Su Netflix il Leone d’Argento / Jane Campion, Il potere del cane

30 Dicembre 2021

Nelle numerose versioni della Bibbia tradotte in italiano, al ventunesimo verso del Salmo 21 (o 22, secondo la numerazione ebraica) non sempre si trova il riferimento al potere del cane. “Deliver my soul from the sword, my darling from the power of the dog”, così si aprono e chiudono il romanzo di Thomas Savage del 1967 e il nuovo film di Jane Campion, che le è valso il secondo Leone d'Argento personale alla Mostra di Venezia ed è ora disponibile su Netflix; la frase che dà il titolo a entrambe le opere si trova nella traduzione inglese della Bibbia scelta dallo scrittore statunitense. Un lettore italiano che consultasse la versione della Conferenza Episcopale Italiana del 2008, invece, leggerebbe un’invocazione leggermente diversa: “Libera dalla spada la mia vita, dalle zampe del cane l'unico mio bene”.

 

L’inglese The Power of the Dog, tradotto letteralmente nelle versioni italiane sia del romanzo sia del film e già presente anche in alcune trasposizioni italiane della Bibbia, è più evocativo ma il senso non cambia: tutto il salmo è un'invocazione accorata rivolta a Dio per non essere lasciati soli, per ottenere protezione e salvezza. Una richiesta d'aiuto che tra l'altro descrive metaforicamente i mali e i nemici da affrontare come bestie feroci: leoni, bufali e appunto il cane. La forma minacciosa dell'animale, oltreché nel titolo, ritorna simbolicamente anche nella trama, come un'ombra tracciata sulle rocce ma invisibile ai più. Il potere del cane diventa la forza quasi soprannaturale di chi riesce a vedere nella natura circostante e nell'animo altrui ciò che agli altri sfugge; ma, come ogni potere, può accecare chi lo possiede.

 

 

Savage è cresciuto nei ranch di Idaho e Montana, sentendosi tuttavia fuori posto: il suo modo di venire a patti con una vita da cowboy che non gli si addiceva è stato attraverso la letteratura. Non sorprende che abbia scelto di raccontare nei suoi romanzi proprio quel contesto culturale e geografico a lui ben noto, ma non si può dire lo stesso di Jane Campion quando ha scelto di adattarne il libro di maggiore successo critico, ambientato in un ranch del Montana nel 1925. Perché la regista neozelandese, dopo avere esplorato per decenni l'universo femminile e avere creato una galleria di memorabili personaggi di donne, ha deciso di cimentarsi in una storia così fortemente centrata su un modello di vita dominato dagli uomini? Sebbene i protagonisti principali siano uomini e le loro multiformi mascolinità contrapposte siano il tema centrale della vicenda, il personaggio che mette in moto gli eventi decisivi è una donna. Vedova e madre, ancora giovane ma già rassegnata a un'esistenza sciatta sebbene indipendente, Rose ha un ruolo più centrale nel film (dove la interpreta Kirsten Dunst) rispetto al romanzo. Non è la figura preminente della trama ma possiamo immaginare che le tre figure maschili che le ruotano attorno (figlio, marito, cognato) manifestino i tratti più distintivi delle proprie personalità come reazione alla presenza di lei, delineando alcune delle diverse e talvolta incongrue tipologie di sentimenti che le donne riescono a suscitare negli uomini: amore e complicità, attrazione e rispetto, odio e disprezzo.

 

Il Montana di un secolo fa, ormai perduto dopo decenni di trasformazioni e perciò ricostruito interamente in Nuova Zelanda, non ha nulla della vivacità culturale dei Ruggenti Anni Venti delle metropoli, al contempo non è più il selvaggio West violento e senza regole. Un principio però è rimasto inalterato: gli uomini mantengono saldamente il controllo economico e sociale di quegli ambienti che gravitano ancora intorno allo sfruttamento e al commercio di bestiame. Il ranch più ricco e vasto della vallata è gestito dai due fratelli Burbank che si dividono equamente il possesso ma hanno due caratteri opposti: Phil (Benedict Cumberbatch) è un capobranco arrogante che manifesta la sua carismatica autorità con atteggiamenti risoluti nonché dimostrandosi più abile di tutti nelle attività da cowboy; George (Jesse Plemons) ha un'indole docile, è troppo spesso remissivo anche quando il fratello lo mortifica, ma l'animo gentile gli permette di notare il buono nelle altre persone. Pur così diversi, sono due scapoli quarantenni che ancora dormono nella stessa stanza e trascorrono assieme gran parte del loro tempo, seguendo una routine immutata da lunghi anni. 

