Prendersi cura del senso

19 Febbraio 2023

Rosso, fermarsi; arancione, fare attenzione; verde, via libera. Chi volesse ridurre la semiotica a scienza dei segni si troverebbe a ritagliare solo questo dettaglio, come significante, sulla scena di una passeggiata in città.

Un semiologo, in realtà, che non solo di segni e segnali si occupa ma del senso e del modo in cui, incessantemente, esso prende forme ogni volta diverse, si interesserebbe a molto altro: all’articolazione della viabilità secondo zone percorribili e zone interdette, ovvero al modo in cui la forma della città implica già comportamenti possibili; alla continua ridefinizione dello spazio e del suo valore (un’area dismessa può diventare un’incolta terra di nessuno o essere plasmata dagli abitanti del quartiere); al modo in cui i luoghi possono definire l’identità di una città, e culture diverse concepiscono gli spazi in modi diversi.

In quel primo appassionato abbozzo di una “scienza mitologica” che è, appunto, Miti d’oggi, Roland Barthes lo dice molto chiaramente: “Quanti campi veramente insignificanti attraversiamo in una giornata? Molto pochi, talvolta nessuno”. 

Oggetti di consumo, fenomeni sociali, linguaggi mediali, pratiche culturali non si riducono all’esperienza che producono. Parlano d’altro, anche. E non perché per ognuno di essi sia possibile individuare un significato preciso, chiuso, codificato, svelandone una nuova faccia come se si trattasse di voltare una carta. Una sfilata di moda, la degustazione di un cibo, un articolo di giornale, l’abitare in un condominio, una guida turistica, un selfie, una visualizzazione di dati o un’infografica parlano d’altro perché, insieme ai discorsi che li accompagnano e alle pratiche di cui fanno parte, raccontano, a saperli ascoltare, della cultura da cui dipendono e che li ha prodotti.

Come superare l’apparente innocenza delle cose e dei fenomeni, e dirne qualcosa di sensato? Occorre averne cura, suggerisce sin dal titolo Cura del senso e critica sociale. Ricognizione della semiotica italiana, a cura di Gianfranco Marrone e Tiziana Migliore (Mimesis).

“Curarsi di qualcosa significa starci attenti, preoccuparsene, ma nello stesso tempo essere pronti a fare, passare all’azione.” Cura è attenzione, nella sua dimensione cognitiva; è preoccupazione, nella sua dimensione passionale; è, infine, inestricabile intreccio tra passione e azione. È in questa acuta esplorazione, da parte di Paolo Fabbri, del concetto di cura e delle sue possibili accezioni che troviamo un primo indizio per interpretare al meglio il progetto di un’indagine ad ampio raggio sugli approcci e gli studi sul senso in Italia.

Se un comune denominatore della semiotica italiana contemporanea emerge, attraverso le pagine di questo volume, sembra essere proprio questo sguardo vigile e sollecito che intercetta qualcosa per poi agire, capace allo stesso tempo di lasciarsi colpire da qualcosa e poi di soffermarsi su di essa, con metodo, per studiarla da vicino. 

Anche per questo non stupisce che Fabbri, nel saggio prima richiamato (ora ripubblicato in Rigore e immaginazione, sempre per i tipi di Mimesis), dipani il filo, poco evidente ma tenace, che collega cura a curiosità: il curioso è colui che ha cura, e la esercita – appassionandosi a quel che fa. Viceversa, sicuro è chi si muove fuori da ogni logica di ricerca, e di cura: chi è sine cura non ha (più) nulla di cui preoccuparsi, nulla da investigare. E prendersi cura di qualcosa – in questo caso, del modo che abbiamo di dare senso al mondo, in ogni sua possibile sfumatura – non può che voler dire impegnarsi attivamente, ascoltare ed auscultare il corpo sociale, e saper intervenire dove è necessario.

Più che una mappatura geografica (che pure emerge, tra le pagine, attraverso scuole, gruppi di ricerca e città di riferimento, da Bologna a Roma a Siena), più che un resoconto storico (che pure è presente e approfondisce, in più direzioni, gli ultimi 25 anni di studi e ricerche), Cura del senso e critica sociale è un ritratto della semiotica italiana. Ed è un vero e proprio ritratto di famiglia, denso, dettagliato e meditato – ben diverso dall’istantanea sfocata, inesatta, fuori dal tempo, che relega la semiotica tra segni e sistemi di segni.

Per tale ragione, questo volume può essere utile, anche ai semplici curiosi non semiologi, per cercare di capire meglio di che cosa si occupa la semiotica, e nello specifico la semiotica italiana: non si tratta di andare alla ricerca di singoli elementi significanti, ma di indagare le condizioni che rendono possibile la significazione e la comunicazione; non si tratta di assemblare una “cassetta degli attrezzi” per analizzare “messaggi testuali” ma di mettere a fuoco oggetti di indagine che possono essere, volta per volta, molto diversi, anche e soprattutto a seconda della prospettiva di osservazione adottata.

