Speciale
Studenti e docenti uniti nell’ansia
Il recente libro di Jonathan Haidt, The Anxious Generation, (in edizione italiana, La generazione ansiosa, Rizzoli, 2024) sollecita l'attenzione su una catena di problemi del presente, ben sintetizzati dal sottotitolo How the Great Rewiring of Childhood Is Causing an Epidemic of Mental Illness (“come il grande ricablaggio dell'infanzia stia causando una epidemia di malattie mentali”).
Il dibattito, di cui si dà conto sulle pagine di «Doppiozero», ruota intorno al fatto che non sia facile isolare una unica causa nell'insorgenza di disagio, ansia e depressione: con diverse sfumature e interpretazioni dei dati questi possono essere causati da elementi di contesto storico-sociale, dalla iperconnessione digitale o da entrambi gli elementi insieme con effetti di rinforzo.
Quale che sia il suo peso, lo smarphone risulta in ogni caso epicentro, cristallo simbolico e precipitato concreto di un modo di vivere, pensare, comportarsi; e si apre la questione di come intervenire, con quali urgenze, priorità e soprattutto con quali strumenti. Non è una questione nuova e segnali di allarme erano stati lanciati anche sul tema del benessere e delle dipendenze in controtendenza al senso comune, in un dibattito polarizzato tra apocalittici e integrati, spesso ideologico e impressionistico.
Siamo oggi di fronte a uno scivolamento verso le peggiori previsioni espresse già anni fa in relazione alle competenze e alla qualità della conoscenza, alla lettoscrittura e all'insegnamento, in riferimento a formati e dispositivi tra cui computer e tablet. Nel libro di Haidt emerge un grave allarme psicologico e di educazione e salute pubblica, che ha al centro l'universo di connettività social, una connessione interiorizzata e tale da modificare la soggettività. Questo nucleo problematico si avvita attorno alla questione della scuola e dei luoghi di formazione, per il ruolo che questi hanno nella vita degli adolescenti, nell'uso del tempo e nell'economia dell'attenzione, e, in relazione al successo formativo, alla qualità della vita e del riposo per come agiscono sulla costruzione della propria identità, sulla percezione di sé e sul senso di autostima e di realizzazione che dal presente contribuisce a disegnare il futuro.
Le analisi di Haidt descrivono un fenomeno con cui docenti ed educatori si trovano sempre più a fare i conti, non sempre con adeguata consapevolezza e dovendo improvvisare strategie di adattamento e negoziazione. Non si può dimenticare l'impatto dell'emergenza Covid-19/22, si è trattato di uno spartiacque che ha radicalizzato problemi già presenti, in cui la pervasività del mondo digitale si è intrecciata in modo indissolubile a modificazioni della socialità.
Lockdown e scuola a distanza hanno significato per moltissimi aumento e dipendenza da connessione digitale e, in particolare per i pre-adolescenti, hanno determinato la coincidenza di comunicazione e uso di smartphone, a discapito dei rapporti faccia a faccia e della gestione emotiva della relazione fisica. Nel frattempo i social media si sono specializzati e affilati, creando stili e modelli sociali omologanti sempre più di impatto e capaci di saturare l'economia dell'attenzione. Certo, in pandemia la connettività digitale ha evitato il completo isolamento, ma l'uso sistematico e prolungato di smartphone si è rafforzato e l'esposizione al digitale è stata anticipata per i più piccoli.
Da docente e genitore nella scuola secondaria superiore di un contesto urbano, constato presenza e utilizzo di telefoni cellulari in momenti in cui non dovrebbero essere usati e con caratteristiche di dipendenza, per la comunicazione, il gioco, l'informazione: attività che tendono a precipitare insieme nello stesso ipermedium indifferenziato e che interrompono la concentrazione, indeboliscono l'attività di ascolto attivo e appesantiscono l'apprendimento personale, tanto in classe quanto nel resto del tempo scuola.
Nel mio segmento educativo, nei discorsi tra colleghi/e e nei colloqui con i genitori, l'effetto negativo dello smartphone sull'attenzione, sulla capacità di studio e sulle relazioni è dato per assodato ed è considerato un problema endemico: tra i docenti molti lamentano inoltre la tendenza sistematica a copiare dalla rete e più recentemente a usare l'IA (la nuova grande incognita) per i compiti e le scritture di testi originali, fattore che rende verifiche ed esercizi una sorta di versione contemporanea di guardia e ladri e dunque una pratica da ripensare.
