Esotiche, erotiche orchidee

26 Gennaio 2025

Non sono Nero Wolf. Non ho alcun penchant per le orchidee esotiche. Belle, son belle. Ma difficili. Lui se ne prendeva cura in modo esclusivo, per non dire ossessivo. Io ho ben altro da accudire in giardino e le molte, continue attenzioni di cui abbisognano non me le rende affabili. Insomma, le ammiro ma non le amo. Mi piace osservarle nelle serre degli orti botanici o nei loro umidi habitat naturali dove – epifite quali sono per lo più – pendono dai rami degli alberi ospiti. Mi intristiscono nei nostri appartamenti e, spesso, si intristiscono anch’esse. Quelle che mi vengono regalate, appena mettono “piede” in casa sono afflitte da malinconia per l’allevamento di provenienza o per un remoto imprinting genetico delle foreste tropicali d’origine, soccombono alla mia scarsa e insipiente premura con una morte lenta, inesorabile. Insomma, non ci so fare con queste nobili belles dames dell’alta società botanica.

k

E poi: la Phalenopsis è diventata il fiore comune del cadeau d’ordinanza, quando non sai che portare in dono per una cena o un compleanno, oplà, ecco l’orchidea farfalla che risolve l’ambascia al pari di una scatola di cioccolatini. Eppure migliaia sono le specie e ancor più numerosi sono gli ibridi in un’evoluzione incessante di forme e colori, molti disponibili sul mercato. A volte sono tentata dai gialli racemi di Oncidium altissimum, una ballerina con petali e sepali dai bordi arricciati, o dalle radici aeree di una strepitosa Vanda da tenere sospesa per goderla da sotto in su. Ma mi trattengo, conscia del loro triste destino.

Dunque, perché scriverne? Perché, avendo Clorofilla già dato il giusto tributo ai fiori invernali del giardino (ellebori, calicanthus, hamamelis, camelie sasanqua, pruni subhirtella) al mezzo dell’inverno i banchi dei rivenditori, tra ciclamini e bulbi forzati, altro non offrono che orchidee tropicali. E perché ad esse, specie in tempi in cui erano rarità destinate a pochi eletti, sono state dedicate pagine sublimi.

j

Impossibile qui dar conto delle varie e mirabili morfologie di queste piante, e inoltrarci nel complesso mondo della loro riproduzione. D’altronde, tutti ne abbiamo in mente almeno un’immagine. Ricordo soltanto che Charles Darwin ne fece oggetto di studio i cui esiti si leggono nel saggio del 1862 On the various contrivances by which British and foreign orchids are fertilised by insect, opera che ha un posto rilevante nella sua teoria dell’evoluzione. L’Angraecum sesquipedale, conosciuta anche come orchidea di Darwin o orchidea cometa, attrasse l’attenzione dello scienziato per il pronunciato sperone nettarifero che la contraddistingue. Darwin ipotizzò che dovesse essere fecondata da un particolare insetto dotato di proboscide funzionale alla raccolta del nettare. Tale ipotesi si rivelò corretta, ma solo quarant’anni dopo, quando fu scoperto l’insetto impollinatore: la falena sfingide di Morgan (Xanthopan morganii).

Gustiamo allora alcuni passi letterari che le evocano e che ci riportano agli anni a cavallo tra Otto e Novecento, tempi in cui queste essenze erano ancora riservate a pochi eletti ed esibite come segno di prestigio sociale.

Des Esseintes, il protagonista del romanzo À rebours pubblicato da Joris K. Huysmans nel 1884, le considerava la crème de la crème del mondo floreale:

Paragonava volentieri il vivaio d'un floricultore ad un mondo in miniatura, dove si trovavano rappresentati tutti i ceti sociali: i fiori poveri e canaglieschi dalle radici pigiate in una latta od in una terrina fuori uso, i fiori da bugigattolo, come ad esempio il garofano, che non stonano solo sull'orlo d'un abbaino; i fiori pretenziosi, convenzionali, stupidi, che sono al posto loro soltanto in portavasi di porcellana dipinti da signorinette: la rosa, poniamo; infine i fiori d'alto lignaggio, quale l'orchidea, delicata e piena di grazia, sensitiva e freddolosa; i fiori esotici, in esilio a Parigi, tenuti al caldo in palazzi di cristallo: i principi del regno vegetale, che se ne vivono in disparte e che più nulla hanno in comune con le piante della strada né con la flora piccolo-borghese.

j

Com’è noto, l’etimo viene dal greco órchis (testicolo) per la forma dei tuberi di alcune specie terricole, ma le orchidee tutte sono per eccellenza fiori sensuali, associati all’eros.

Rimaniamo perciò a Parigi con Proust che, afflitto dall’asma, portava una cattleya inodore all’occhiello della giacca come si mostra nel suo più noto ritratto.

Si sa che le orchidee nel suo settemplice capolavoro À la recherche du temp perdue, sono un motivo di costante allusione sessuale: il ‘fare cattleya’, l’orchidea allora più di moda, entra nel privato lessico erotico degli amanti Odette e Swann, quest’ultimo appassionato ed esperto dilettante anche di botanica.

Nell’ambiente nobiliare del clan Guermantes ne troviamo invece un esemplare non meglio identificato. Durante un pranzo in casa della duchessa, la principessa di Parma ammira una pianta di orchidea. È l’occasione per Oriane di far sfoggio di nozioni di botanica intorno al matrimonio dei fiori e di lamentarsi del nome poco agréable:

– Sono contenta che vi piacciano; sono incantevoli, guardate quel loro collarino di velluto mauve; peccato che, come può capitare a persone molto belle e ben vestite, abbiano un brutto nome e mandino cattivo odore. Ciononostante, a me piacciono molto. La cosa più triste è che debbano morire.

