Learning by doing / Il design di Marco Zanuso o della sperimentazione
RovelloDue – Piccolo Spazio Politecnico
Forse non tutti sanno che il Politecnico di Milano ha una propria sede espositiva in via Rovello, presso il Piccolo Teatro. Almeno io lo ignoravo e come me anche molti che lo hanno scoperto grazie a Marco Zanuso (1916 - 2001). E da chi altri si poteva esserne informati, se non da uno dei componenti dello storico trinomio (o, meglio, della storica divina triade) formata da Paolo Grassi, da Giorgio Strehler e da Zanuso stesso, che del Piccolo Teatro è stato il grande architetto?
Proprio lì, infatti, gli è stata recentemente dedicata una mostra.
La location espositiva si chiama RovelloDue – Piccolo Spazio Politecnico e la sua ridotta metratura non fa che confermarne l’aggettivo qualificativo. Tuttavia essa è bastevole per costituire una valida testa di ponte alle iniziative culturali del PoliMi nel cuore della città meneghina.
A dire il vero, RovelloDue è una sede attiva già dal 2016, nata “dall’incontro tra Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa e Politecnico di Milano, legati da una profonda sintonia e da una lunga collaborazione,” che, secondo la condivisibile tesi di Sergio Escobar, direttore del Piccolo, è stata voluta dalle due istituzioni per confermare la natura “Politecnicale” di Milano e della cultura che la città produce, permeata dal rapporto inscindibile fra Arte e Scienza, nonché condotta nel segno dei suoi numi tutelari: Carlo Emilio Gadda in primis, che al Politecnico si è formato, Elio Vittorini, in secundis, che vi ha fondato la rivista “Il Politecnico”e – perché no? – anche lo stesso Marco Zanuso, che dello ‘spirito Politecnico’ è uno dei più illustri interpreti.
La mostra In linea con Marco Zanuso. Progetti e visioni tra utopia e razionalità è, in realtà, una video installazione interattiva (curata da Davide Crippa) che ricostruisce virtualmente lo studio del grande architetto milanese. Unici elementi reali: il suo tecnigrafo e un esemplare di telefono Grillo (Siemens, 1966, con Richard Sapper, il cui nome deriva dalla sua suoneria che emula il finire del grillo), per mezzo del quale mettersi “in linea” con il maestro, così come suggerisce il titolo della rassegna. Infatti, componendo i numeri di telefono annotati su fogli appuntati al tecnigrafo, è possibile accedere alla visione delle immagini degli oggetti, a quelle degli edifici da lui realizzati e ai contenuti multimediali ad essi connessi, immergendosi così nella genesi creativa di ciascuna idea. L’ambiente della piccola sala è buio, e non soltanto per consentire una più nitida visione delle immagini, ma anche per accentuare la ‘messa in scena’ dell’installazione. Si è pur sempre a teatro e a me quel tecnigrafo solitario e al contempo monumentale ha richiamato alla memoria l’immagine della scenografia di Tadeusz Kantor per la sua La classe morta.
Sul piano del tecnigrafo, unico punto illuminato da una specie di “occhio di bue”, sono appesi schizzi autografi di Zanuso, alcuni vetusti e un po’ polverosi ma comunque sempre capaci di “dare forma attraverso il progetto a quello che chiamo la Complessità”, come ha sostenuto lui stesso in un colloquio del 1999 con Franco Raggi (cfr. Marco Zanuso. Scritti sulle tecniche di produzione e di progetto, a cura di Roberta Grignolo, 2013, p. 324).
