale ammodernamento non sono visibili ad occhio nudo (perché confinati nella dimensione sotterranea) né immediatamente percepibili dall’utente finale (che fondamentalmente non si accorge nemmeno della avvenuta diminuzione di spreco). L’operazione di rifacimento delle reti idriche, dunque, non ha immediato valore elettorale, proprio perché relativamente “invisibile”. Eppure, in un contesto storico che vede la costante diminuzione delle precipitazioni (con conseguente profonda alterazione delle dinamiche di ricarica dei corpi idrici e delle falde freatiche) e la drastica decrescita delle acque di scorrimento superficiali in tutto il territorio italiano, l’efficientamento del sistema di distribuzione sarebbe invece da considerarsi una priorità assoluta.
Leggi anche
Davide Papotti, Po, fiume della sofferenza e dell’abbondanza
Davide Papotti, Il fiume Po, la siccità, e la (assenza di) cultura fluviale
Nell'immagine di copertina un'opera di Cressida Campbell.