– Ma sono sulla pianta, non sono fiori recisi, osservò la principessa.

– È vero, ammise la duchessa ridendo, ma il risultato è lo stesso, perché sono signore. È una varietà di pianta in cui signore e signori non coabitano. Mi trovo nella situazione di chi possiede una cagna. Avrei bisogno d’un marito per i miei fiori. Altrimenti, niente figli!

– Che stranezza! Ma allora in natura...

– Sì, sono certi insetti che s’incaricano di combinare il matrimonio per procura, come fra sovrani, senza che fidanzato e fidanzata si siano mai visti. Vi assicuro che raccomando sempre al domestico di mettere il più possibile la pianta alla finestra, una volta dal lato del cortile, un’altra da quello del giardino, nella speranza che si faccia vivo l’indispensabile insetto. Ma ci vorrebbe una bella fortuna! Pensate, dovrebbe essere appena stato a far visita a una persona della stessa specie, ma dell’altro sesso, e avere la buona idea di venire a lasciare il suo biglietto qui da noi. Finora non s’è visto nessuno, suppongo che la mia pianta abbia serbato intatta la sua virtù, confesso però che la preferirei un po’ più scostumata.

j

La fisiologia della pianta è qui spiegata attraverso lo slittamento comparativo con i comportamenti umani. Al contrario, in una delle prime scene di Sodoma e Gomorra, il narratore, spiando dietro le persiane di una finestra, assiste a un cerimoniale erotico scoprendo l’omosessualità del barone Charlus, colto in intimità con Jupien, e lo paragona a quello tra il fiore e l’insetto:

Che vidi mai! [...] il barone, spalancando di colpo gli occhi prima socchiusi, guardava con insolita attenzione l’ex-farsettaio mentre questi, inchiodato repentinamente sulla soglia della sua bottega, radicato come una pianta di fronte a lui, contemplava con aria estatica la pinguedine dell’attempato barone. Ma, cosa ancor più stupefacente, non appena l’atteggiamento di Charlus cambiò, quello di Jupien vi si conformò all’istante, come obbedendo alle leggi di un’arte segreta. Il barone che tentava ora di dissimulare l’impressione provata, ma che, a dispetto di tale affettazione d’indifferenza, sembrava allontanarsi a malincuore, andava avanti e indietro, lo sguardo perduto nel vuoto in modo da mettere il più possibile in risalto, nelle sue intenzioni, la bellezza delle proprie pupille, con un’espressione fatua, noncurante, ridicola. Contemporaneamente Jupien, abbandonando in gran fretta l’espressione umile e bonaria che gli conoscevo da sempre, aveva – in perfetta simmetria col barone – raddrizzato la testa e imposto alla sua figura un portamento baldanzoso, mettendosi con impertinenza grottesca una mano sul fianco, facendo sporgere il didietro, assumendo insomma delle pose con la civetteria di un’orchidea al sopraggiungere del provvidenziale calabrone.

Il motivo dei matrimoni tra vegetali era da secoli in uso tra i letterati, ma era frutto di pura immaginazione sollecitata dall’ancora misterioso meccanismo riproduttivo dei vegetali. Solo con Linneo e la pubblicazione dei Praeludia sponsaliarum plantarum (1729), poi degli Sponsalia plantarum (1746) a nome del suo allievo Johan Wahlbom ma di sua accertata paternità, si dimostra come le piante, non diversamente dagli animali, si riproducano sessualmente attraverso la fecondazione dei fiori femminili con il polline maschile. Da quel torno di anni in poi, le metafore e le immagini erotiche che rinviano agli amplessi dei fiori non sono indipendenti da queste nuove acquisizioni scientifiche, e il lessico della poesia si espande accogliendo anche termini propri della fisiologia e anatomia vegetale.

Anche Maurice Maeterlinck con L’intelligenza dei fiori (1907) ha contribuito ad ampliare tra i letterati la conoscenza del mondo botanico e delle astuzie ingegneristiche tutte volte alla propagazione delle specie. In questo libretto incantevole Maeterlinck dedica non poche pagine – a cui vi rimando – a questo fiore «che supera tutti nell’arte di costringere l’ape o il calabrone a fare esattamente ciò che desidera, nei tempi e nei modi prescritti»:

k

È tra le orchidee che troviamo le manifestazioni più perfette e armoniose dell’intelligenza vegetale. In questi fiori tormentati e bizzarri, il genio della pianta raggiunge le sue vette, aprendo, con una passione rara, un varco nel muro di confine tra i diversi regni. Del resto non dobbiamo farci sviare [...] credendo che si tratti solo di fiori rari e preziosi, di quelle regine delle serre che sembrano invocare le cure dell’orefice invece che quelle del giardiniere. La nostra flora indigena e selvatica, che comprende tutte le moleste “malerbe”, conta più di venticinque specie di Orchidee, fra le quali si possono incontrare proprio le più ingegnose e complicate.

Ma dal momento che sulle nostre orchidee autoctone abbiamo già scritto, consiglio a chi, come me, non ha la necessaria pazienza con le orchidee epifite, di accogliere in giardino o in vaso un’orchidea terricola, originaria dell’estremo Oriente (Cina e Giappone): la Bletilla striata. Dai tuberi, non costosi e di facile reperibilità, sortiscono belle foglie plicate, oblunghe e lanceolate, infiorescenze erette con attraenti fiori rosa, talora bianchi, distribuiti sul gambo con la giusta distanza che conferisce all’insieme maggior grazia. Non vi richiederà che un’esposizione luminosa e per l’inverno, se troppo rigido, una coperta di foglie. Con poco impegno avrete un bel fiore esotico che fa tutto, o quasi, da sé.

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO

Bollo blu Dona (Mobile)