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Immagini e paura / Madonna antivirus

15 Marzo 2020

A seguito delle numerose epidemie contagiose, nel Trecento prende corpo la credenza popolare che siano gli angeli a colpire senza pietà dal cielo, come fossero le propaggini o lo strumento infallibile della divina giustizia adirata. Le persone che non sono sotto la protezione del manto di Maria muoiono all’istante. Nel Medioevo la “protezione del mantello” viene concessa dalle nobildonne altolocate ai perseguitati e ai bisognosi d’aiuto. Il simbolico riparo sotto il mantello è considerato inviolabile. La religiosità pietistica proposta dalle confraternite della Misericordia, concentrata sul sentimento di espiazione dal peccato (intesa come fosse un riparo per l’inesorabile condanna), trova una consolatoria speranza di salvezza nella protezione offerta dal mantello della Vergine-madre. Probabilmente le prime immagini della Madonna della Misericordia sono realizzate in miniatura nei codici giuridici delle confraternite che compivano atti di pubblica assistenza nella seconda metà del Duecento. 

 

Barnaba da Modena, Madonna della misericordia 1377-1383, Genova, Santa Maria dei Servi, Ludovico Brea, Madonna della Misericordia, 1483, ca. Taggia, Chiesa di San Domenico.


Nel Trecento vi sono numerose figure della Mater Misericordiae negli elenchi nominali dei membri iscritti alla compagnia, spesso ordinati per quartiere o rione di residenza. Per i consociati si impone la necessità di un soggetto sacro, con semplice efficacia iconica, in grado di far leva sul sentimento di fratellanza degli iscritti. Nei documenti giuridici delle confraternite laiche si fa sempre affidamento alla protezione celeste accordata dalla Madonna, che ammanta e protegge l’associazione scaturita da una comunione giuridica e spirituale. Barnaba da Modena rappresenta la Madonna della Misericordia (1377-1383) come fosse un ex-voto legato alla peste del 1372, descritta nell’atto di proteggere con il suo manto il popolo dagli angeli, che dall’alto saettano frecce senza misericordia. Forse l’iconografia è mutuata da Jacopo da Varazze, il quale scrive che, durante la peste di Roma del 590, si vedevano delle saette scendere dal cielo. Anche Ludovico Brea, un secolo dopo, nella Madonna della Misericordia (1483 ca.) della Chiesa di S. Domenico a Taggia, raffigura angeli in volo intenti a far scoccare dai loro archi le frecce pestilenziali, in direzione del popolo riparato sotto il manto della Madre di Cristo. 

 

Madonna della misericordia con trono di grazia, 1390, Norimberga, Museo Nazionale tedesco, Diego De La Cruz, Madonna della Misericordia, c. 1486 Burgos Monastero di Santa Maria Real de las Huelgas.


L’iconografia delle madonne che proteggono il popolo dai dardi è fortemente imparentata con i soggetti delle danze macabre e dei trionfi della morte, dove al posto di Dio, Cristo e degli angeli sono gli scheletri o la Morte stessa a scagliare gli strali pestilenziali, come per esempio nella facciata dell’Oratorio dei Disciplini a Clusone. La funzione protettiva è identificabile nella misericordia della madre di Dio, resa visibile attraverso l’elargizione della carità e l’offerta di una speranza di salvezza, per un’umanità in perenne balia delle avversità, delle epidemie e dell’abbattersi della punizione celeste. 

Soprattutto nel corso del XV secolo, molte Madonne della Misericordia sono dipinte su gonfaloni o su stendardi da portare nelle processioni penitenziali, per scongiurare calamità naturali o pestilenze. Lo stendardo della compagnia, con la raffigurazione della Vergine Protettrice, è un’insegna a due facce dipinta su tela. Portato in processione durante le cerimonie pubbliche, il gonfalone è inteso come emblema visivo della tutela spirituale concessa da Maria ai suoi devoti. 

 

Giacomo De Buschis, Danza macabra, 1485, Clusone oratorio dei disciplini.


