Non sottovalutare il sottosuolo
Come ci ricorda il celebre racconto di Edgar Allan Poe La lettera rubata, spesso ciò che è potenzialmente sotto gli occhi di tutti, finisce talvolta per diventare invisibile, proprio perché in un certo senso troppo alla portata di mano.
Se dovessimo trasportare l’apologo nel campo dell’ecologia, ad assumere il ruolo della “lettera”, di qualcosa che è immediatamente percepibile, ma che nessuna realmente “vede”, sarebbe probabilmente da assegnare al suolo. Forse nessuno di noi cercherebbe la chiave di tanti problemi ecologici della nostra società proprio sotto le suole delle nostre scarpe, in senso letterale. L’espressione “a terra”, a indicare il livello proprio del suolo, è divenuta d’altronde emblematica di una condizione negativa (come altre espressioni del medesimo ambito semantico: “terra terra”, “sotto i piedi”, ecc.). Questo repertorio figurativo è d’altronde lo specchio esemplare di una strutturazione mentale tipica della società occidentale, che considera naturalmente “superiore” ciò che sta in alto, e, di converso, inevitabilmente “inferiore” ciò che sta in basso. Basti pensare, un esempio fra i molti possibili, all’immaginario geografico elaborato da Dante nella Divina Commedia, dove ovviamente l’inferno è sprofondato nelle tenebre del sottosuolo, e il paradiso elevato tra le sfere celesti (con la mediazione ascensionale del monte del Purgatorio). I valori connotativi associati alla dicotomia “sotto/sopra” sono così innervati nelle culture occidentali da poter proporre un intero repertorio linguistico. Gli stessi aggettivi “superiore” e “inferiore”, che etimologicamente dovrebbero indicare soltanto una attribuzione spaziale, sono immediatamente evocatori di una gerarchia di valore.
E proprio per questo, perché sta in basso, perché viene calpestato da tutti, il suolo appare stranamente invisibile, assente non solo nel dibattito politico pubblico, ma, a monte, anche nell’immaginario mentale condiviso e perfino in buona parte dei discorsi correlati all’ecologia.
A prendere posizione, invece, “Dalla parte del suolo”, è fin dal titolo, il volume (Laterza, 2024) di Paolo Pileri, docente del Politecnico di Milano, e instancabile cantore e difensore di questo elemento. Pileri ha infatti già al suo attivo numerosi altri volumi in cui, con basi solidamente scientifiche e passione accorata, tesse un elogio del suolo: Amor loci. Suolo, ambiente, cultura civile (con Elena Granata; Raffaello Cortina, 2013), Che cosa c’è sotto. Il suolo, i suoi segreti, le ragioni per difenderlo (Altreconomia, 2016), Il suolo sopra tutto. Cercasi “terreno comune”: dialogo tra un sindaco e un urbanista (con Matilde Casa; Altreconomia, 2017), 100 parole per salvare il suolo. Piccolo dizionario urbanistico-italiano (Altreconomia, 2018), L’intelligenza del suolo. Piccolo atlante per salvare dal cemento l’ecosistema più fragile (Altreconomia, 2022). La litania degli efficaci titoli scelti da Pileri nel corso degli anni restituisce il potenziale di significato, e le variabili metafore, che possono essere associate al suolo: è qualcosa che è statutariamente “di sotto”, ma che dovrebbe invece essere tenuto in considerazione al di sopra di tutto il resto. È qualcosa di segreto, ma che dovrebbe invece essere ben conosciuto da tutti. È qualcosa che deve essere salvato, ma che al contempo è dotato di una sua propria intelligenza. È qualcosa, infine, che va preservato, e al quale è necessario dedicare gli strumenti conoscitivi chiave della nostra concezione di sapere: appunto, come ha fatto Pileri, un dizionario e un atlante.
Il sottotitolo di quest’ultimo volume è: L’ecosistema invisibile. La prima difficoltà nel pensare il suolo è infatti quella di riuscire a concepirlo come un complesso ecosistema, e non soltanto come uno strato sottile, una “pellicola” che avvolge la superficie terrestre. Come efficacemente spiega la prima parte del volume, Il suolo: tanto invisibile quanto pieno di vita, si tratta di riuscire a immaginare il suolo di profilo, come una sezione, per comprenderne l’importanza di strato di comunicazione e di interscambio fra l’atmosfera e il sottosuolo. Come recita uno dei paragrafi di questa prima sezione: Il suo vero nome è ecosistema. La densa biodiversità che caratterizza questo strato vitale del pianeta è fatta di una quantità di microorganismi, di batteri, di vegetali, di funghi, di radici, di animali, che compone un affresco tanto complesso quanto delicato.
