Estranei. I fantasmi di Andrew Haigh

18 Aprile 2024

Quando Estranei verrà pubblicato sulle piattaforme al termine della distribuzione nei cinema, sarà preceduto da una delle avvertenze sui contenuti potenzialmente offensivi o diseducativi (i deprecati content warnings) perché in alcune scene si fumano sigarette e si consuma droga. Non ci sarà invece un avviso ben più utile: questo film può risultare emotivamente devastante. Come messaggio promozionale, è improbabile possa essere efficace: come si può spiegare ai potenziali spettatori che un film capace di lasciare turbati e affranti è anche meritevole di essere visto e interiorizzato? 

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Ci sono film ai quali si continua a pensare per giorni, per settimane, dopo la visione; è un'esperienza riportata da molti spettatori di Estranei e bisogna dare merito al regista Andrew Haigh di avere concepito un finale enigmatico ideale allo scopo. Prima di tanti misteri, però, c'è almeno una certezza: la storia si svolge tra il centro e la periferia di Londra. Adam (Andrew Scott), sceneggiatore in crisi d'ispirazione, ne ha una vista spettacolare dall'appartamento del grattacielo in cui vive. Eppure il rapporto con la realtà urbana è limitato all'impatto visivo: le finestre non si possono aprire per evitare tentativi di suicidio, perciò i rumori e gli odori di una città caotica restano fuori, come stimoli remoti. I primi minuti di film sono un concentrato di solitudine metropolitana: Adam posa il suo sguardo fuori dalla finestra, verso gli schermi del computer e del televisore, all'interno del frigo dove trova solo cibo scadente già pronto per essere riscaldato.

Un'emarginazione spezzata quando, costretto a scendere in strada a causa di un allarme antincendio probabilmente scattato per errore, si rende conto di essere finalmente oggetto di uno sguardo altrui: il grattacielo è ancora disabitato, l'unico altro occupante è rimasto nel suo appartamento e lo osserva dall'alto. Harry (Paul Mescal) è più giovane ma altrettanto solo: sarà lui a tentare il primo approccio conoscitivo, inizialmente effimero, ponendo le basi di un possibile contatto umano più profondo col riluttante Adam. La solitudine dello scrittore, oltreché dal giovane per cui prova attrazione e paura, viene infranta anche da un incontro impossibile con i genitori (Claire Foy e Jaimie Bell): tornato a rivedere la casa dov'era cresciuto, li ritrova esattamente com'erano nell'anno della loro morte, avvenuta per un incidente quando lui aveva dodici anni. Era il 1987 e la sera di Natale, ospiti a “Top of the Pops”, i Pet Shop Boys si esibivano nella loro versione di Always on My Mind in testa alle classifiche: quell'ultima sera passata assieme prima dell'incidente è rimasta sempre nei pensieri di Adam, e dalla sua mente sembra uscire per regalargli un'inconcepibile seconda opportunità. 

La sceneggiatura di Haigh è vagamente ispirata al romanzo omonimo di Yamada Taichi pubblicato proprio nel 1987, già tradotto in italiano nel 2005 e recentemente ripubblicato dalla casa editrice Nord in occasione dell'uscita del film. Esiste anche un'altra trasposizione cinematografica, The Discarnates (1988), molto più fedele al romanzo, diretta da Obayashi Nobuhiko (conosciuto in Italia soprattutto dai fedeli spettatori del Far East Film Festival di Udine, dove ha ricevuto nel 2016 il Gelso d’Oro alla carriera), che appartiene al ricco filone Kaidan, ovverosia le storie di fantasmi. Infatti non c'è dubbio che il corrispettivo giapponese di Adam, il divorziato di mezza età Harada, abbia a che fare con i fantasmi di persone morte e le atmosfere fantasy tracimano nell'horror quando viene rivelato che le creature ultraterrene hanno un effetto deleterio sulla salute dei vivi con cui entrano in contatto. 

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The Disincarnates, di Obayashi Nobuhiko.

Nulla di tutto ciò è presente nella rielaborazione di Haigh, che anzi mantiene un'ambiguità irrisolta: i presunti fantasmi potrebbero essere figure metafisiche come anche fantasie terapeutiche nella mente creativa di uno scrittore e si può persino avere qualche incertezza su chi sia vivo e chi sia morto, o sul corretto piano temporale degli eventi. Ma la variazione principale in questo nuovo film è il cambio di sesso dell'altra presenza nell'edificio dove vive il protagonista, unico possibile interesse amoroso di un uomo che fatica ad avere delle relazioni: Kei, la donna trentenne del romanzo con una cicatrice sul corpo, è stata tramutata in Harry, il giovane irlandese tra i venti e i trent'anni con molte cicatrici nell'anima. Di conseguenza, cambia l'orientamento sessuale del personaggio principale e cambia tutto il suo passato: in questo modo, Andrew Haigh vi ha potuto riprodurre parte della sua esperienza di omosessuale britannico cinquantenne, memore di essere cresciuto in un paese più apertamente omofobo di quello attuale.  