Nel Quattrocento vi sono ancora molte testimonianze iconografiche della visione ereditata dal secolo precedente: di solito sono raffigurati Dio padre o Cristo o gli angeli mentre scagliano lance o frecce pestilenziali in direzione del popolo. Antonio da Firenze, nell’opera Simboli apocalittici e Madonna della Misericordia (1440 ca.), ora a Perugia, nella Galleria Nazionale dell'Umbria, raffigura Cristo che getta frecce verso i fedeli protetti dalla Madonna, dove tutti i soggetti sono contenuti entro una mandorla mistica, posta accanto a un’altra che racchiude la visione giovannea dell’agnello e dei sigilli apocalittici, in relazione con un teschio, il sole e la luna. Anche Lucas Cranach, in Cristo e la Vergine intercedono per l’umanità (1516-1518 ca.) ora allo Szépmuvészeti Mùzeum di Budapest, raffigura Dio nell’atto di scoccare tre frecce contemporaneamente con un solo arco, in direzione di Maria, descritta mentre protegge col suo manto rosso il Papa, un cardinale, un vescovo, un imperatore, un re e altri dignitari. Il Maestro di Salisburgo, nella Madonna della Misericordia (1460 ca.), ora all’Oberösterreichische Landesmuseen di Linz, raffigura Dio (descritto con i tratti giovanili del Figlio) che, dall’angolo superiore sinistro del quadro, tira con l’arco per centrare i bersagli colorati delle massime autorità religiose e politiche e anche delle innumerevoli teste dei popolani, che stanno nelle retrovie, sotto il manto mariano. 

 

Bartolomeo Caporali, Le frecce rotte sul manto della Madonna.

 

Madonna della Misericordia, Firenze, Sala dei Capitani della Loggia del Bigallo.


La Madonna della Misericordia di Bartolomeo Caporali, commissionata dal Convento dei Francescani di Montone (Perugia) nel 1482, è un tipico gonfalone contro la peste, utilizzato in processione per invocare il soccorso divino in caso di calamità e malattie. La Vergine della Misericordia protegge i fedeli con il proprio mantello dalle sciagure scagliate da Cristo giudice. Assieme alla vergine sono chiamati in causa, per accrescere il potere del manto mariano e per creare uno scudo impenetrabile sopra il borgo anche i Santi Sebastiano (protettore contro la peste), Francesco (santo titolare della chiesa), Biagio (protettore della gola e dei cardatori di lana), Giovanni Battista (in veste di protettore del Comune di Montone), Nicola (protettore dell’ordine francescano, mercanti e commercianti), Bernardino (santo francescano importante, protettore degli ammalati ai polmoni), Gregorio (cui è dedicata la Pieve) e Antonio di Padova (il santo taumaturgo dei Francescani). Nella parte inferiore, sulla destra, uno scheletro con la falce si aggira poco distante dalle mura di Montone, portando con sé gli effetti nefasti della peste. 

 

Bottega di Benedetto Bonfigli, Madonna della Misericordia, 1464, Perugia, Oratorio di San Bernardino.

 

Maestro da Salisburgo, Madonna della Misericordia, 1460, Oberosterreichische Land Museum, Bottega di Benedetto Bonfigli, Madonna della Misericordia, 1464, Perugia, Oratorio di San Bernardino.


La Morte con la falce compare anche nell’affresco Madonna della Misericordia (1464), dipinto dalla Bottega di Benedetto Bonfigli nell’Oratorio di San Bernardino a Perugia. Qui, però, lo scheletro viene colpito da un angelo in volo, armato di lancia, che intende fermare la pestilenza, nonostante che in cielo Cristo continui a brandire le frecce. Diego de la Cruz, invece, nella Vergine della Misericordia (1485 ca.) di Burgos, raffigura due diavoli in alto, al posto delle figure divine: uno scaglia grandi frecce, l’altro porta pesanti libri sulla schiena. Il diavolo a destra è stato identificato come Titivillus, ovvero un demone che, secondo Cesario di Heisterbach (Colonia, 1180 ca. – Heisterbach, 1240 ca.), è responsabile degli errori di scrittura dei copisti. Titivillus è qualificato come “diavolo patrono degli scribi”, figura nata per fornire un alibi atto a giustificare gli errori di copiatura nei manoscritti. Secondo la tradizione, Cesario descrive per primo sia la visione della Madonna della Misericordia sia la figura di Titivillus. 