Il testo di Pileri propone dunque un affascinante viaggio all’interno di questo micromondo. La progressione segue un impianto direi quasi processuale. Nella prima parte ci si preoccupa di spiegare questo microcosmo del suolo, di comprenderne la natura strutturale, le caratteristiche, la terminologia esatta che lo può identificare e descrivere. Ecco, la passione per un utilizzo corretto dei termini è un elemento trasversale che innerva tutta la scrittura di Pileri, e ci richiama a un imperativo etico molto importante: quello di non dimenticare la forza che le parole possiedono. E, di conseguenza, la necessità di utilizzare le parole con coscienza, con attenzione, con cura.
Questa prima parte è saldamente informativa, e anche attraverso grafici, disegni e tabelle, aiuta a conoscere meglio il complesso mondo legato al suolo, facendo comprendere come esso rappresenti uno snodo fondamentale per l’equilibrio dell’intero pianeta. Il suolo gioca peraltro anche un ruolo fondamentale nella regolazione del cambiamento climatico, in quanto è in grado di catturare e stoccare imponenti quantità di carbonio. Qualche dato può aiutare a comprendere meglio l’argomento: «Il primo metro di suolo è la più grande riserva di carbonio (C) nella biosfera terrestre: 1.700 Gt (Gigatonnellate, ovvero miliardi di tonnellate) a cui si potrebbero aggiungere altre 700 Gt se scendessimo fino a due metri di profondità (K. Lorenz, R. Lal, Ecosystem Service and Carbon Sequestration in the Biosphere, Springer, 2013). Una quantità pari a quattro volte quella che troviamo nella vegetazione, almeno due volte di più di quanto c’è in tutta l’atmosfera e centosessanta volte maggiore dell’attuale emissione di carbonio da fonti antropogeniche» (p. 22).
Una dimensione fondamentale da tenere in considerazione per comprendere il mondo che sta sotto i nostri piedi è la dimensione temporale. Il suolo ha tempi lentissimi di formazione, e in questo si avvicina a una scala cronologica di matrice geologica: «Una caratteristica peculiare del suolo è che è lento a crescere: per dieci centimetri occorrono duemila anni» (p. 36). La vita biologica dei suoli trascende dunque il tempo storico dell’uomo. La comprensione di questo fattore dovrebbe essere alla base di un profondo rispetto nei confronti di questo elemento, che, proprio in ragione della complessa serie di servizi ecosistemici che è in grado di offrire (Pileri distingue quattro categorie: servizi di supporto, di approvvigionamento, di regolazione e culturali; p. 28), è il risultato di processi di lunga durata. La concitata brevità del respiro conoscitivo sociale e lo schiacciamento nel presente del dibattito politico mal si conciliano con l’esigenza di tenere in debita considerazione questa estesa dimensione cronologica necessaria ai suoli per ricostituirsi.
Prendere in debita considerazione la dimensione temporale non significa soltanto concepire i tempi lunghi di cui necessita forzatamente il suolo, ma anche accettare con lucidità l’importanza di una “memoria ecologica”, cioè di una memoria che permetta di comprendere gli errori compiuti in precedenza, e di apprendere da essi di conseguenza: «Il dovere della memoria ecologica è ogni giorno più urgente e richiede un paziente lavoro di ricucitura tra disastri e cause, tra rottura di equilibri fragili ed effetti» (p. 71).
Un altro filo portante del ragionamento proposto da Pileri è la necessità di un’educazione culturale e conoscitiva, che accompagni e prospetti le fondamenta della decisionalità politica. Un esempio fra i tanti accorati appelli che l’autore propone, auspicando una presa di coscienza che preceda e fondi un orientamento di azione: «L’asservimento della natura da parte delle nuove sorti progressive ha bisogno di arginature culturali prima ancora che di norme, azioni e controazioni» (p. 5).