Cura del senso e critica sociale dipinge la tradizione semiotica italiana attraverso una pluralità di approcci, di orientamenti, di protagonisti. Nel vasto affresco che ne emerge, a ogni pennellata, è possibile ritrovare al contempo quel dettaglio ineludibile che costituisce la personalità di ognuno e quell’aria di famiglia che si salda anche attraverso le differenze specifiche.

L’aria di famiglia, innanzitutto. Che cosa unifica le diverse figure e i tanti orientamenti che caratterizzano la semiotica italiana? Un modo per cogliere la specificità della via nostrana alla semiotica è metterla in relazione con le tradizioni altre: a differenza della semiotica anglosassone, per esempio, fin troppo frammentata in una pluralità di approcci e oggetti, o di quella francese, più interessata all’elaborazione di nuovi modelli teorici, la semiotica italiana si è caratterizzata per aver messo a fuoco, nel corso degli anni, oggetti d’indagine sempre nuovi, che si rivelano tanto più utili quanto più sono capaci di mettere alla prova la teoria e di farla ragionare su se stessa.

Un’attitudine che emerge anche gettando uno sguardo alla storia della disciplina in Italia, che sin dagli anni Sessanta si caratterizza per la moltiplicazione dei propri oggetti di ricerca e per la capacità di catalizzare l’interesse di studiosi provenienti dai territori più diversi. 

“Giusto per fare un esempio” ricorda Marrone nella sua prefazione “un reader come Letteratura e semiologia in Italia curato da Caprettini e Corno (1979) raccoglie alcuni degli scritti più rappresentativi della semiotica letteraria italiana degli anni Sessanta: e vi troviamo un medievista come D’Arco Silvio Avalle che analizza un testo di Eugenio Montale, un estetologo come Umberto Eco che si occupa dei Beati Paoli, un anglista come Marcello Pagnini che scrive su A Zacinto di Ugo Foscolo, un filologo romanzo come Cesare Segre che analizza l’Acte sans paroles di Samuel Beckett e una storica della lingua come Maria Corti che reinterpreta proppianamente il Marcovaldo di Italo Calvino”.

Sono gli anni dello strutturalismo e al contempo del consolidamento dei mezzi di comunicazione di massa, per la semiotica non da demonizzare ma da comprendere – e smontare dall’interno. Il già citato Mythologies di Roland Barthes è del 1957, Apocalittici e integrati di Umberto Eco è del 1964.

Archiviati i primi tentativi, infruttuosi, di applicare il modello linguistico anche agli altri domini delle scienze umane, dal cinema all’architettura, ma non l’idea di indagare il senso del senso, la semiotica si rinnova. Lo fa attraverso nuovi modelli e nuove categorie di analisi, andando oltre il concetto di segno e verso il concetto di testo: unità minima della significazione, sì, ma passibile di costituirsi in modi volta per volta diversi, sotto lo sguardo curioso (e rigoroso) dell’analista.

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Sono gli anni del DAMS, fondato nel 1971, e di Scienze della Comunicazione, dal 1992, corsi di laurea la cui creazione consente di riflettere specificamente sul nuovo panorama mediale con cui tocca fare i conti, e che preme da tutti i fronti: serve una nuova consapevolezza sui nuovi linguaggi dei media anche a chi sarà chiamato a ideare trasmissioni televisive, strutturare programmazioni radiofoniche, scrivere slogan politici o articoli di giornale, disegnare campagne pubblicitarie.

Secondo Fabbri, in un saggio fondativo come “Le comunicazioni di massa in Italia: sguardo semiotico e malocchio della sociologia” (1973), era urgente e necessario superare la “furia tassonomica” delle analisi di stampo sociologico per guardare alle articolazioni narrative dei discorsi dei media, scoperchiando la “scatola nera” della content analysis.

Analoga richiesta di maggiore consapevolezza nel maneggiare i propri linguaggi e i propri oggetti arriva oggi, per esempio, dal campo del design e della progettazione, dal disegno industriale al design delle interfacce e dei servizi passando per la comunicazione visiva e il fashion design, con la proliferazione di insegnamenti di semiotica in molti dipartimenti e università del progetto. E non mancano altre interessanti intersezioni: per portare soltanto due esempi, tra sociosemiotica, sociologia della scienza e antropologia, per una nuova riflessione sui collettivi, tra umano e non-umano, in dialogo con Latour e Descola; ma anche tra semiotica, filosofia del linguaggio e scienze cognitive, su impulso, in particolare, della scuola bolognese derivata dall’approccio interpretativo di Eco.