 

Benozzo Gozzoli, San Sebastiano intercessore, 1464 - 1465, Dettaglio San Gimignano, Chiesa di Sant'Agostino.


L’immagine della Mater misericordiae ha notevole fortuna nell’arte, declinata in innumerevoli versioni anche nei secoli successivi al Trecento, quando ancora perversano le carestie e i virus pestilenziali. Nelle città italiane la grande carestia scoppiata tra il 1315 e il 1317 e le epidemie del 1339 e 1340  provocano un deciso aumento della mortalità. Nessuna preghiera sembra efficace contro le cause della tragedia. La Peste nera imperversa in Europa tra il 1347 e il 1353, uccidendo almeno un terzo della popolazione del continente, ovvero tra i 20 e i 25 milioni di persone. Nell’ottobre 1347, la peste fa la sua comparsa nei porti del Mar Mediterraneo, a Messina, a Costantinopoli e a Ragusa di Dalmazia (Dubrovnik) per poi diffondersi in tutta Europa. Il batterio della malattia viene portato dalle pulci presenti sui topi che viaggiano a bordo delle navi. A Venezia, scoperta la causa della trasmissione epidemica, nasce la precauzione di fare sostare per quaranta giorni (“quarantena”) le navi, con il loro equipaggio, al largo della Laguna.  Si pensa che l’agente patogeno del 1348 sia responsabile di tutte le successive epidemie scoppiate in Europa fino al XVIII secolo, con vari gradi di intensità e mortalità. 

 

Antonio da Firenze, Simboli apocalittici e madonna della misericordia, 1440, ca. Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria.


Di fronte alla forza devastante della Peste nera, si fa strada la sensazione che sia in atto una punizione divina. Nascono in questo periodo molti movimenti religiosi, in conseguenza della peste o nel timore dell’epidemia. I flagellanti percorrono le città, la vita quotidiana è scandita da numerose rogatorie e processioni, i pellegrinaggi diventano più frequenti. Molti movimenti religiosi sfidano il monopolio ecclesiastico sulla sfera spirituale. In molti luoghi vengono innalzate chiese votive dedicate a S. Sebastiano e a S. Rocco, patroni degli appestati. Il popolo, deluso dal silenzio e dall’indifferenza del dio patriarcale (ora inteso più come giudice severo che come padre buono), cerca conforto altrove, indirizzando le sue suppliche alla discendente cristiana della Grande Dea materna: l’attributo della misericordia viene ora riservato alla Vergine Maria. In questi periodi pestilenziali i governi e la Chiesa hanno grande difficoltà a gestire la crisi. Nel momento in cui si mette in discussione Dio, perché sembra che non voglia o non possa rispondere alle suppliche del popolo in pericolo di morte, i poteri terreni, parimenti impotenti, perdono autorità. In una società prevalentemente “religiosa”, nel senso che si privilegia l’intervento divino per risolvere tutti i problemi, l’inefficacia delle preghiere mina l’autorità istituzionale della Chiesa, che tuttavia è un colosso inaffondabile e sopravvive come in ogni altro periodo di grande crisi del passato. 

 

Lucas Cranach, Cristo e la Madonna intercedono, 1516.


L’introduzione e la notevole diffusione della Mater Misericordiae nell’arte sono strettamente legate alla progressiva affermazione delle confraternite di laici – il loro spirito religioso si fonda sul sentimento consociativo nel segno della carità – che hanno contribuito in modo determinante a innovare le forme di partecipazione alla vita religiosa nella società nel tardo Medioevo. Il mantello della divinità misericordiosa che protegge i membri della confraternita è da considerare come la manifestazione visiva di un preciso richiamo alla fratellanza sociale. Anche dopo la Controriforma il soggetto, per le sue connotazioni devozionali, continua a godere di un largo seguito. Nelle opere d’arte le dimensioni della vergine-madre, testimonianza visiva del grado di valore e importanza che ha assunto nel Trecento, vengono equiparate a quelle solitamente attribuite a Dio Padre. Uno scultore medievale anonimo della Prussia occidentale realizza la Madonna della Misericordia con Trono di Grazia (1390), ora a Norimberga, nel Museo Nazionale Tedesco, descrivendo la Vergine in grandi dimensioni, così che contenga la figura di Dio Padre, colto mentre regge la croce di Cristo. 

