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Che cosa stiamo sbagliando? Adolescence

27 Marzo 2025

Sono le 6 di mattina. Stai dormendo nel tuo letto, nella tua villetta famigliare in una cittadina dello Yorkshire, nel nord dell’Inghilterra; sei con tua moglie; nelle loro camerette i tuoi due figli adolescenti: lui ha tredici anni, lei sedici. Una testa di ariete sfonda la tua porta di casa e urlando ti sciamano in casa poliziotti armati fino ai denti in tenuta da combattimento. Ti puntano i mitra spianati, ti gettano faccia a terra. Stanno cercando te? Sei un onesto idraulico, esci di casa alle 6 di mattina e rientri alle 20; tua moglie lavora, ma rientra dal part time per stare con i figli. “Siamo una bella famiglia – ti dici – cosa sta succedendo?”. Cercano Jamie, il tuo ragazzo con la faccia da bambino, lo arrestano terrorizzato, si piscia nel pigiama, lo trascinano via, lo caricano su un’auto di ordinanza; puoi seguirlo, è minorenne. In macchina ti aspetta un assistente sociale. Si va in centrale, perché il tuo ragazzo è accusato di avere ucciso a coltellate nella notte una ragazzina della sua scuola.

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È reale, è vero

Sei seduto nel tuo divano e stai guardando i primi minuti di una miniserie inglese in quattro puntate di un’ora circa ciascuna. Fino a questo punto non sei riuscito a respirare. Non ci credi. Non è possibile. Stanno esagerando. Netflix sta di nuovo sbracando per alzare gli ascolti del pubblico adolescente. Vuoi un po’ vedere dove vogliono arrivare. Ma il piano sequenza ininterrotto, la steadycam che passa da operatore a operatore rimanendo incollata alla faccia di un attore per volta, seguendolo in ogni anfratto, ti ha già ipnotizzato. Perché sei lì. Sei il padre. O sei la madre. O sei la ragazza. O sei l’assistente sociale. O sei uno dei due detective. Non puoi staccarti, e non ti staccherai per 4 ore, perché non è possibile che quello che stai vedendo, così realisticamente rappresentato, sia reale. Invece lo è.

È stato mio figlio

Adolescence l’hanno scritto Jack Thorne e Stephen Graham, ispirandosi a un fatto di cronaca. Tra i produttori esecutivi c’è Brad Pitt (che era protagonista nel film d’esordio di Stephen Graham: Snatch, di Guy Ritchie, 2000). Il regista è Philip Barantini (che aveva già diretto in unico piano sequenza Stephen Graham in Boiling Point, 2021). La livida fotografia è di Matthew Lewis; Shaheen Baig ha fatto il casting: ha esaminato più di 400 candidati per trovare chi avrebbe interpretato Jamie e infine ha scelto Owen Cooper, alla sua prima interpretazione: fenomenale. Stephen Graham lo conosci: ha un marcato accento di Liverpool, e sembra un portuale; ha un fisico tarchiato e possente, l’hai visto fare il pugile violento e ignorante in A Thousand Blows (Disney+, 2025) nell’East londinese di fine Ottocento. Sino all’ultimo quella sua rabbia repressa sempre pronta a sbottare te lo rende sospetto: eh già, è chiaro, magari pesta il ragazzino tutti i giorni, lo umilia, lo schiaccia con la sua mascolinità tossica, e invece no; è la rabbia di chi per quasi un’ora si sente vittima di una clamorosa ingiustizia, di un errore vergognoso della polizia. Non è proprio possibile. Dai, è un brav’uomo, un onesto lavoratore, un babbo che conforta e segue il figlio in un momento pazzesco. Gli chiede più volte, più volte guardandolo negli occhi: “Cosa hai fatto? L’hai fatto tu?” e Jamie piagnucola, commovente: “No No No! Non ho fatto niente!” e passando i minuti “Non sono stato io!”. Quando sta per finire il primo episodio il detective (Ashley Walters), gira il suo laptop verso padre e figlio; la camera a mano, alle loro spalle, ci fa vedere quanto basta del filmato della CCTV del parcheggio vicino alla scuola media; non c’è audio; in mezzo alle auto Katie è furibonda, spinge a terra Jamie… lui si rialza, tira fuori un coltello, le infligge sette coltellate, la lascia morta dissanguata a terra e fugge.

