Falcinelli. Dentro il visual design
“In quanto rappresentazione, una mappa significa […] e allo stesso tempo mostra che significa”, scriveva Louis Marin, teorico dell’arte e semiologo, a proposito della mappa come ritratto della città. Come un ritratto racconta tanto della persona che è immortalata quanto della mano che ha contribuito a tracciarlo (e così dello stile dell’autore e del suo punto di vista sulla scena), così ogni immagine porta su di sé, per chi la sa guardare, l’impronta di chi l’ha prodotta.
E questo indipendentemente dal fatto che l’immagine si trovi in un museo, nel lembo strappato di un manifesto pubblicitario o sullo scaffale di un supermarket. O, ancora, sulla copertina di un libro.
Intorno al potere delle immagini – e di quelle immagini che sono, per loro natura, seriali – ruota Critica portatile al visual design, l’ultimo lavoro di Riccardo Falcinelli, graphic designer in prima linea in campo editoriale oltre che studioso e docente di grafica. Il saggio, com’è chiaro sin dal titolo, propone un approccio al visual design nella sua globalità attraverso oggetti e prospettive differenti senza dividere, per esempio, l’industrial design dal graphic design secondo la logica (di derivazione accademica) dei compartimenti e delle appartenenze. E tra questi oggetti, provocatoriamente, possono trovare posto la scatola di un surgelato, lo scontrino della farmacia, un fumetto, la font del passaporto, una pagina di romanzo, una carta geografica.
“Non esiste una cosa o una disciplina che si chiami visual design”, sottolinea Falcinelli. “È un termine di comodo, un grande lemma che ho scelto per ragionare su alcuni problemi visuali nel mondo contemporaneo: pratiche e saperi diversi che condividono meccanismi simili di uso e di significazione. Per questo per parlarne sentivo il bisogno di uscire da un compartimento specialistico (la grafica) per trattare della progettazione più in generale come fatto sociale. Sia dal punto di vista dei produttori, sia dei consumatori. Quello che accomuna lo scontrino della farmacia e una pagina di romanzo è il sistema con cui vengono diffusi alcuni valori culturali attraverso abitudini formali”.
Il libro compone insieme due sguardi differenti: uno sguardo trasversale, attraverso forme di comunicazione molto diverse tra loro (dalla televisione al packaging) e uno sguardo estremamente preciso, diretto al cuore degli oggetti che volta per volta smonta e analizza per mostrarne il funzionamento.
Ogni immagine è scomposta, come attraverso una lente contafili, nei punti che ne costituiscono il retino (punti che senza la lente dell’analisi non potremmo vedere), ma allo stesso tempo il movimento bifocale che sorregge il libro raccorda costantemente l’infinitamente piccolo con l’infinitamente grande, allargandosi al contesto di ogni immagine e ai molteplici contesti che intorno a ogni immagine si allargano. Riflessioni ed esempi visivi si intersecano così lungo tutto il libro, alternando la stampa a caratteri mobili e Photoshop, il catalogo Ikea e l’aura di Benjamin, i social network e le incisioni di Dürer.
“Il libro è frutto di oltre sei anni di appunti e lezioni tenute con studenti giovani e giovanissimi. Qualche anno fa, dovendo preparare una lezione sull’editoria per una classe di liceo, mi sono domandato cosa avrei dovuto davvero raccontargli. Mentre lo scrivevo mi chiedevo di continuo: il mio migliore amico (che è un economista) capirebbe quello che sto dicendo?”, spiega Falcinelli.
È anche grazie al fatto che il libro sia nato da una riflessione sulla didattica e sul come raccontare, oltre che sul cosa, che riesce a muoversi al confine tra quadro d’insieme e dettaglio, tra divulgazione e ricerca, cercando di metterle in dialogo.
“Credo che la saggistica non accademica dovrebbe sforzarsi di parlare alle persone colte o curiose ma che non si occupano quotidianamente dei temi trattati. È qualcosa che ho sempre ammirato nei libri anglosassoni, penso a Bertrand Russell, a Ernst Gombrich o a John Berger. In questo senso il libro è divulgativo non perché semplifica i problemi per spiegarli a tutti, ma perché cerca di concentrarsi su quei problemi che possono riguardare effettivamente tutti. Senza però banalizzare o diluire: il lettore colto si accorgerà della presenza di alcuni filosofi ‘tutelari’, per il non specialista ho creduto più opportuno non appesantire il testo con note, didascalie o coi famigerati: ‘come dice Foucault’. Da una parte avevo bisogno di tratteggiare il contesto generale in cui accade il design, dall’altra servivano esempi concreti per circoscrivere e puntellare quanto andavo dicendo, scegliendo ora esempi quotidiani come Ikea, ora esempi più sofisticati come Tristram Shandy.