 

Il motivo iconografico della Madonna della Misericordia viene interpretato in diverse varianti, esemplificative del modello che si impone nella prima metà del Trecento. La maestosa Misericordia (1342) attribuita a un pittore della cerchia di Bernardo Daddi è descritta come una donna ammantata di piviale, con mitra vescovile tonda in capo, che reca una tau, segno tratto dall’Apocalisse di Giovanni. La figura allegorica richiama la Sacerdotissa justitiae. Ella è sostenuta dalla città di Firenze del XIV secolo, o sta in sospensione tra gli sguardi dei suoi fedeli posti ai lati, raffigurati in ginocchio, con le teste rivolte in alto, donne e uomini oranti, suddivisi in base al sesso, rappresentanti il popolo fiorentino, descritti accuratamente nelle fisionomie, nei copricapi e negli abiti, che testimoniano i loro ruoli nella società. Nello stolone sono presenti undici ovati, in cui sono effigiate con lettere longobarde le Opere di Misericordia e di Carità cristiana.  Ai lati della madonna risaltano, sullo sfondo celeste, parole capitali (visito, poto, cibo, redimo, tegho, colligo e condo), che si riferiscono alle azioni caritatevoli compiute in città dalla Compagnia della Misericordia. Le parole, indicanti azioni e opere, sono messe in visione per ricordare ai componenti della Compagnia di mantenere alimentato un cuore che condivida la miseria umana (come vuole la matrice latina della parola “misericordia”). 

 

Anonimo della cerchia di Bernardo Daddi, Madonna della Misericordia, 1342, Firenze, Sala dei Capitani della Loggia del Bigallo.


Nella Chiesa di S. Agostino a San Gimignano, Benozzo Gozzoli sostituisce la classica figura della Madonna della misericordia con l’immagine di San Sebastiano, che col mantello protegge la gente mentre dall’alto piovono frecce scagliate dagli angeli della peste. In alto a destra appare un caso molto particolare nell’iconografia del Rinascimento: la Vergine mostra i suoi seni nudi. È descritta in ginocchio, mentre abbassa la veste rossa all’altezza del petto e sposta il velo. Forse in questo gesto riecheggia qualcosa che ha un retaggio più antico. Ricorda il rituale dell'anasyrma. Tornano alla mente anche le statuette minoiche (circa 1600 a.C.), rappresentanti donne o divinità che hanno ben visibili i seni nudi, mentre danzano con serpenti aggrovigliati sulle braccia e tra le mani, reperti provenienti da Cnosso e ora conservate nell’Heraklion Archaeological Museum. Molte fonti storiche riportano che l'anasyrma avesse effetti sensazionali o soprannaturali. 

 

Scuola di Konrad Witz, Cristo e la Vergine intercedono presso dio per le due donatrici, 1440, ca. Kunst Museum di Basile.


L’esibizione delle parti intime era comune nei culti di Demetra e Dioniso, e compaiono nella celebrazione dei misteri eleusini associati alle due divinità. Nella chiesa di Sant’Agostino, invece, la Madonna spera che il suo gesto "apotropaico" abbia la forza di fermare l’azione devastante di un Padre castigatore, così che smetta di scagliare le saette della peste sul popolo di san Gimignano. Gesù mostra le ferite per ricordare il suo sacrificio compiuto per la redenzione del mondo, cercando in questo modo di intercedere contro l’ira del Padre. Maria mostra il suo seno: rimarca la maternità, reale e spirituale al contempo, e chiede a Dio di ricordarsi che anche i cittadini di San Gimignano sono figli suoi. Cristo indica la sua piaga al torace e simboleggia la misericordia divina che redime tramite il sacrificio del figlio; anche Maria si pone come veicolo della misericordia, nelle sue attribuzioni di vergine e madre. Cristo e la Vergine intercedono presso Dio per le due donatrici (1440 circa), dipinto da un artista della Scuola di Konrad Witz, è un precedente iconografico di area tedesca, dove accanto a Cristo adulto compare la Madonna che mostra il seno, qui in relazione col torace nudo di Gesù e la sua ferita, per dare più efficacia al forte richiamo alla misericordia e per significare la loro vicinanza all’umanità nella storia della redenzione, del disegno divino e della resurrezione. 

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