Baby Reindeer, occhio ai parassiti

20 Giugno 2024

Ma chi l’ha fatto fare a Donny Dunn di intenerirsi per Martha, quella sera in cui l’ha vista tutta sola e mogia al bancone del pub dove lavorava come bartender? Ha sbagliato ad essere compassionevole? Oppure il suo karma di traumatizzato gli aveva già scritto le battute di un copione ferale? Baby Reindeer è una storia di stalking, di abusi sessuali, e infine, almeno per il protagonista, di un viatico dolorosissimo, squartante, per accettarsi, per accettare il male subito, per contemplare che ciascuno di noi la sua quota di morbosità e costellazioni famigliari ce la mette, dando una mano ai disastri.

Ma è vero o no?

Tutta la saga di Fargo (film e poi serie tv) comincia con una didascalia che dichiara che “questa storia è vera, e che sono solo stati cambiati i nomi dei personaggi, a tutela bla bla”. Una bugia narrativa, un trucco per adescare la nostra attenzione macabra e sarcastica per vicende apparentemente incredibili eppure così inesorabili nella reale “catena di sventurati eventi”. Il protagonista di tutti i Fargo è sostanzialmente un babbeo che si mette nei guai cercando di fare il furbo, finendo preda di spietati sciacalli criminali. Entra in un ingranaggio più grosso di lui, che lentamente lo stritola in tanti pezzettini. Anche Baby Reindeer dichiara che “è tutto vero”. Ci interessa veramente che una storia sia fondata su un “fatto veramente accaduto”? Ovviamente no, se la narrazione è sufficientemente orchestrata, potente. Il personaggio scritto e interpretato da Richard Gadd finisce appiccicato, inguaiato, avvoltolato come una mosca nella ragnatela di una ragna stalker implacabile. Il rovello se questa vicenda sia vera o falsa ha ammorbato i social network, invece, con o senza (non si capisce bene) la complicità dell’attore-drammaturgo, il comedian che a un certo punto invece di far ridere crollò in show-down e scoppiò in lagrime davanti al pubblico al Festival di Edimburgo vuotando il sacco su di sé, show-down che resta una delle sequenze più creepy della serie: abuso omosessuale subito con l’inganno di una carriera come writer televisivo, successiva latenza omosessuale indotta o svelata dall’evento (forse subliminalmente da lui provocato?), innamoramento per un transessuale (la stupenda Nava Mau, che recita il più bel personaggio della miniserie inglese su Netflix – diretta da due donne, Weronika Tofilska e Josephine Bornebush - che ha entusiasmato Stephen King), codardia iniziale sul coming out (che poi arriva in una scena davvero esemplare di colloquio con i genitori, al termine della quale il padre cattolico confessa di aver subito lui stesso da bambino le sporche attenzioni di un sacerdote), fondo toccato e poi risalita verso l’autotrasformazione, l’autoaccettazione e il successo teatrale (e ora televisivo) con una drammaturgia che sembra verità e che comunque è coraggiosa, forte, addirittura educativa in particolare per il pubblico adolescente della piattaforma.

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La “vera” stalker

I soliti giornalacci inglesi si sono scatenati per trovare la “vera” stalker; l’hanno braccata e trovata, e lei infine ha minacciato querele per tutti facendosi però intervistare in un lungo testa-a-testa sul canalaccio di Pierce Morgan: questa intervista è un corollario alla miniserie, perché chiunque non potrà a quel punto non cadere nel morboso “indovinala grillo”; la “vera” stalker che tutto nega, rovesciando ovviamente livore contro il drammaturgo-attore, ha una somiglianza clamorosa con la attrice (Jessica Gunning) che interpreta la stalker in Baby Reindeer; il cucciolo di cervo peluche è vero! È vera una prima raffica di messaggi ed e-mail! Ma in fondo, chi se ne frega?

Ripley, parassita letale

Il romanzo di Patricia Highsmith The Talented Mr. Ripley (1955) è un meccanismo ad orologeria micidiale. Il personaggio è così inafferrabile e agghiacciante che poi è diventato seriale in successivi titoli della scrittrice. Due sono stati i film già tratti dal primoromanzo: Plein soleil (1960) di René Clément con Alain Delon, e The Talented Mr. Ripley (1999) di Anthony Minghella con Matt Damon e, nella parte del partenopeo compare di gozzoviglie, un sorprendente Rosario Fiorello. La serie tv di Steven Zaillian è raffinata; distilla respiro per respiro la “catena di sfortunati eventi” che portano questo giovanotto privo di identità e amor proprio, piccolo truffatore da quattro soldi, ad essere prima risucchiato e poi autopropulso nell’infilarsi nella vita invidiata di un giovane facoltoso debosciato americano che se la gode sulla costiera amalfitana; Dakota Fanning ricama la parte diffidente e infine incredula di Marge Sherwood, e Andrew Scott nella serie in bianco e nero diventa un vilain da dark movie, camaleonte, ladro di identità e di soldi, sempre più abile – in un autoapprendimento da AI – nello sgusciare da situazioni al limite dello svelamento e della cattura.

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In vocabolario Treccani il parassita è «in biologia, ogni animale o vegetale il cui metabolismo dipende, per tutto o parte del ciclo vitale, da un altro organismo vivente, detto ospite, con il quale è associato più o meno intimamente, e sul quale ha effetti dannosi…gli ectoparassiti vivono sulla superficie esterna dell’ospite (come pidocchi, zecche, pulci per gli animali, e funghi, cocciniglie per le piante)». Occhio ai parassiti, dunque, cari potenziali ospiti: animali umani (stalker, impostori) con un’anima svuotata dal trauma o dall’anaffettività, a noi si vogliono attaccare con violentissima determinazione, malware che trova in noi bug disponibili, entrando in simbiosi con la nostra vulnerabilità. Warning: questo avvertimento è vero, per vite vere.

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