Per i genitori, che pure hanno progressivamente anticipato l'età del primo smartphone per i figli, il rapporto di questi con lo smartphone è una sorta di sciagura inevitabile: le consuetudini familiari divergono, chi è per le strategie di controllo o supervisione, chi per un laissez-faire. Si tratta di una riedizione del tradizionale conflitto generazionale, quello che forse è nuovo è come gli stessi docenti e genitori non siano esenti da un disagio personale per l'uso smodato e improprio del cellulare, a causa della tendenza soverchiante del mezzo a erodere le pareti che separano sfera pubblica e privata, tempo di lavoro e tempo libero.
È sempre rischioso scrivere di questi temi senza cadere nel soggettivismo e nell'impressionismo e ovviamente non mancano eccezioni e tendenze inverse; la ricezione e la reazione a stilemi di moda e di massa sono sempre differenti e ogni generazione non è mai omogenea, ma la percezione di un aumento significativa del disagio adolescenziale si fa sentire. Sempre più ampio è il solco che sembra dividere la cultura e l'habitus dei docenti da quella dei discenti, più ridotta la loro area di sovrapposizione e di comunicazione. All'aumento percepito di povertà culturale, semplificazione del linguaggio e difficoltà nel successo scolastico, si accompagna la diffusione di senso di inadeguatezza di studentesse e studenti rispetto alle aspettative di docenti e genitori: uno stato che può diventare ansia o fobia scolastica – difficoltà emotive, sintomatologia ansiosa, attacchi di panico – e che nei casi più gravi si concretizza con assenza da scuola e impossibilità di seguire il ritmo regolare del ciclo scolastico. Un fenomeno in cui l'andamento scolastico è di volta in volta spia, trigger o causa di un disagio che può avere altre origini e altri sintomi.
Propongo di leggere questi dati come l'esito estremo e patologico sui soggetti fragili di una trasformazione sociale generalizzata, che nella scuola – un'istituzione caratterizzata dalla lentezza delle trasformazioni e da una decisa resistenza al cambiamento – assume carattere di crisi strutturale: in cui gioca senz'altro un ruolo importante la dilatazione del tempo dedicato alle relazioni digitali, concorrenziale con esperienze di socialità, all'aperto o fuori casa, con un impegno corporeo e uno scambio fisico (al netto di importanti variabili geografiche e sociali).
Senza voler essere moralisti o passatisti, bisogna riconoscere che le relazioni online sono (più) opache e problematiche per gli aspetti comunicativi, permettono un nascondimento e una costruzione artificiale ben più ampi di quello che è sempre avvenuto nel mondo pre-digitale. Senza momenti di tregua e di decantazione, la dimensione onlife è caratterizzata da una ambigua presenza fantasmatica e dall'azzeramento dei tempi e della distinzione pubblico/intimo, in cui molti aspetti della comunicazione verbale e della prossemica sono indeboliti o disattivati. La distanza protettiva che si mette tra sé e gli altri può finire per diventare una trappola, al punto che telefonare per prenotare una pizza o chiedere un’informazione a un adulto sconosciuto sono descritti da molti come qualcosa di difficile e angoscioso. Inoltre, seduttività e pervasività del mezzo accentuano a dismisura l'importanza delle relazioni tra pari (di cui gli aspetti on line sono invisibili a molte famiglie) rispetto agli altri luoghi di socializzazione e, anche dove non vi siano situazione problematiche in partenza, rendono più conflittuali i rapporti con gli adulti e più accidentati i processi educativi e di identificazione.
Credo che, oltre al medium della relazione, incidano anche il tipo di contenuti mainstream di grande diffusione tra i giovanissimi: in nicchie anche molto diversificate, la dimensione valoriale e subculturale è orientata all'intrattenimento e caratterizzata da conformismo, edonismo, narcisismo, sessualizzazione e adultizzazione. Molta ansia è correlata all'immagine di sé desiderata e restituita sotto la pressione della visibilità, della fama e di una esposizione continua, in cui la solitudine non è mai veramente tale. Cyberbullismo, hate speech e comportamenti tossici sarebbero dunque la punta dell'iceberg degli effetti di un ambiente digitale strutturalmente disfunzionale nell'età dello sviluppo, che richiederebbe da parte di tutti regole diverse e che, per le finalità per cui è stato inventato e gli interessi economici che muove, non può avere.