Come sottolinea Migliore nella postfazione, infatti, la ricchezza della semiotica italiana sta anche nel suo “paradigma a due occhi”: quello di ascendenza strutturalista, sulla scia degli studi di semiotica generativa di Greimas, con Fabbri come “principale esponente della prima generazione italiana”, e quello di ispirazione pragmatista, di taglio filosofico-conoscitivo, che ha avuto in Eco il suo principale ispiratore, e che sposta l’attenzione dai testi al nostro modo di interpretarli e di comunicare. Una doppia visione che indaga due orizzonti differenti: quello della significazione, che studia le condizioni di possibilità del senso, attraverso l’analisi testuale; e quello dell’interpretazione, che guarda alle modalità di funzionamento, per così dire, della semiosi. Due orizzonti di indagine distinti, ma contigui, e che sarebbe utile, se non ricomporre in una visione unica, cercare di far interagire attivamente. “Significazione e interpretazione sono prassi concatenate” specifica Migliore “e l’occhio dell’interpretazione può attivarsi, contribuendo a render conto di quel che l’analisi non vede”.

Ora che il panorama mediale è sempre più ampio, e la nostra esperienza del mondo è sempre più complessa, la semiotica non può che mettersi ancora alla prova, e lo fa in due direzioni, che si rafforzano l’una con l’altra: ridefinendo volta per volta i suoi confini e i suoi interessi, e verificando la tenuta dei propri modelli, attraverso nuovi oggetti di indagine.

Continuando a guardare, poi, senza fermarsi alla prima impressione, ed esplorando il ritratto di famiglia nei dettagli, ecco le specificità di ogni fisionomia emergere, dal fondo comune.

Nella prima parte del volume sono delineati, innanzitutto, i contorni degli approcci teorici più attivi e rilevanti, a oggi, sulla scena italiana: la sociosemiotica, che si contraddistingue per il nuovo sguardo che porta sul sociale, capace di lavorare in modo analitico proprio su ciò che più appare ingenuo, o “naturale”, a prima vista; la semiotica cognitiva, che pone in dialogo semiotica interpretativa e scienze cognitive, integrando, negli ultimi anni, anche le riflessioni delle 4E cognition (embodied, embedded, enactive e extended); l’etnosemiotica, che coniuga un approccio analitico di derivazione greimasiana a un interesse per le pratiche di osservazione dell’etnografia, fondamentali nel lavorare sulle pratiche quotidiane e sui fenomeni socio-culturali; la semiotica della cultura, che mette a frutto l’eredità di Jurij Lotman nel suo lavorare tra micro e macro, nell’analisi dei fenomeni culturali, con una particolare attenzione al modo in cui ogni cultura definisce se stessa attraverso ciò che è altro da sé, e dunque alle dinamiche di traducibilità e intraducibilità che testi, fenomeni, discorsi inevitabilmente convocano.

E non mancano, nella seconda parte del volume, specifici capitoli dedicati ai molti oggetti attraversati dallo sguardo semiotico, e che hanno dato origine a veri e propri territori di ricerca: gli studi sulle immagini, da quelli fondativi, di semiotica delle arti, di Omar Calabrese, alla semiotica dell’immagine contemporanea, capace di dialogare con la storia dell’arte, la teoria delle immagini e i visual studies; la semiotica della pubblicità, di stampo sociosemiotico, che dai classici studi sulle strategie pubblicitarie, nutriti dai contatti costanti tra semiotica applicata e marketing, si sta dedicando sempre più allo studio delle pratiche di consumo, così come emergono dai discorsi pubblicitari e di marca; la semiotica dei media, che considera lo scenario digitale come un punto di partenza necessario per l’analisi di oggetti e di temi specifici del contemporaneo, dal marketing digitale alle fake news, sviluppando il già citato invito di Fabbri a rompere la scatola nera (del digitale, in questo caso) per capirne le logiche interne. E ancora, solo per rapidi cenni, la semiotica del cibo, la semiotica del cinema e dell’audiovisivo, la semiotica musicale e la semiotica dello spazio, grazie alla quale potremmo guardare in modo decisamente più ravvicinato alla scena cittadina da cui siamo partiti.

Resta da scoprire cosa implicherà una passeggiata in città nel prossimo futuro, se già ora emergono la collaborazione sempre più frequente di umani e non umani, la tendenza dei media ad ammobiliare dimensioni alternative (il metaverso), l’afflusso sempre più capillare e costante di dati, l’esplosione sempre più incontrollata del turismo di massa, soprattutto in Italia. Di sicuro potremo contare sulla semiotica e sulla sua capacità di ritagliare, dal flusso degli eventi, dei discorsi, della vita quotidiana, quello che, a ben guardare, risuona come significativo.

Se un ritratto, come ricorda Louis Marin, giocando sull’etimologia del francese portrait, è anche un “pro-trait”, ciò che viene pro-dotto, estratto, dallo sguardo del pittore che su di esso si posa e solo grazie al quale un ritratto può esistere, allora Cura del senso e critica sociale. Ricognizione della semiotica italiana fornisce già anche un primo orizzonte da cui partire e ripartire per nuove indagini e nuove esplorazioni, sulle vie già battute e su quelle appena accennate. Un modo, insomma, per lasciar correre nuovamente, e sempre più lontano, lo sguardo semiotico.

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TAGGED: Semiologia

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