Vittore Fossati a perdita d'occhio
“Effetti personali” è la mostra sull'opera fotografica di Vittore Fossati, che lo stesso autore ha curato insieme a Giovanna Calvenzi negli spazi delle Sale d'Arte di Alessandria, sua città natale. Il titolo racchiude il senso del suo lavoro, infatti gli “effetti personali”, rimandano a una sorta di atlante dei ricordi nei confronti di amici che non ci sono più, come lo scrittore Giorgio Messori e il ceramista Bruno Severino, complici il primo del Viaggio in un paesaggio terreste mentre il secondo del lavoro Belle Arti. Tuttavia la complessità di Fossati non si può analizzare solo attraverso la fotografia, in quanto si devono considerare anche altre discipline per lui essenziali, la letteratura e la pittura. Numerose sono le influenze che incontra sulla sua strada, complice la vicinanza al fotografo Luigi Ghirri, che conosce quando apre negli anni settanta lo Studio Fossati, una galleria ad Alessandria dove espone le fotografie di Eugène Atget e appunto Luigi Ghirri, Mimmo Jodice, Olivo Barbieri, Guido Guidi e tanti altri.
Da quel momento inizia a fotografare. La sua è una fotografia che guarda alla pittura in termini di misure, intese come un criterio con il quale compiere l’atto del fotografare. Misurare la distanza di un soggetto, definire il quadro della composizione per ritrarre il mondo che ci circonda. Fossati attraversa il paesaggio con il suo occhio curioso pronto a fermare un istante preciso, un arcobaleno improvviso su una strada di campagna a Oviglio, non a caso scelta da Ghirri per aprire il paragrafo A perdita d’occhio nel progetto di Viaggio in Italia (1984). Un attraversamento del paesaggio e di quei luoghi anonimi che definiscono il corpo del territorio italiano. Un viaggio che tiene insieme vari paesaggi naturali, antropizzati e concettuali, che rimandano alla cultura fotografica americana, quella che ha avuto in Walker Evans il suo principale protagonista e così tanto ha influenzato il lavoro di questi fotografi. Ma l’idea del viaggio nella periferia trova delle assonanze nella precedente esperienza della mostra New Topographics: Photographs of a Man-Altered Landscape alla George Eastman House's International Museum of Photography a Rochester (Ottobre 1975- Febbraio 1976), curata da William Jenkins che ha selezionato i lavori di Robert Adams, Lewis Baltz, Bernd and Hilla Becher, Frank Gohlke, Nicholas Nixon e Stephen Shore.
Anche questo è un “viaggio” nella periferia delle metropoli, eleggendo i fotografi, come accadrà in Italia, come nuovi topografi. Sì, perché dopo gli esploratori, i geografi e l’estinzione dei pittori vedutisti, rimangono i fotografi a misurare le condizioni dei paesaggi umani e naturali. Se nell’Ottocento la fotografia, appena inventata, aveva il compito di documentare i beni architettonici di chiese e monumenti, seguendo in parte gli itinerari del Grand Tour, nelle fotografie dei fratelli Alinari, di Giacomo Brogi, di Giorgio Sommer, un secolo dopo l’interesse dei fotografi si è spostato verso il paesaggio, per alcuni quello urbano (Basilico, Barbieri, Castella) per altri quello suburbano (Fossati, Ghirri, Guidi, Cresci). In questo contesto di profondo cambiamento si inserisce la ricerca di Vittore Fossati che trascrive sulla tela fotografica quell’insieme di segni, ad esempio i rami che si intersecano, a formare figure metaforiche. Questo suo modo leggero di interpretare la fotografia avviene in tutte le fasi della sua attività di “fotografo del lunedì” come sovente affermava durante i nostri incontri, infatti proprio quel giorno di riposo dal lavoro ufficiale, il bibliotecario in un paese dell’astigiano, lo usava per gironzolare per le campagne e le sponde dei torrenti. Nel 1996 insieme all’amico Andrea Repetto, andiamo a Milano a uno degli incontri con gli autori, organizzati da Archivio dello Spazio, la campagna fotografica coordinata da Achille Sacconi e Roberta Valtorta per conto della Provincia di Milano da cui nacque l’odierno Mufoco (Museo di Fotografia Contemporanea con sede a Cinisello Balsamo), proprio per incontrare Vittore e proporgli di lavorare insieme lungo il torrente Scrivia, affluente di destra del Po.