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Scuola-inferno

Nel secondo episodio i detective vanno nella scuola, per cercare di capire perché è accaduto. La scuola sembra un buco claustrofobico, i corridoi sono stretti, le aule piccole, i ragazzini in divisa sono tremendi, caotici, beffardi, deridono chiunque; gli insegnanti soccombono (“Cosa vuole che facciamo con dei ragazzini così”, dice uno di loro allargando le braccia), mettono video alla digital board e urlano come guardie carcerarie. Radunati sul campo da tennis, la più cara amica di Katie assalta e riempie di botte il più caro amico di Jamie: sarà stato lui? Fino all’ultimo speriamo che non sia stato il nostro Jamie. No, gli ha solo procurato il coltello.

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L’intervista-carneficina

Il terzo episodio è un capolavoro: la psicologa forense deve intervistare l’accusato, e capire se è consapevole o inconsapevole di quel che ha fatto. L’attrice è Erin Doherty, che era a fianco di Graham in A Thousand Blows, interpretando l'astuta capobanda di ladre. La camera gira intorno a Jamie e alla dottoressa Ariston; all’inizio lei è simpatica, quasi affettuosa, gli ha portato una cioccolata calda con i marshmallows inzuppati e un tramezzino fatto con le sue mani; Jamie scherza, un po’ si fida e un po’ no. Ma la psic è troppo brava, gioca al gatto con il topolino. In un crescendo teatralissimo e drammatico stana la belva che è in Jamie, che sbatte a terra la cioccolata, urla feroce, si fa minaccioso addosso a lei: lo ha fregato, il poliziotto lo porta via, è stato lui perché è due Jamie, il bimbo e il maschio femminicida precoce. Per interminabili minuti la camera si avvicina allo choc, al ribrezzo, al ritorno in sé stessa di lei.

 

Cosa dobbiamo fare?

Il quarto episodio è tredici mesi dopo, alla vigilia del processo che avrà esito certo: condanna al massimo della pena prevista per un minorenne. C’è quel che resta della famiglia. I bulli in bicicletta del quartiere che scrivono con la vernice-spray “PEDO” sul bel furgone dell’idraulico; furibondo, vuole lavarla via subito, ma vuole anche che si passi una bella giornata con moglie e figlia, perché è il suo compleanno. Sono in trappola. Sono guardati con orrore e disprezzo da tutti. Lui viene avvicinato al grande magazzino del bricolage da un commesso che gli bisbiglia una sordida solidarietà maschilista, facendolo ancor più infurentire. Non hanno scampo. Sono condannati alla vergogna come Jamie. A un certo punto padre e madre si dicono: “Sapevamo che era al sicuro, nella sua camera” e invece il veleno della Rete entra nel sangue dei nostri figli mentre dormiamo. Nell’ultima scena il buon uomo, il povero padre pentito di non essersi accorto che il figlio l’aveva perso di vista, giorno per giorno, chiuso nella sua cameretta penetrata dallo schifo “incel”, maschilista e misogino, che passava su Instagram, dal bullismo che subiva perché “sfigato”, riapre dopo più di un anno la cameretta di quello che era ancora un bambino, apparentemente; mette sotto le coperte l’orsetto, lo bacia, e piange disperatamente mentre una struggente ballata riempie la colonna sonora; la voce, angelica come quella di Julee Cruise di Twin Peaks, è quella di Emilia Holliday, che ha interpretato per pochi istanti la vittima Katie.

Dopo quattro ore, ci tocca chiederci quello che si stanno chiedendo tutti, anche il Primo Ministro britannico Keir Starmer in parlamento: cosa stiamo sbagliando? Cosa dobbiamo fare?

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