In fiore tutto l'anno / Clematidi: fatele correre in orizzontale

26 Luglio 2020

Avere un giardino fiorito tutto l’anno è il desiderio di ogni giardiniere. Desiderio per nulla impossibile. Più ardita è l’idea di veder sbocciare di mese in mese il medesimo tipo di fiore. Sembra una scommessa persa in partenza, un’impresa alla Bouvard e Pécuchet. Ma no, anche i due strampalati eroi dell’ultimo romanzo di Flaubert sarebbero riusciti a metterla in pratica. 

Basta aprire il Pizzetti (Enciclopedia dei Fiori e del giardino, Garzanti 1998) e seguire i consigli delle undici pagine dedicate alle clematidi (dal greco kléma, sarmento, viticcio) per scoprire che possiamo averle in fiore persino in gennaio, purché il nostro giardino goda di climi non estremi. Le si deve però conoscere, per ben coltivarle e saper scegliere tra le centinaia di specie e varietà quelle che fanno al caso nostro per declinare la cronologia dell’antesi.

 

Obietterete che anche i due personaggi flaubertiani compulsavano manuali e testi specialistici, e non per questo riuscivano nei loro progetti di coltivazione. Ma il Pizzetti è il Pizzetti, così chiaro, puntuale – con tanto di calendario delle antesi di specie e ibridi – da far sembrare tutto semplice. E noi non siamo due contabili parigini con l’uzzolo della campagna. 

Eh, certo, può capitare che una delle nostre clematidi, così, d’improvviso, schiatti. È l’unico vero rischio cui si va incontro: un fungo le può affliggere – Ascochyta clematidina – e in modo particolare sembrano contrarlo, non si sa perché, gli ibridi innestati su Clematis viticella. Ma è rischio che va corso.

 

 

Erbacee o rampicanti, rustiche o più delicate, sempreverdi o caducifoglie, profumate o meno, con corolle campanulate o a girandola, semplici o doppie, striate o spruzzate, in tutte le sfumature dal bianco puro al blu intenso, passando per gli azzurri più celestiali al viola perso, dal rosa tenero al prugna più succoso, per non dire delle gialle, pallide o dorate: le clematidi sono un universo da esplorare, indispensabili in un giardino che si voglia definir tale. Inserite le erbacee nelle bordure miste o coltivatele nelle fioriere del terrazzo tra bassi cespugli che sorreggano le corolle, quando non recte,  ripiegate in vezzose fogge a pagoda o a lampioncino. Sposate le rampicanti alle rose o a rododendri e azalee, a gelsomini e edere, giocando con la tavolozza dei colori avrete cespugli e siepi dalla doppia, armonica fioritura. Oppure, come insegna Vita Sackville-West, fatele correre in orizzontale per meglio godere dei sepali spesso esaltati da antere in contrasto cromatico. 

Ciascuna, va da sé, ha le sue esigenze e richiede attenzioni sia per la messa a dimora sia per la potatura, diversa a seconda delle varietà e sapiente al meglio per ottimi exploits. Tutte vogliono acqua abbondante in estate, perciò se avete un giardino sprovvisto di sistema irriguo tenetele a portata di innaffiatoio o di pompa; un buon impianto drenante al momento della messa a dimora eviterà di lasciare le loro radici in ammollo. 

 

 

Originarie dei quattro angoli del mondo, sono spontanee anche in Europa. In Italia troviamo in natura, oltre alla comune Clematis vitalba (in suo nome abbiamo inaugurato questa rubrica), la bellissima C. alpina, dai capolini azzurrati morbidamente penduli e amante delle frescure settentrionali, la più scenografica C. viticella dai lunghi piccioli su cui, solitari, dondolano a capo in giù quattro grandi sepali ottusi color pervinca. Spontanee sono anche l’erbacea C. recta, la C. flammula dalle candide stelle raccolte in pannocchie, e la sempreverde C. cirrhosa, una di quelle che rallegrano i mesi freddi, ancor più singolare nella variante C. balearica dalle cloches color crema spruzzate di rosso e belle foglie frangiate che dal verde estivo virano al bruno in inverno. Sì, perché il fascino delle clematidi non sta solo nelle corolle, pur anche nella diversità delle foglie e nei frutti, acheni piumati raccolti in testine scapigliate, argentee o ramate (ma non tutte hanno questa risorsa).

 

Si suol dire che le clematidi vogliano ombra al piede e sole in testa. Vero, almeno per quel che riguarda la propaggine inferiore; ma vi sono ibridi come la Comtesse de Bouchaud  dal grande fiore rosa, che vegetano sotto l’ombrello degli alberi e vi si arrampicano con piacere reciproco. 