 

 

Finché, durante il trasferimento di una mandria, si fermano nella locanda gestita dalla vedova Rose assieme al figlio adolescente Peter. Phil non si fa scrupoli a umiliare davanti a tutti il ragazzo dagli atteggiamenti troppo eleganti; George nota quanto ciò abbia fatto soffrire Rose, si prende a cuore il benessere della donna, se ne innamora e la sposa, nonostante il parere contrario del fratello. Rose, divenuta la moglie del più ricco proprietario terriero della zona, si trasferisce nella casa dei Burbank: ad attenderla, l'affetto del suo nuovo marito, l'odio feroce del cognato convinto che si sia sposata solo per soldi, ma non più l'amore del figlio, che grazie ai soldi dei Burbank può andare al college a studiare medicina, evitando di vivere nel ranch assieme alla madre e al patrigno ma soprattutto sotto lo stesso tetto di Phil. Peter raggiungerà la madre solo in estate e la sua presenza avrà un effetto distruttivo sull'equilibrio già precario della nuova famiglia.

 

Guardando le colline di fronte alla loro tenuta, Phil nota sempre qualcosa. Gli altri cowboy non vedono nulla, George non vede nulla; nella prima scena in cui Campion mostra il controcampo di quelle colline, senza sapere già cosa bisogna cercare e dove, neppure la maggior parte degli spettatori noterà nulla, soprattutto sul piccolo schermo. È un esiguo vantaggio del film rispetto al libro, dove il mistero viene svelato subito: Phil riesce a scorgere la sagoma di un cane creata dalle ombre proiettate sulle rocce. Vedere ciò che per gli altri è invisibile lo fa sentire superiore: per chi non vede niente allora davvero non esiste niente, mentre per chi è abbastanza sveglio da vedere qualcosa allora quel qualcosa può essere tenuto nascosto, nonostante sia sotto gli occhi di tutti.

 

Phil ha molto da nascondere, dietro la sua cattiveria, dietro la sua palese misoginia, dietro il disprezzo che prova per Rose. In particolare, la sua omosessualità, mai direttamente menzionata, che possiamo dare per assodata poiché riecheggia l'omosessualità tenuta nascosta da Savage pubblicamente (ma non alla famiglia) per tutta la sua vita. Campion in questo rispetta la scelta narrativa che il tema sia solo suggerito, ma riesce a essere più esplicita perché il desiderio può essere rivelato chiaramente dagli sguardi, dai movimenti delle mani, dalle reazioni scomposte in difesa della propria intimità. Phil sa perfettamente che non potrà mai avere una relazione onesta e pubblica con un uomo perché sarebbe un atto inconcepibile nel Montana di quell'epoca, perciò per reazione cavalca l'omofobia in maniera esplicita, sicuro che nessuno possa essere capace di vedere quell'ombra dentro di lui. Il suo astio nei confronti di Rose e più in generale del matrimonio del fratello non riguarda solo il timore che lei si voglia impossessare dei beni della sua famiglia, che abbia ingannato George e che abbia abbattuto una quotidianità monotona e rassicurante da non turbare: vi sono anche tracce di invidia, per il fatto di dover dormire da solo nella sua stanza mentre George può dormire con qualcuno; perché non potrà mai rivolgere a nessuno l'attaccamento che George può manifestare apertamente verso sua moglie.

 

 

Phil deve subire, per la prima volta nella vita, una scelta autonoma presa con coraggio dal fratello, ma subito si impegna a trovare qualche maniera per far fallire il matrimonio. Conta di poter cogliere quanto George non riesce a percepire; lo fa anche con le ombre nell'animo di Rose, che reagisce alle delusioni e alla malevolenza altrui rifugiandosi nell'alcolismo, sperando che il marito non lo noti. Il potere invisibile su di lei va anche oltre: riesce a tormentarla senza che nessuno se ne accorga, pratica sulla donna una violenza psicologica molto furba che non lascia tracce sul corpo, non è dimostrabile né ammissibile. Non gli serve molto: tormenta soprattutto l'udito di Rose. Il suono del banjo, i fischiettii, il rumore pesante dei passi per farsi annunciare lentamente da distanza oppure per far notare repentinamente la propria presenza inattesa; la donna dovrebbe combattere un nemico invisibile, non ha armi a disposizione, non può fornire prove al marito. La forza di Phil è in ciò che è impercettibile: quel che vede solo lui lo eleva innanzi agli altri, gli concede un vantaggio prezioso.