Estranei affronta però anche l'amore tra genitori e figli che non hanno mai potuto conoscersi davvero. Adam non mostra mai né paura né repulsione alla vista dei genitori con lo stesso aspetto che avevano la sera in cui erano morti, e ne accetta il ritorno senza che agli spettatori, in assenza di una voce narrante di stampo letterario, venga permesso di scoprire cosa stia pensando. I genitori di Adam, come appena svegliati da una biostasi trentennale, sono consapevoli di essere morti, sanno che il loro incidente è accaduto decenni addietro (ragion per cui accettano senza stupore che il loro bambino dodicenne abbia assunto le sembianze di un quarantenne), ma non hanno accumulato nuove esperienze e nulla sanno di ciò che è accaduto nel frattempo. Non hanno mai saputo di avere un figlio attratto dai maschi, ed è proprio in questo che Andrew Haigh ha colto le potenzialità della storia di un uomo che assiste al miracolo di ritrovare i suoi genitori defunti: potrà affrontare un momento catartico mai vissuto, la confessione della propria omosessualità a due genitori che accolgono la notizia come se fosse ancora il 1987. Il salto temporale da quel preciso anno a oggi è cruciale per capire la reazione dei genitori di Adam, cresciuti negli anni Sessanta, morti negli anni Ottanta, ignari di quanto sia cambiata la società negli oltre trent'anni della loro assenza. Anni di cambiamenti che noi invece possiamo osservare attraverso i film.

Cesare Petrillo, che nel 2016 assieme a Vieri Razzini distribuì con Teodora uno dei precedenti film di Haigh, Weekend (con un lustro di ritardo rispetto al resto del mondo e affrontando polemiche d'altri tempi per un giudizio negativo della Commissione nazionale valutazione film della Conferenza episcopale, che ne causò pesanti effetti negativi sulla circolazione), da tempo ha lasciato il ruolo di distributore per dedicarsi all'organizzazione di eventi. In queste settimane a Roma sta coordinando la rassegna Orgoglio e Pregiudizio dedicata al cinema queer contemporaneo inedito in Italia e a quello classico. Uno dei classici scelti, Victim di Basil Dearden, fu il primo film britannico ad affrontare apertamente lo scandalo delle leggi che fino agli anni Sessanta proibivano i rapporti omosessuali e pertanto rendevano facile vittima di ricatto chi non riusciva a nascondere le proprie inclinazioni. Dirk Bogarde, attore già molto celebre ma perfettamente a suo agio in un ruolo ambiguo di evidente coinvolgimento personale, accettò di interpretare un brillante avvocato invischiato in un ricatto: per non turbare troppo il pubblico dell'epoca, il suo personaggio aveva sempre stoicamente resistito a soddisfare il desiderio carnale per gli uomini, aveva sposato una donna buona e comprensiva, la sua vicenda in fin dei conti era ben poco scabrosa sebbene sufficiente a rovinargli la vita, pertanto il suo personaggio tormentato poté assumere il ruolo di eroe positivo.

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Victim, di Basil Dearden.

Dall’uscita di quel film nel 1961 trascorsero altri sei anni prima del Sexual Offences Act che depenalizzò i rapporti omosessuali, ma il contributo del film nel modificare la percezione dell'opinione pubblica sul tema è ampiamente riconosciuto.

Nei vent’anni successivi, però, alla depenalizzazione legale non seguì l’accettazione morale della maggioranza della popolazione. Nell'edizione del 1987 del British Social Attitudes Survey, un'indagine statistica annuale condotta in Gran Bretagna a partire dal 1984, si riscontra la percentuale fino a oggi più bassa di approvazione (not wrong at all) alle relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso: appena il 10.7%. Il governo di Margaret Thatcher non fu insensibile agli umori popolari: nel 1988 fu approvata la scellerata “Section 28” che vietò ogni forma di promozione dell'omosessualità. In quel periodo di nuove discriminazioni alimentate dalla paura dell'AIDS è ambientato Blue Jean di Georgia Oakley, premiato alle Giornate degli Autori di Venezia nel 2022. Come affronta Jean, giovane insegnante di educazione fisica di Newcastle costretta a tacere sul lavoro ogni aspetto della sua vita privata per non essere licenziata, quel clima politico e sociale? Si mimetizza con atteggiamenti neutri e un aspetto intenzionalmente poco appariscente, ma il suo volto tradisce spesso il disagio e il disgusto di non potersi esprimere liberamente. È un altro personaggio equilibrista che si deve nascondere e rappresenta l'evoluzione di una paura che in qualche decennio si era trasformata, ma non era scomparsa. 

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Il 1987 evocato da Estranei, insomma, non era un anno facile per essere omosessuali nel Regno Unito; non era un momento facile, per un genitore, apprendere dell’omosessualità del figlio. Adam ha l'occasione di chiarire ai genitori quale sia il proprio orientamento sessuale col vantaggio di avere vissuto gli anni di incessanti conquiste sociali che chi è rimasto fermo al 1987 non conosce, ma i dialoghi coi genitori avvengono fuori dal tempo ordinario: si concentrano, in singoli istanti, i lunghi decenni in cui altri uomini e donne della sua generazione hanno affrontato lo stesso tormento, che non può essere estirpato del tutto ma resta come marchio indelebile sempre destinato a chi fa parte di una minoranza. 

Tuttavia, sarebbe errato ritenere che Estranei si rivolga solo a una specifica categoria sociale. Il titolo originale del film è All of Us Strangers: in quel tutti noi estranei chiunque si può identificare, perché chiunque può avere rimpianti, chiunque immagina di rivivere certi momenti del passato in modo differente, chiunque vorrebbe avere la possibilità di esprimere ciò che è rimasto non detto; chiunque può vivere con solitudine estrema tali desideri impossibili. Per Adam, queste opportunità rappresentano una liberazione vitale, o forse un peso insostenibile che lo blocca in un limbo eterno. Eccolo quel finale enigmatico così efficace su cui si può rimuginare per settimane: forse servirebbe un content warning anche su questo, perché molti spettatori restano più sconvolti da un finale aperto che da qualcuno che fuma una sigaretta.

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