I progetti e gli oggetti che si possono invece ammirare digitando i numeri telefonici spaziano dalla macchina da cucire MOD. 1102, per Borletti del 1956, alla radio Cubo, per Brionvega del 1962 (con Richard Sapper); dalla poltrona Antropus, per Arflex del 1948 (nata come arredo di scena per la commedia “La famiglia Antropus” di Thorton Wilder, rappresentata proprio al Piccolo Teatro), alla poltrona Lady, sempre per Arflex del 1951 (medaglia d'oro alla IX Triennale di Milano, 1951); dal televisore Doney, per Brionvega del 1962 (il primo televisore portatile europeo a transistor. Compasso d’Oro 1962), alla Seggiolina K 1340 per Kartell del 1964; dal divano Triennale per Arflex del 1957, al sistema per il sofà infinito Lombrico per C&B del 1967; dagli Stabilimenti Olivetti (Guarulhos, San Paolo, 1956/61; Buenos Aires, 1955/59); dagli uffici IBM (Segrate, 1968/76), agli interventi nelle tre sedi del Piccolo Teatro (Milano, 1979/98) e molte altre realizzazioni ancora.
La mostra, organizzata dal Politecnico di Milano, a meno di vent'anni dalla scomparsa del maestro e a più di cento dalla sua nascita, fa parte delle celebrazioni in suo onore, che hanno contemplato anche il convegno internazionale di studi a lui dedicato: Marco Zanuso: architettura e design. Quest'ultimo è stato congiuntamente promosso dall’Archivio del Moderno, Accademia di architettura – USI di Mendrisio, che, per volontà dello stesso progettista, custodisce ormai da diciotto anni il suo archivio professionale; dal Politecnico di Milano, dove egli ha studiato con Ernesto Nathan Rogers (vi si laurea nel 1939 con una tesi su Alexander Klein, relatore Ernesto Griffini) e vi ha anche insegnato per trent'anni, dal 1961 al 1991, avendo come proprio assistente per un certo periodo Renzo Piano; e dalla Fondazione/Ordine degli architetti P.P.C. di Milano e Provincia, a cui egli era iscritto.
Al tempo dei miei studi, in facoltà, Zanuso era chiamato da tutti gli allievi “zio Marco” (con buona pace del nipote autentico) anche da chi, come me, non frequentava direttamente il suo corso di Tecnologia dell'Architettura. Si tratta senza dubbio di una definizione all’antica, piena di affettuoso rispetto, riservata a chi, nel pieno rigoglio della vita, non poteva ancora essere definito padre, pur vantandone già ampi diritti. Ma Zanuso, padre e maestro dell’architettura e del design lo è certamente ed uno dei più grandi, anche, "il più problematico tra gli architetti italiani e il più tipico rappresentante di quella generazione 'di mezzo' venuta alla ribalta nell'immediato dopoguerra", come ebbe a definirlo Guido Canella.
Marco Zanuso è stato inoltre fra i primi in Italia a occuparsi di disegno industriale e lo ha fatto da pioniere, tracciando la via per quelli che l'hanno percorsa dopo di lui e in molti casi ha addirittura precorso i tempi, come ricorda Ennio Brion a proposito della scocca trasparente del televisore Doney, (Brionvega, 1962), ripresa poi da Apple dopo oltre di 30 anni; per non parlare del telefono Grillo, che può essere considerato l’antesignano dei modelli di cellulari flip, realizzati a partire dagli anni ’90.
Al tempo in cui il giovane Zanuso studiava, non esisteva in Italia una scuola di design (sarebbe poi stato lui a caldeggiarne la fondazione). A Milano, per esempio, si poteva frequentare il Politecnico, scegliendo tra la facoltà di Ingegneria e quella di Architettura. Lui optò per la seconda che, tra l’altro, muoveva i suoi primi passi di nuovo corso di laurea, inaugurato nel 1933. Come ha riferito Federico Bucci al Convegno, in quell’Anno Accademico alla nuova facoltà si erano iscritti solamente 19 studenti e tra questi c'era anche Marco Zanuso. Sorretto da una solida formazione umanistica, arricchita da quella tecnica appresa sui banchi universitari, e comunque già insita nel suo DNA, egli ha messo a punto un metodo progettuale fondato sul learning by doing. Ed è in questo modo che ha preso vita la maggior parte dei suoi progetti, con lo sperimentare nuove tecnologie, spesso da lui tradotte da un altrove: aeronautica, nautica, automobilismo, aviazione, addirittura dal mondo vegetale (come nel caso della sedia Lambda, Gavina, 1960), verso quello dell'arredamento. L’esempio più macroscopico sono i suoi lavori per Arflex, fondata da Pirelli nel 1948, che gli chiese di studiare la possibilità di un impiego della gommapiuma nelle imbottiture di poltrone e divani. La prima a vedere la luce fu la poltroncina Antropus, realizzata in legno e nastrocord, con un'imbottitura in poliuretano espanso schiumato, privo di CFC e di ovatta di poliestere. Ma essa non fu che l’antesignana di una lunga serie di sedute, divenute delle vere icone del design, come la poltrona Lady del 1951, ad esempio, realizzata attraverso la produzione separata delle parti e il loro successivo assemblaggio, e ancora il divano Triennale del 1957, tutti per Arflex.