 

George non sarebbe in grado neppure se lo volesse, di esercitare sugli altri lo stesso tipo di potere psicologico del fratello. Ha un desiderio molto più semplice: essere felice, più di quanto non lo fosse prima. Quando sceglie di sposarsi, non lo fa con la donna più bella né con la donna di una famiglia stimata e influente, nonostante la sua ricchezza e il buon nome dei Burbank gli avrebbero potuto procurare un ottimo matrimonio. Sceglie una donna che soffre e che desidera consolare, forse sperando di poter alleviare quella pena di cui suo fratello è corresponsabile. Ama Rose sinceramente, colpito dalla compostezza con cui lei mostra attaccamento per il figlio. Grazie a lei vorrebbe portare nel suo ranch proprio quell'umanità calorosa di cui sente l'assenza. Tuttavia, l'incanto instupidito dell'innamoramento lo rende presto inadatto al ruolo di marito: non ascolta le richieste di lei, le attribuisce qualità diverse da quelle che possiede, le provoca involontariamente ansia, si mette da solo nelle condizioni di restarne deluso. Soprattutto, non ne coglie il crescente disagio che inavvertitamente contribuisce ad alimentare. Non vede, o fa finta di non vedere, ciò che accade proprio dentro la sua casa; è come se il suo amore non fosse abbastanza forte e assoluto da capire che dovrebbe difendere Rose da ogni male. Di conseguenza, quello è il ruolo che si ritaglia il figlio.

 

 

È la voce di Kodi Smit-McPhee, che interpreta Peter, ad aprire il film: una perorazione preventiva a favore di sé stesso, per avere difeso la felicità della madre. La prima volta che incrocia Phil nella locanda dove aiuta la madre a servire a tavola, sembra fragile e femmineo; non potrebbe sembrare più diverso dall'arrogante cowboy iper-virile che fa di tutto per ferirlo a causa del suo aspetto e dei suoi comportamenti. Che la differenza tra i due sia invece sottile, è un'altra di quelle sfumature che il solo Phil noterà più avanti, quando vivranno tutti sotto lo stesso tetto. Come Phil, infatti, il ragazzo riesce a vedere ciò che gli altri non vedono; meglio di Phil, sa incanalare la sua intelligenza verso uno scopo anziché verso una più inconsistente frustrazione fine a sé stessa.

 

Peter studia un piano arguto e crudele per difendere la madre da Phil, confidando un po' nelle sue conoscenze e un po' nell'aiuto del destino. Una sera in cui osserva non visto la madre da una finestra, convinto di avere eseguito alla perfezione il suo compito, è appagato di ciò che ha fatto, crede di averle garantito un futuro migliore. Eppure quello sguardo di affetto filiale possiede anche grande superbia. Il ragazzo si è arrogato il diritto di decidere cosa fosse meglio per la donna senza coinvolgerla o avvisarla: trattandola come una vittima incapace di reagire, come una femmina senza personalità cui un uomo debba necessariamente badare, come un'alcolizzata che non può lucidamente prendersi cura di niente e nessuno. Al contrario, la madre che aveva cercato di insegnare al figlio i propri valori forse ha fallito: come potrebbe mai apprezzarne la trasformazione da ragazzo timido e impacciato ma benevolo in spietato e cinico calcolatore? Peter la osserva dall'alto, Rose non lo nota: lui ha governato gli eventi, lei è stata una spettatrice ignara e passiva.

 

Peter apre la Bibbia e cerca proprio il verso del Salmo citato nel titolo, ma non è lui a invocare Dio; si crede anzi quel Dio che dal cielo ha risposto all’invocazione muta della supplicante. La vede serena ma l'ha manipolata, proprio come faceva l'uomo che invece la odiava e come in parte ha fatto anche l'uomo che l'ha sposata. Eppure potrebbe esserci qualche altra ombra nascosta proiettata sulle rocce, che noi non vediamo e Campion sì? Magari è Rose che ha usato la sua forza seduttrice per ottenere una sudata fetta di potere: su George grazie a cui non dovrà mai più preoccuparsi di nulla, su Phil che è riuscito a piegarla ma non a spezzarla e perciò si concentra sul gracile Peter rendendolo però un uomo, su Peter stesso che resta fino alla fine il cocco della mamma per la quale è disposto ad avventurarsi in territori pericolosi, geografici e psicologici. Forse il potere del cane non era ciò da cui Rose chiedeva salvezza: era l'obiettivo da raggiungere.

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