Non ultimo servivano un po’ di aneddoti, che reputo una forma di buona educazione perché incuriosiscono o divertono chi ti dedica il suo tempo. In fondo non volevo spiegare il design, volevo dire: guardate che il design ce lo avete intorno tutto il giorno. Per questo anche le questioni linguistiche, semiotiche o espressive sono analizzate calandole nel contesto reale che le ha permesse”.
Pagina dopo pagina, come si vede, ci si trova di fronte, oltre che a un discorso sul visual design, anche a una grande quantità di immagini, nella bicromia (nero e cyan) del layout.
È su di esse, così come sulle immagini di ogni giorno, che siamo chiamati ad adoperare la contafili dell’analisi, per leggere le intenzioni e i significati dietro e dentro le immagini – cosa tutt’altro che scontata. Difficile, infatti, proprio perché siamo sempre più immersi nelle immagini, renderci conto pienamente di quello che vediamo. Difficile distinguere (e ancor più insegnare a distinguere) tra guardare, prestare attenzione, e vedere soltanto.
“Il salto da vedere a guardare è appunto una questione di attenzione. Ma si inizia a stare attenti solo sapendo a cosa prestare attenzione”, ricorda Falcinelli.
“Più volte nella filosofia novecentesca ci si è soffermati sul fatto che i significati nascono dall’uso. Questo c’è in Wittgenstein ma anche in Duchamp e in Warburg. Eppure, ancora oggi, dai ‘non addetti agli studi’ i significati sono creduti immanenti alle cose (o ai segni). Il libro cerca di spostare l’attenzione sugli usi: non chiediamoci cosa c’è dentro un’immagine, ma chi è che parla, per dirci cosa, con quali intenzioni e così via. ‘Cosa vogliono le immagini?’ si chiedeva provocatoriamente W.J.T. Mitchell qualche anno fa: è possibile che stiano pretendendo qualcosa da noi che le guardiamo?”.
Una domanda, quella di Mitchell, che diventa sempre più urgente, nel mondo delle immagini che abitiamo costantemente, in cui la proliferazione visiva è ormai inarrestabile, grazie alle nuove tecnologie digitali. Dietro a nuovi schemi e nuove posture, dalla realtà aumentata alla smaterializzazione delle immagini, si cela una vera e propria rivoluzione culturale. Che effetto ha tutto questo sul visual design?
“Il digitale, internet e i social network stanno facendo esplodere il sincretismo figurativo”, sottolinea Falcinelli, “cioè la giustapposizione di discorsi eterogenei che per molti aspetti ha avuto inizio con la stampa nel Rinascimento” – e con cui anche Critica portatile si diverte a giocare.
Il libro, infatti, “anziché intervallare il testo con le immagini è impaginato con un testo continuo a cui si affiancano pagine ‘a tema’ che ruotano intorno a un concetto visivo. Questa idea è in chiaro debito con l’Atlante di Aby Warburg, una bacheca su cui fissare ‘con le puntine’ immagini di ogni tipo (non solo dipinti) per poterci ragionare su. Un sistema che sarebbe stato impensabile prima della fotografia: il fatto di poter mettere sulla propria scrivania una foto di moda e una di Botticelli, di affiancarle e di parlarne è una pratica permessa dalla riproducibilità.
La foto ha infatti reso maneggevoli tutte le cose, dalle grotte di Lascaux a Topolino, perché le rende fisicamente simili, cioè rettangolini di carta. Le riviste e la televisione poi per loro natura affiancano da sempre la foto di guerra con quella del succo di frutta. E, in fondo, cosa sono oggi le bacheche di Facebook o di Pinterest se non sconfinati luoghi di permutazione e classificazione iconografica? In fondo, per chi sa usarle, non c’è nulla di più erudito delle tag.
Siamo però passati dalla riproducibilità alla ‘diffondibilità tecnica’ che in un certo senso ne è un’ipertrofia o un’esplosione: non più 10, 100 o 1000 copie di un’immagine, ma tante copie virtuali quanti sono gli schermi su cui si posa il nostro sguardo”.