La relazione educativa e lo specifico rapporto con la testualità fanno delle aule scolastiche spazi in cui tutto questo si fa ancora più evidente, luoghi di per sé refrattari all'imperialismo digitale e massivo dei nostri anni. Un tempo e una didattica, per dirla in breve, che continuano a essere pensati per un mondo e una società novecenteschi. La retorica ottimistica verso una trasformazione delle didattiche sembra ignorare troppi elementi di realtà: partono dal presupposto di avere a che fare con soggetti razionalmente maturi e responsabili, motivati, entusiasti e impegnati attorno a un'idea di performance che sembra modellata sull'efficienza richiesta a un dipendente o un professionista realizzato; molto concretamente, usare il digitale connesso a scuola richiede invece forme di (auto)controllo e gestione degli schermi e dei comportamenti individuali che superano la possibilità di ogni docente. Come ormai ovunque – c'è sempre qualcuno distratto da altro. Senza contare che l'idea di scuola che spira da viale Trastevere, per come si manifesta nei diversi documenti di indirizzo, appare un patchwork ideologico di storicismo spiritualistico, neonazionalismo, neoliberalismo, aziendalismo ed europeismo delle competenze – coerente con dinamiche di più lungo periodo e con il progetto di conquista dell'“egemonia culturale” della destra e con le contraddizioni della politica attuale – che lascia quantomeno confusi.
Spetta alla scuola – in solitudine e senza averne gli strumenti – confrontarsi con quell'essere digitali che costituisce un pezzo importante dell'Educazione civica, un ambito non esente da moralismi e tendenzialmente sempre in ritardo, di cui è difficile tracciare l'efficacia. Ma a scuola, con adolescenti massificati, demotivati, disorientati e fragili in aumento, si cerca faticosamente una mediazione e si sperimenta un approccio al digitale che insiste su altri contenuti e che si muove in una direzione diversa rispetto allo “spirito del tempo” riflesso nella sfera digitale.
Sul piano più generale, è doloroso confrontarsi con la fragilità di studenti e studentesse, la cui gravità supera spesso il proprio potenziale d'azione e chiede la costruzione di una relazione d'aiuto: spesso la scuola riflette, slatentizza, amplifica qualcosa che ha altra origine e che chiama in causa biografia, famiglia e contesto socioculturale. Progetti di educazione digitale e di attenzione all'agio, sportelli di assistenza psicologica, modalità di “inclusione” fanno sempre più parte dei programmi di molte scuole, ma la sensazione è che sia sempre troppo poco.
Che fare dunque? Premesso che esistono senz'altro esperienze funzionali e di altro segno, che emergono poco e fanno poca notizia nel clima di panico morale dei nostri tempi, questa tendenziale insufficienza riguarda la tenuta complessiva del sistema educativo e chiede che si aprano spazi più ampi per le figure degli educatori professionali e per una diversa organizzazione delle scuole e del tempo, in cui l'accesso al digitale sia chiaramente normato, negoziato e rispettato; d'altra parte non si può pensare di delegare ancora alla scuola compiti che non riesce a svolgere per come è stata pensata e per come è diretta, alimentata e finanziata.
Continue e in aumento sono funzioni, procedure e burocrazia che accompagnano il lavoro di insegnamento e il sistema di commissioni, dipartimenti, progetti e attività non disciplinari senza aumento del personale e con numeri di allievi per classe ingestibili. Si tratta di cambiamenti istituiti con procedure dall'alto e senza discussione dal basso, a rendere sempre più difficile la professione docente, per la quale la formazione in ingresso è inadeguata e quella in itinere frammentata e disomogenea.
Ad anno scolastico avviato si respira così la sensazione di una difficoltà generalizzata di ordine culturale, cognitivo e psicologico che viene da lontano e, certamente, si lavora per superarla con energia e impegno, fino al prossimo momento di esaurimento e di impasse. Rimane la sensazione di attraversare un’epoca ansiosa perché ansiogena, in cui educare gli adolescenti assume l'aspetto di una emergenza ignorata nelle sue cause profonde, buona per le polemiche del giorno o per i discorsi degli esperti, in cui esistono solo soluzioni biografiche e non adeguate risposte politiche e prese in carico collettive.
In copertina, illustrazione di © Giselle Dekel.
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