La seconda parte del volume è intitolata “Dalla parte di chi ignora, snatura e danneggia il suolo”. Si tratta di una lucida e cruda analisi delle prospettive di pensiero che informano azioni di devastazione e di spreco del suolo. Anche questa sezione incomincia con una riflessione terminologica, perché la stessa definizione di “consumo di suolo”, un termine giuridicamente e mediaticamente assai diffuso, può presentare diverse accezioni. Spesso le vere e proprie torsioni di significato cui questo termine è sottoposto nel momento in cui occorre definirlo giuridicamente e statisticamente (nel contesto italiano, ogni Regione adotta i propri parametri) sono funzionali al suo indiscriminato sfruttamento. L’elenco delle forze che agiscono in maniera dirompente contro i suoli è lungo e variegato: la logistica con il suo continuo bisogno di nuovi spazi (per il suo effetto devastante in termini di consumo del suolo, viene efficacemente definita da Pileri “un elefante in cristalleria”), la costruzione di autostrade e strade, la cementificazione del territorio per usi urbanistici, l’impermeabilizzazione dei suoli, l’erosione, l’attività estrattiva, gli incendi, l’uso della plastica, l’innevamento artificiale, lo spreco di cibo, le attività belliche (ciò che sta accadendo in questi tragici anni contemporanei è anche un diffuso ecocidio dei suoli nei terreni di guerra). In una prospettiva onnicomprensiva tipica di un approccio fondato sull’ecologia, Pileri dimostra convincentemente la correlazione che esiste fra il trattamento dei suoli e i grandi problemi ecologici e ambientali che appaiono dirompenti nelle cronache quotidiane: alluvioni, siccità, dissesto idrogeologico. Eppure, a fronte di un’ampia visibilità mediatica degli effetti, quasi mai si fa invece un riferimento a una delle cause più importanti: la perdita dei suoli naturali. Se può essere evidente il ruolo che il consumo di suolo può avere nell’accelerare i tempi di corrivazione dei corsi d’acqua (cioè «il tempo che intercorre tra il momento in cui una goccia di pioggia cade a terra e il momento in cui quella goccia transita in una particolare sezione fluviale» p. 67), forse meno intuitivo è il ruolo che nel danneggiare i suoli può avere un’agricoltura estensiva fortemente meccanizzata, che produce un compattamento e una conseguente impermeabilizzazione degli stessi, con pesanti conseguenze a catena.
Pileri dimostra efficacemente come pure gli incentivi economici forniti a diverse azioni possano avere effetti negativi sui suoli, prestandosi anche ad azioni di “greenwashing”. Il paragrafo dedicato ad esempio ai problemi di consumo e deterioramento dei suoli legato all’installazione di impianti di energia rinnovabile (solari ed eolici) è illuminante in questo senso.
Pileri arriva a mettere a fuoco una nuova categoria di reato, quella di «procurata fragilità del territorio, così andrebbe chiamato quel reato che non è reato e non è previsto da nessun codice, consistente nel permettere trasformazioni urbanistiche che rendono i territori ancora più precari di quanto già sono» (p. 68).
La terza parte del volume, che riprende il titolo del volume (“Dalla parte del suolo”) è una interessante pars costruens, che segue dunque la agghiacciante pars destruens (letteralmente, nei confronti del suolo…) contenuta nel capitolo precedente. Vengono infatti proposte le buone pratiche che provano ad andare in una direzione favorevole per questo delicato elemento ecosistemico. A partire da una interessante lezione storica sul pensiero del primo (eletto secondo i dettami della Costituzione) presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che, a seguito della disastrosa alluvione nel Polesine del 1951, scrisse una lettera al governo in cui lucidamente identificava la centralità della protezione del suolo nelle politiche da adottare in Italia (arrivando a proporre di cambiare il nome di “Direzione Generale delle Foreste” in “Direzione Generale della Conservazione del Suolo e delle Foreste”).
Pileri si sofferma poi sull’importante ruolo dell’attivismo che, agendo con dinamiche bottom-up che partono dal basso per formulare richieste a chi sta “in alto” (di nuovo un utilizzo metaforico della dualità sopra/sotto…), contribuisce a fare luce sui problemi del così tanto bistrattato suolo. Sul versante della politica, l’autore ricorda l’importanza delle direttive di monitoraggio europee sui suoli, del concetto di One Health («un approccio integrato e unificante che mira a creare un bilanciamento sostenibile e a ottimizzare la salute di persone, animali ed ecosistemi»; p. 126), delle politiche che contemplano il riposo dei suoli e il loro mantenimento come aree “libere” da attività necessariamente produttive, l’imperativo della diminuzione dei consumi, la necessità di recupero dell’esistente più che di nuove edificazioni, le pratiche di depavimentazione e di restauro.
Il discorso sul suolo conduce quindi, inevitabilmente, a una riflessione che tocca tutti i problemi ecologici urgenti che affliggono il pianeta a causa dell’azione antropica. Il suolo, così dimenticato nel discorso pubblico, rappresenta invece uno snodo fondamentale. Occorre dunque un cambio di rotta (“Ricucire gli strappi con la terra” si intitola, significativamente, la conclusione del volume) che parta proprio da una rivoluzione nel modo di pensare al suolo, che deve essere visto non come un oggetto inerte, ma «come un corpo che reagisce in modi diversi a seconda di come viene trattato» (p. 69)