Imparateci adesso: la parola ai nuovi italiani

7 Gennaio 2025

La storia comincia tanto tempo fa, ma proprio tanto, tanto tempo fa: l’Homo Sapiens migra, è sempre migrato, sempre migrerà. È nella nostra natura antropologica spostarci là dove possiamo vivere meglio, e la Terra – almeno una volta, tanto, tanto tempo fa – apparteneva solo a sé stessa. Con poche decine di euro possiamo andare su una app genealogica, oggi, e farci mappare il DNA: raccolte in base agli attuali confini geopolitici, le nostre percentuali non potranno che darci una minima prevalenza delle nostre origini “etniche”. Siamo tutti provenienti da ovunque, tutti meticci, tutti pronipoti di migranti.

Italiano sarai tu

Certo è la scuola il luogo dove vediamo con i nostri occhi e la nostra esperienza di insegnanti quali generazioni stanno crescendo. I ceti “affluent” evitano sinché possono l’istruzione pubblica, surfano sulle scuole private, confessionali o laiche, sino ai Master internazionali che costano decine di migliaia di euro ogni anno. Una costosa e incessante e faticosa corsa avanti di qualche metro un po’ oltre la realtà.

La storia dell’integrazione è conseguenza della storia del colonialismo e dell’imperialismo. Chi prima ha cominciato a colonizzare, prima, dagli anni Sessanta delle indipendenze nazionali (entro confini artificiali tracciati con il righello dalla protervia europea) ha cominciato a camminare verso la multietnicità, e poi verso una nuova idea di nazionalità. Lo sport è stato il settore dove abbiamo visto dapprima mescolarsi colori e cognomi: e quindi Inghilterra, Francia, Paesi Bassi, Belgio, Stati Uniti d’America, e poi Germania, Svizzera, e poi Svezia, e poi, poi Italia. Poi la musica pop. Poi i libri. Poi l’azione socioculturale.

Oggi, in una classe di scuola secondaria di primo grado (le vecchie “medie”, un triennio con studenti tra gli 11 e i 13 anni), in una città di media grandezza del Nord Italia, in un quartiere non particolarmente periferico o degradato, metà classe ha cognomi evidentemente non “italiani”. La scuola italiana è stata all’avanguardia nella inclusione dei soggetti portatori di disabilità sin dagli anni Settanta del Novecento; e francamente non ho mai visto, almeno nel terzo millennio, discriminazioni di alcun tipo nei confronti di minorenni apparentemente di origini asiatiche e africane. Certo il retroterra famigliare e sociale è decisivo, e certo è molto più probabile che un recente immigrato sia almeno inizialmente un nuovo povero italiano. Questo continua a contare.

Empatia per loro

Gli insegnanti cattolici, o democratici, sono ovviamente stati i primi a empatizzare con questi bambini e ragazzini. La barriera linguistica è una cosa seria, specie se in casa parli ancora la lingua di origine etnica. Nella seconda generazione le bambine e ragazzine hanno accelerato, a razzo, sia per superiore cognitività femminile nella preadolescenza, sia per una rabbiosa o mite determinazione al riscatto sociale: si studia per salire (sperare, illudersi di salire) nella piramide economica. Così siamo arrivati alle prime giovani dai cognomi “non italiani” laureate, alle prime giovani dai cognomi “non italiani” candidate alle elezioni comunali e regionali, alle prime giovani dai cognomi “non italiani” attiviste politiche e scrittrici. I maschi un po’ più altrove: sport e musica pop; l’esternazione coraggiosa, intelligente, politica di Ghali dopo aver cantato il suo medley Italiano vero al Festival di Sanremo nel febbraio 2024 resterà un giro di boa storico.

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Espérance Hakuzwimana.

La rabbia contro di voi

Espérance Hakuzwimana, classe 1991, bresciana e torinese, DNA rwandese, Università di Trento e poi Scuola Holden, ora al lavoro con la sua “Na.Co - Narrazioni Contaminate per mondi presenti” è al suo quarto libro, con questo Tra i bianchi di scuola. Voci per un’educazione accogliente (Einaudi 2024), dopo E poi basta. Manifesto di una donna nera italiana (People 2019), Tutta intera (Einaudi 2022) il suo romanzo d’esordio, e La banda del pianerottolo (Mondadori) romanzo young adult. La collana “Vele” Einaudi confeziona pamphlet di un centinaio di pagine e Hakuzwimana pamphletta bene; in esergo il libro Cuore e bell hooks, premesse lucide e ficcanti: «In questo testo non c’è la pretesa di dare risposte. Non si avanzano soluzioni facili. Ma mi piace immaginare che nella complessità di un vissuto stratificato, spesso pieno di limiti che fioriscono nel quotidiano, si possano scorgere brecce, stralci di positività. Speranze oserei dire. Per chi la scuola la frequenta da alunno e ogni anno, ogni giorno desidera essere visto semplicemente per quello che è: un essere umano in divenire, alla scoperta del mondo e di sé».

Ci sono dati: «Nel quinquennio 2017/2018-2021/2022 il numero degli studenti con cittadinanza non italiana nati in Italia è passato da 531467 a 588986 unità, con un incremento di oltre 57000 unità (+10,8 per cento). Nello specifico, nella scuola dell’infanzia, ogni 100 alunni con background migratorio circa 83 sono nati in Italia. Nella scuola primaria quasi tre minori con cittadinanza non italiana su quattro sono nati in Italia (73,6 per cento); nella scuola secondaria di I grado si tratta del 67 per cento e nella scuola secondaria di II grado del 48,3 per cento, quasi un minore su due.

Il 65,4 per cento delle studentesse e degli studenti di origine non italiana è nato nel nostro Paese. Il 65,3 per cento delle studentesse e degli studenti con cittadinanza non italiana è concentrato nelle Regioni del Nord».

Ma soprattutto c’è la scelta letteraria di Hakuzwimana: tenersi nella testa le voci-alveare di decine e decine di ragazze e ragazzi incontrati nelle scuole, nelle conferenze, nelle azioni politiche e farne una ronzante polifonia, sintassi di infinite fluttuanti ellissi, nello sforzo di firmare con il proprio nome un coro difficile da intonare in un inno comune, o in uno slogan solo: «La terza generazione è qui, e supera tutto quanto: la scuola, i pregiudizi, le classi, voi insegnanti, il merito, i ministeri lontanissimi, la politica, il clima e va via lontano da tutto quanto. Vi supera, si supera e non si tiene a bada. Sfidandovi, mettendovi alla prova, a disagio, all’angolo, in allerta e poi in silenzio».

La parola a noi

Certo, ci vorrebbe lo ius soli, almeno lo ius scholae, una legge in Parlamento, ma non è tutto lì. Una trasformazione non ha marchi politici, una vera contaminazione scorre nella società e in Italia è molto più avanti della politica. Garantisco che nella vita quotidiana di una scuola le cose cambiano nonostante tutto, le cose cambiano nelle migliaia di interazioni che ogni giorno ci trasformano interiormente in mille luoghi in cui si è insieme. E lo scrive anche Hakuzwimana: «C’è una nuova scuola in Italia e la puoi capire solo se la frequenti. In mezzo a tante altre nuove scuole che portano altri nomi, nuove sfide, grandi paure ma anche cambiamenti inevitabili… Non siamo più pochi, non siamo più lontani o incomprensibili. Siamo tutti qui in classe e adesso siamo il mondo intero. Dentro questo cambiamento ci siamo insieme; è già il futuro. È il momento giusto. Non siamo più invisibili: potete impararci adesso».

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