A proposito della poltrona Lady, così scrive Zanuso:
“La poltrona Lady è il risultato più maturo della ricerca iniziata con il modello Antropus. La connessione e integrazione dei tre elementi che la compongono è diventata più elaborata e più complessa; durante l'evoluzione del progetto, il metodo di disegnare sovrapponendo le tre proiezioni dello spazio geometrico, che avevo visto usare nella progettazione dai carrozzieri d'automobile, si è dimostrato uno strumento efficace per il controllo formale dei modelli e da allora è stato adottato sistematicamente. La poltrona nella sua definizione ha acquistato maggior coerenza formale e maggior fluidità ergonomica".
L'obiettivo di Zanuso, insomma, è sempre stato quello di sperimentare di continuo per arrivare a tradurre in forma/struttura (“in ‘figuralità' […] volta alla plasticità", François Burkhardt, Design. Marco Zanuso, 1994) gli elementi tecnici, i materiali nuovi, le nuove tecnologie, dando vita ad “archetipi di oggetti".
Realizzati per le aziende più note, sia nel settore dell’arredamento che in quello degli elettrodomestici e dell'oggettistica: da Arflex, a Bonacina; da Gavina, a Kartell; da Elam, a Poltrona Frau, a Poggi; da Borletti, a Necchi; da Brionvega a Siemens; da Terraillon, a Vortice; da Aurora, a Cleto Munari e molte altre ancora, essi sono entrati a far parte della storia del design da autentici protagonisti.
Zanuso amava Jean Prouvé, fu proprio lui a farlo conoscere in Italia in un suo articolo pubblicato su Casabella-Continuità (dicembre 1953 – gennaio 1954, n. 199), quando era redattore della rivista di Rogers. L’ironia della vita ha voluto che purtroppo anch’egli, come Prouvé, abbia dovuto subire una progressiva marginalizzazione da parte della cultura ufficiale, al punto che persino il centenario della sua nascita è stato lasciato passare sotto silenzio.
Ben vengano, naturalmente, le iniziative di approfondimento e le occasioni di studio su di lui, come queste per addetti ai lavori, che Milano, la sua città natale e professionale, gli ha recentemente dedicato; sarebbe tuttavia auspicabile che organizzasse presto anche una grande mostra ‘popolare’ in suo onore (o, ancor meglio, un museo a lui intitolato), per proporne la conoscenza a un pubblico più vasto, soprattutto a quello dei giovani.
In fondo, Milano ha un grande debito di riconoscenza nei suoi confronti, come sostiene anche Burckhardt, e sarebbe ormai giunto il momento di iniziare a saldarlo:
“Concorrendo a fare della città un centro di diffusione di idee sul design riconosciute a livello internazionale, e ponendo l’estetica industriale al centro della propria attività, Marco Zanuso costruisce per Milano un'immagine e una fama che la fanno entrare nella storia come una delle capitali europee del design, fatto di cui essa ancora oggi si giova ampiamente e sotto gli aspetti più diversi, tanto economici, quando culturali".
Intelligenti pauca.