Educazione sentimentale

5 Novembre 2024

Quando ho iniziato a ragionare sul nuovo libro di Maura Gancitano, Erotica dei sentimenti (Einaudi, 2024), ho deciso di porre ai miei amici una domanda (sulla scia di quello che Gancitano ha fatto sui social, prima della pubblicazione del libro): ho chiesto loro cosa intendessero per “educazione sentimentale”. Il campione non è significativo, ma il mio tentativo non voleva avere fini statistici: piuttosto mi interessava lo sguardo di alcuni miei coetanei sul tema, perché in qualche modo sapevo avrebbe illuminato il mio. E così una delle risposte più significative mette in evidenza un nodo che mi sembra cruciale, anche alla luce di quello che Gancitano scrive nel suo testo: “L’educazione sentimentale ha a che fare col vivere i sentimenti nel modo più naturale possibile, ma rispettando l’altro. Significa saper sentire, e non avere paura di sentire, e far sentire all’altro.”

Molte sono le parole chiave di questa risposta che si ricollegano al percorso individuato da Maura Gancitano, a cominciare dal termine sentimenti. “Il sentimento è il luogo della mente in cui pensiero ed emozione si incontrano”, spiega l’autrice all’inizio del suo percorso ragionativo, “è un’idea e il suo contenuto è una mappa, un’immagine dello stato corporeo in un dato momento.” Potremmo dire in altri termini che indica un modo di stare, abitare uno spazio in un determinato momento, come coincidenza di uno stato mentale e di uno stato fisico. La sua natura è ontologicamente relazionale, anche se il sentimento nasce come stato mentale: non necessariamente sentire significa agire, a meno che il soggetto non decida di farlo. “Ora è chiaro perché si parla di educazione sentimentale: a questo livello possiamo davvero scegliere come relazionarci con le persone”. Ecco, dunque, un’altra parola chiave nella definizione che mi è stata consegnata: altro. Potremmo in effetti dire che non sentiamo mai da soli: “la quantità smisurata di dati che riceviamo in continuazione sul nostro corpo, sui nostri pensieri, sul mondo che ci circonda, sugli stimoli che ci raggiungono, viene elaborata alla luce della nostra esperienza, della nostra visione del mondo, della nostra filosofia e del nostro atteggiamento mentale”. Questa definizione mette in luce l’aspetto sociale del sentire, descrivendo accuratamente l’individuo nel suo essere sempre collocato al centro di un tessuto sociale (penso, a tal proposito, all’importantissimo lavoro di riflessione della filosofa Donna Haraway, che parla di kin e propone il gioco del ripiglino come metafora di uno stare insieme più consapevole, un’ideale convivenza fra specie compagne che si fondi sul riconoscimento e il rispetto dell’alterità).

Uno dei temi più interessanti (approfondito, fra l’altro, nel podcast Pulsione, curato dall’autrice in collaborazione con la casa editrice Einaudi) resta quello della natura politica dell’educazione sentimentale. Come abbiamo detto sentire è una questione relazionale, perché “che lo vogliamo o no, nel momento in cui conviviamo con gli altri, quello che ci accade dentro ha un effetto pubblico e politico […] così come le azioni e le scelte, influenzano l’ambiente in cui viviamo, e l’ambiente influenza noi.” Se le parole dell’educazione sentimentale sono rispetto, alterità, responsabilità, in fondo stiamo descrivendo un po’ una forma di educazione anche civica – per questo l’educazione sentimentale ha profondamente a che fare con il tessuto sociale in cui viviamo, e con la sua disgregazione attuale, con la nostra difficoltà di comprenderci parte di un sistema.

Nell’ultimo anno – e nello specifico dopo il tragico femminicidio di Giulia Cecchettin – l’educazione sentimentale è tornata al centro del dibattito pubblico, e molto si è detto rispetto alla necessità di “insegnare l’educazione sentimentale a scuola”. Mi aveva molto colpito la riflessione di un insegnante letta sul web, il quale sosteneva l’impossibilità, da parte del corpo docente, di farsi carico di un compito così delicato. In effetti, come sottolinea Gancitano, “I percorsi di educazione sessuale e affettiva a scuola non sono frutto di improvvisazione, ma l’esito di un lavoro decennale da parte di un team di psicologi, educatori e pedagogisti.”

Ma più in generale trovo pregnante quel che Gancitano scrive a proposito dell’impreparazione degli adulti di oggi, spesso “sprovvisti degli “strumenti” che dovrebbero trasmettere ai più giovani, non hanno alcuna “competenza romantica”, non possiedono “il vocabolario per affrontare temi complessi.”

Se è vero che l’educazione è una forma di controllo, l’educazione sentimentale comporta un grande sforzo in quanto chiede una rinuncia al controllo. Meglio: è il dono di una forma di emancipazione del sentire. Simone De Beauvoir, accusata di aver detto cose sconvenienti su famiglia e natalità durante le sue lezioni, scriveva così nella lettera alla direttrice del suo istituto a Rouen: “Il mio compito è insegnare a pensare, e non certo cosa pensare”. La sfida dell’educazione sentimentale è in primo luogo questa: rendere l’altro capace di ascoltare prima di tutto se stesso, “trasmettere il desiderio nei confronti della scoperta di sé e del mondo”.