Capricciose, anarchiche, le rampicanti van guidate e addomesticate se volete un effetto ordinato e una pacifica convivenza con altre essenze. Se avete spazio, e non vi dispiace che scalino muri o alberi, affidatevi a una C. armandii o a una C. montana: vigorose entrambe, l’una cinese e sempreverde dalle lunghe e lucide foglie trilobate, grappoli di bianchi fiori stellati, sfumati di rosa nella varietà Apple Blossom, che san di mandorla e aperti già a inizio marzo; l’altra himalayana, caducifoglia ma nella varietà Mayleen con lamine dentate d’un pregevole bronzo e – in piena primavera – fiori singoli a quattro sepali, tondi, rosati con un fitto ciuffo di stami chiari dal profumo di confetto con cui ricopre a profusione reti, pergolati, capanni.

 

 

Molti si lascian conquistare dalle corolle stradoppie. Benché prediliga la semplicità del giro a quattro o a cinque sepali, come nella C. Jackmanii o nella Etoile Violette – maliarde nel loro viola profondo –, non disdegno il vecchio ibrido di C. viticella Purpurea Plena elegans, un trionfo di coccarde porpora, splendide su un pergolato abbinate al giallo uovo di una rosa Goldfinch.

Chi meglio di d’Annunzio per descrivere la loro bellezza sontuosa, da età vittoriana (in quel periodo furoreggiarono nei giardini inglesi)? Ecco una monachina delle Faville del maglio, s’intitola La Bugìa:

 

«Era un’antica villa degli Amidei, comperata poi da Francesco Guicciardini e più tardi rivenduta a Cosimo. Mal costrutta, diversa, fatta di giunte e di rappezzi, si nascondeva dietro  una facciata finta, per annobilirsi verso la parte di Fiorenza. Si chiamava La Bugìa. […]

 

 

M’apparve un muro vecchio, forse degli Amidei dalla donzella ripudiata, che ringiovaniva sotto i cespi delle rose a cinque foglie. Scopersi non so qual magnificenza leggera che attraversava il pallore appena appena rosato delle rosette semplici: un azzurro di viola, un turchino violetto, più denso e più cupo d’uno di quegli zaffiri misteriosamente sposati all’ametista nel talamo della terra, più morbido e più pieno d’un velluto escito dal miglior telaio di Calimala e ancor raddolcito dalla liscezza de’ secoli adorni.

 

Era un sermento di clemàtide appeso, che potevo giugnere e cogliere sollevandomi sulla punta de’ piedi. I grandi fiori divini avevan quattro petali ammandorlati, disposti a croce greca intorno al folto di stami gialletti simile a una vespa villosa in guato di desiderio. Avevano il colore del drappo che nella Passione fascia il Crocefisso, il colore dell’abito e dell’anello vescovili, il colore grave e soave della litania a vespro. E nondimeno tra le roselline fragili mi evocavano la malvagità ardente di Livia Vernazza in un concilio di pulzellette pudiche; mi turbavano come un’insidia procace, come un’illusione invereconda.

Ne colsi uno; lo toccai; me l’appressai all’alito. Il turchino violetto non era eguale ma oscuramente arricchito da venature indistinte che lo vellutavano quasi creando sul liscio una parvenza di peluria. Una immagine di piacere subitanea mi bruciò dentro.»

 

 

Mi congedo da chi, invece, abbia in uggia il broccato dannunziano, con un piccolo gioiello di Emily Dickinson, poetessa dalla mano lieve e garbata quanto la sua anima che, come suole, si sofferma su dettagli più discreti (si legga il delizioso libretto di Benedetta Centovalli, Nella stanza di Emily, Mattioli 1885, 2020). Qui, nella traduzione di Silvio Raffo, l’attenzione per la clematide va alla grazia minore ma non meno luminosa dei suoi frutti:

 

’ Tis customary as we part

a trinket – to confer –

it helps to stimulate the faith

when Lovers be afar –

 

’ Tis various – as the various taste –

clematis – journeying far –

presents me with a single Curl

of her Electric Hair –

 

Gentile consuetudine è lasciare

quando si parte – un ninnolo in ricordo –

aiuta a mantenere vivo l’amore

per lunghe lontananze –

 

Quanto variano i gusti può variare –

la clematide – prima di partire – 

mi fa dono di un ricciolo soltanto

della sua elettrica chioma –

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