In quel momento ho capito la sua generosità nell’accettare l’invito di due fotografi sconosciuti ma pieni di entusiasmo. Inizia così l’avventura fotografica con il coinvolgimento di mio padre, Pietro Luigi Piccardo, Mario Tinelli, Raffaele Vaccari. Un viaggio che facemmo, almeno noi tre, io, Vittore e Mario, dalla sorgente in Liguria, fino alla affluenza nel Po in Lombardia. Questo ha determinato come primo esito la mostra ad Alessandria a Palazzo Guasco nel 1999, di cui una selezione di fotografie, tra Busalla (Ge) e Cassano Spinola (Al), toponimi che ai più non diranno nulla, sono in mostra nelle Sale d’Arte. Solo andando insieme a fotografare con Vittore Fossati si può comprendere la profondità del suo pensiero, i ragionamenti sulla luce, la composizione del soggetto, una vera esperienza dello sguardo o per dirla alla Paolo Costantini, il grande storico della fotografia scomparso troppo presto, “l’insistenza dello sguardo”.
“L’arte del fotografo è quella del sapere bene dove mettersi – afferma Fossati – bastano questi pochi spostamenti perché due segni nel paesaggio incomincino a provare un’attrazione”. Questa considerazione è alla base del modo con cui Fossati si avvicina ai luoghi. Nella mostra lo spettatore viene accompagnato, appena varca lo spazio, da un intelligente gioco ottico che, frontalmente, fa vedere un autoritratto del fotografo ma muovendosi lateralmente nell’immagine appare una colonna di una fotografia che Fossati ha fatto a Capri. Un “effetto personale” pensato e messo in atto dal grafico Giorgio Annone.
Il viaggio attraversa la vita di Fossati. Un viaggio nella pianura della provincia italiana e oltre, come nella serie Dove sono i Pirenei. Così la mostra accompagna lo spettatore alla scoperta dei territori che non hanno particolari qualità. Non ci sono monumenti, non ci sono chiese, necropoli, templi, semmai le fotografie rappresentano il nostro vivere contemporaneo, mediocre, umile, a volte silenzioso di spazi piatti delimitati dalla linea dell’orizzonte che separa il cielo dalla terra, a volte coltivata, attraversata da un torrente o da una strada. Si nota nella fotografia fossatiana una insaziabile curiosità nel leggere il paesaggio, come si legge una frase nel libro. Questo avviene nello Scrivia, un torrente che si fa fiume solo con le piene alluvionali. C’è un’immagine che ritrae l’amico artista Mario Fallini appoggiato con una gamba sul rudere di un pezzo di ponte in mattoni, che subito evoca un frammento di un monumento, essendo nei pressi dell’antica città romana di Libarna.
A Libarna Fossati “incontra la sua immagine primaria di mondo romano – scrive Mario Mantelli – archeologia-contemplazione romantica delle rovine […] Il vero luogo archeologico è invece per Fossati quello che permette alla fantasia di ricreare l’archetipo dello scenario dell’antichità che sta dentro di noi: qualcosa che assomiglia a un acquedotto della campagna romana […]”.
Il romanticismo è un altro aspetto della fotografia fossatiana che trova la sua espressione nel Viaggio in un paesaggio terrestre che compie con l’amico scrittore Giorgio Messori. Lì i due amici come due esploratori ottocenteschi girano l’Europa alla ricerca dei loro miti, dalla montagna Sainte-Victoire di Cézanne alle scogliere bianche di Caspar David Friedrich fino ai paesaggi del Giura di Gustave Courbet, e ancora i cieli di Vermeer a Delft.
Il viaggiare sulle tracce dei pittori spesso porta a vedere paesaggi diversi da quelli dipinti. Lo sviluppo e le trasformazioni urbanistiche nei secoli hanno modificato profondamente i luoghi e ritrovare quelle inquadrature che possano instaurare il dialogo tra due artisti, il fotografo e il pittore, non sempre avviene. Tuttavia nel caso di Belle Arti Fossati agisce nello studio del pittore e ceramista Bruno Severino costruendo insieme a lui dei piccoli set in cui si intrecciano pennelli, sedie, tavolozze, vasi, casette del presepe a formare un mondo delle meraviglie.
Come ricorda Messori “Belle Arti è anche il nome di un’essenza di trementina, e allora il titolo si può configurare in un modo più lieve, ironico [...] Le immagini sembrano quasi citare le lezioni che si facevano a scuola di educazione artistica, le ore di osservazioni scientifiche, di applicazioni tecniche”. Ma è ancora il tema del fiume che ritorna nella serie Il Tanaro a Masio dove un inaspettato e delicato bianconero definisce un paesaggio, ancora una volta, fatto di intrecci di rami tesi a quella attrazione sensuale a cui faceva riferimento il fotografo alessandrino. In questo girovagare negli interstizi dei paesaggi si compie una esperienza spaziale, quella dell’attraversamento e dell’osservazione, il posizionamento del cavalletto per comporre i segni all’interno del quadro, mettere a fuoco e scattare. Ma il rumore dello scatto è simile a quello di un fucile che spara con precisione fermando il tempo senza possibilità di tornare indietro.
Così la fotografia di Fossati fa immergere lo spettatore nel paesaggio come un personaggio di un quadro di genere che si posiziona sul bordo a osservare lo stato delle cose.
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In copertina, Vittore Fossati © Libarna 2002.