Un fiore-uccello per capodanno: la Strelitzia
In Incompreso Man Ray ha dotato la Strelitzia di un occhio, forse per meglio evocare un uccello del paradiso, come vuole il suo nome popolare.
Bartolo Cattafi, poeta siciliano da rileggere e riconsiderare, l’ha invece ritratta nella sua naturale cecità in una breve, incisiva lirica che traggo dalla raccolta del 1977 Marzo e le sue idi, ora di nuovo disponibile nella benemerita pubblicazione dell’intero corpus edito e non (Tutte le poesie, a cura di Diego Bertelli, Le Lettere 2023):
Strelitzia
Becco crudele
testa cieca di gelido uccello
tinnante metallo
sventagliata cresta
lamine di croco e di violetto
dall’alto del tuo collo
dal piedistallo d’acqua
petalo per petalo
seccamente rimbecchi
il fioco marciume della rosa.
Eh, sì, quando le rose infracidiscono nella bruma invernale le Strelitzie salutano il capodanno nei loro colori pirotecnici.
In vero, si tratta di una infiorescenza, e i fiori non hanno petali bensì tepali, come sempre quando non v’è distinzione tra calice e corolla. Tolte queste pedanterie da aspirante botanica mancata, l’ecfrasi di Cattafi della Strelitzia reginae è dettagliata quanto suggestiva. Che ricordi un’alabarda o una più domestica forbice, cresta o becco d’esotico uccello, la Strelitzia recisa, come le amarilli, nei mesi del freddo si offre con la sua livrea sontuosa sui banchi dei fiorai. Per altro, la sua antesi è assai durevole e copre pressoché l’intero anno, laddove il clima (o la serra) le sia favorevole.
Originaria del Sudafrica, è un’erbacea dalle carnose radici fascicolate che nutrono ampi cespi di fusti cilindrici, dritti e forti, alti un paio di metri e più. Quelli fogliari sviluppano grandi flabelli ellittici dalla marcata venatura centrale, pruinosi sul verso della lamina. Alla sommità di quelli florali si erge invece un’appuntita e coriacea spata, verde sfumata di rosso, che a maturità si piega a novanta gradi e da cui si aprono in successione più fiori. Ciascuno di essi è dotato di tre tepali acuminati fiammanti d’arancio, e tre azzurro-viola. Di questi, il più breve sta come un cappuccio a protezione del nettare, mentre i due maggiori sono uniti a celare i cinque stami con le relative antere, l’unico stilo filiforme è invece proteso adeguandosi al portamento armato dell’insieme. Solo piccoli uccelli dal becco ricurvo, come i colibrì, riescono a suggerne il nettare, da qui la difficoltà della pianta a fruttificare nelle aree non d’elezione, per cui se vogliamo godere delle capsule trilobate, contenenti neri semi piumati di rosso (gli arilli), dobbiamo supplire con un’impollinazione artificiale.
Giunta nel 1773 nelle serre dei Royal Botanic Gardens, per la sua stuporosa fioritura, avvenuta dopo anni di attesa, venne dedicata dal naturalista Joseph Banks alla regina Carlotta, botanica in erba come il coniuge Giorgio III, e appassionata finanziatrice dei giardini di Kew. Il suo nome da ragazza di nobile stirpe suonava Sofia Charlotte von Mecklemburg-Strelitz, da qui l’appellativo ufficiale di Strelitzia reginae, registrato nel 1789 nel catalogo dell’orto botanico.
Il piccolo genere Strelitzia annovera alcune specie tutte originarie dell’Africa meridionale; Oltre alla più coltivata S. reginae, e come questa erbacea dall’analogo fiore, ricordiamo la S. juncea dalle foglie strette, senza lamina, simili a giunchi. Ve ne sono poi di arboree: lungo via Toledo a Napoli potete incontrare qualche esemplare di Strelitzia nicolai, dedicata al granduca Nikolaj Nikolaevič terzogenito dello zar Nicola I. È un albero alto qualche metro dalle foglie come quelle del banano e, se alzate la testa, osserverete fiori dalla più sobria cresta bianco-azzurra e spata blu notte. Anche la S. alba (o S. augusta) può raggiungere i dieci metri in altezza e porta anch’essa infiorescenze dalla glauca spata e tepali candidi. La parentela con la famiglia delle Musaceae – quella del banano – è in effetti attestata anche dall’appartenenza di entrambe le famiglie all’ordine delle Zingiberales, essenze spontanee in aree dai climi tropicali e subtropicali: i cacciatori di piante Masson e Thunberg, che inviarono le Strelitzie ai giardini di Kew, le raccolsero nei pressi di fiumi di paesi caldi.
La S. reginae coltivata in piena terra è diffusa nelle nostre regioni mediterranee, dove dà spettacolo nei parchi cittadini. Ha un suo pubblico di estimatori anche come scenografica pianta da appartamento benché, in tale situazione, non sia facile vederla in fiore e, di certo, mai prima dei cinque anni d’età. Se, dopo tale lunga attesa, avendola rinvasata a ogni avvio di primavera, avete avuto la grazia di vederla fiorire, non disturbatela più, rinnovate soltanto il terriccio di superficie. Ama esposizioni aerate e luminose, mai al di sotto dei cinque gradi, tuttavia è bene ombreggiarla nelle torride ore estive; vuole terreno fertile (usate concime liquido una volta al mese) misto a sabbia per un buon drenaggio, acqua abbondante ma non eccessiva e mai tra giugno e luglio, mesi del riposo vegetativo. Abbiatene cura detergendo le foglie dalla polvere, irrorandole con un nebulizzatore (senza coinvolgere le infiorescenze), e rimuovendo i fusti disseccati.
Se per la festa di capodanno desiderate épater les bourgeois, e intimorirli un poco, ispiratevi alla mise regale e aggressiva della Strelitzia reginae.