Critica portatile al visual design si muove, dunque, nel territorio dell’analisi, ma non dimentica la progettazione. Come il suo autore, d’altronde, che oltre a essere studioso e docente di grafica è lui stesso visual designer (sua la cura delle copertine e dell’immagine di minimum fax, per esempio, che racconta in Fare i libri, suo l’attuale progetto grafico di Einaudi Stile Libero, dal 2002 a oggi) e illustratore. Falcinelli si è cimentato, infatti, con Cardiaferrania (insieme a Marta Poggi), Grafogrifo e L’allegra fattoria (insieme a Marta Poggi) anche nel graphic novel.
Una buona occasione per chiedergli come cambia il suo lavoro, quando si sposta dalla progettazione grafica al disegno vero e proprio. E che cosa lo affascina, della narrazione per immagini.
“Sono registri diversi per via del linguaggio e per via del momento della vita in cui ci ho lavorato. Cardiaferrania l’ho concepito e disegnato durante l’ultimo anno di università, si può dire che è l’applicazione pratica della tesi di laurea. Sono graphic novel indubbiamente elitari: si propongono come opere narrative ma sono anche esperimenti teorici, e in questo hanno più di un punto di contatto con i saggi. Il bisogno di spiegare in maniera didattica l’ho sentito più tardi. Ma tutti i libri hanno un tema che li attraversa: il potere come design, il design come potere. Potere economico, tecnologico e psicologico di cui le ‘figure’ sono una verifica. Anzi posso dire che gli argomenti della Critica portatile espongono in forma saggistica quello che Grafogrifo raccontava in maniera narrativa e sperimentale.
Grafogrifo è un rinascimento che funziona come Matrix o come un pamphlet di McLuhan, Cardiaferrania racconta del rapporto tra la nostra identità e quella degli oggetti industriali (cos’è un originale e cosa è una copia?). L’allegra fattoria è una parodia dell’informazione giornalistica, dei fatti che si pretendono ‘veri’. Sono tutte storie che parlano della complessità di vivere nella società delle immagini.
Certo poi quando disegno prevale un aspetto più fisico o emotivo, il ragionamento si fa più astratto, subentra un intuito diverso, ma il confine non è affatto marcato. Alla fine quello che conta è avere una storia da raccontare. Perché fare i libri, per come la vedo io (che li scrivo, li progetto, li impagino e li illustro), è una questione di regìa”.
Una questione di visione, dunque, guidata da quell’occhio che non è mai innocente, come scriveva Gombrich, ma sempre esperto, intriso com’è di cultura e di intenzione. Cos’è, allora, il buon design? E quali sono le qualità che un buon esempio di visual design dovrebbe avere?
“In generale il buon design è quello che risolve gli obiettivi che si prefigge e che manifesta consapevolezza del proprio ruolo sociale, che tiene conto del pubblico”, dice Falcinelli. “Su un piano più contemplativo mi viene da dire che il design è buono quando ci presenta una visione del mondo, un modo di sentire la vita, uno sguardo inatteso sulle cose: e questo lo fanno spesso i film, i fumetti e i libri in genere. Questa è la quadratura del cerchio: anche Critica portatile è un libro. Cioè un prodotto di visual design. Cioè un libro che pensa se stesso”.
Chi è Riccardo Falcinelli
Graphic design e teorico del design, ha progettato libri e collane per alcuni tra i più importanti editori italiani tra cui Einaudi, minimum fax, Laterza, Carocci. Nel 2011 ha pubblicato Guardare, pensare, progettare (Stampa Alternativa) e Fare i libri. Dieci anni di grafica in casa editrice (minimum fax). È direttore, con Silvia Sfligiotti, di Progetto grafico, la rivista internazionale di grafica edita dall’Aiap, Associazione italiana design della comunicazione visiva. Insieme a Marta Poggi è autore dei graphic novel Grafogrifo (Einaudi), Cardiaferrania e L’allegra fattoria (minimum fax). Critica portatile al visual design è il suo ultimo libro (Einaudi).
L’impero dei segni e dei disegni, per strizzare l’occhio a Roland Barthes, ha confini frastagliati, che separano e contemporaneamente mettono in contatto mondi molto diversi tra loro: l’illustrazione, la grafica editoriale, il fumetto. Disegnare, ovvero, può dirsi in molti modi. Modi che cercheremo di esplorare, puntata dopo puntata, attraverso la voce dei loro protagonisti.