In Sii te stesso a modo mio lo psicoterapeuta Matteo Lancini affrontava il tema della fragilità adulta con grande lucidità, osservando: “Gli adulti non riescono ad accettare il fatto che esistano dei bisogni specifici ed esclusivi del soggetto con cui di volta in volta si relazionano: si assiste a una sparizione dei bisogni dell’altro”. Parallelamente, Gancitano riconosce che parlare di educazione sentimentale nei luoghi dell’educazione – a scuola, in famiglia – fa paura perché “troppo spesso mancano figure di riferimento e gli adulti non si occupano di accompagnare i giovani nel percorso di fioritura, nella maggior parte dei casi perché neppure loro hanno gli “strumenti”.” Cosa accadrebbe, si chiede l’autrice, se proponessimo un’educazione sentimentale agli adulti prima che ai giovani?

Esattamente nel novembre scorso il Senato ha approvato il D.d.l. S 923, recante “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”: “nel testo si parla di inasprimento delle pene, ma non appare neanche una volta la parola educazione”, né si parla di scuola. In risposta al provvedimento, il Movimento 5 Stelle aveva avanzato un emendamento proponendo l’educazione sessuale fin dalla scuola materna, incontrando poi forti resistenze negli ambienti di destra, in cui si avanza il sospetto che questa impostazione “possa agevolare l’ingresso della teoria del gender nelle scuole”; nello specifico, il deputato leghista Sasso aveva definito l’educazione sessuale una nefandezza “in grado di deviare le menti dei bambini”. Gancitano sottolinea giustamente come l’Italia sia uno degli ultimi Stati membri dell’UE dove l’educazione sessuale non è obbligatoria a scuola; piuttosto è affidata a iniziative di singoli insegnanti, e per questo le attività educative sono tutto sommato disomogenee.

E d’altronde se l’educazione sentimentale è un fatto relazionale, che ha strettamente a che fare con il pubblico, è fondamentale immaginare un progetto politico che possa farsi carico di una forma di “salute mentale pubblica”, e che lo Stato possa occuparsi della fioritura dei suoi cittadini.

Nel podcast Gancitano recupera l’idea freudiana di pulsione (come rappresentanza psichica di una fonte di stimolo in continuo flusso, endosomatica) e sacrificio pulsionale: la vita in società costringe l’individuo a reprimere certi bisogni istintuali (cioè ci chiede di rinunciare al principio di piacere in direzione del principio di realtà). Talvolta questo è utile, come forma di rispetto; in altri casi “è censorio e limitante, e costringe a costruire una personalità falsa”. La creazione di un falso sé, la scelta di una maschera rende molto difficile il percorso di educazione sentimentale, perché inibisce il sentire individuale. Come fare in modo che il rapporto tra individuo e società non abbia natura limitante, censoria, escludente? “L’equilibrio sta nella capacità di riparazione”, o per citare Giorgio Blandino: “In senso più generale, esistenziale e storico-sociale non c’è sviluppo di cultura prescindendo dalla riparazione. La civiltà procede solo grazie alla presenza in leader, in gruppi, di stati mentali di tipo riparatorio.”

Molti individui vivono spesso nella società una dimensione di conflitto, nel timore che la manifestazione del proprio sé possa rappresentare una devianza rispetto alla regola; e si teme l’errore perché manca la dimensione della riparazione, che pure “è qualcosa che può aiutarci a capire cosa sia nell’educazione sentimentale la scoperta della dignità delle proprie pulsioni, e cosa sia la capacità di esercitare rispetto nei confronti di sé, degli altri, del mondo”. È un sentimento avvilente, che ha a che fare con la mancanza di riconoscimento. In questo senso l’educazione sentimentale non può essere un galateo né un elenco di divieti: deve avere un carattere etico, educare attivamente al rispetto. E l’equilibrio fra l’espressione del proprio sentire e la repressione delle pulsioni necessaria alla vita in società può esistere, va ricercato nella capacità di riparazione: una società che ci permette di riparare è una società accogliente, in cui possiamo fiorire autonomamente consapevoli del nostro sentire.

Nel podcast Gancitano continua a sottolineare, con Blandini: “In termini politici, il senso civico e il senso di responsabilità democratica nascono quando uno Stato è presente, e i cittadini non introiettano norme, leggi, ma un oggetto capace di contenere gli impulsi disgreganti e distruttivi. […] La democrazia non è solo un fatto esteriore, ma interiore.” Da questo punto di vista è illuminante ciò che Gancitano sottolinea a proposito di una leadership politica nuova, che non manipoli i nostri impulsi, le nostre pulsioni e le nostre emozioni, ma sappia farsi carico della salute mentale pubblica, con un progetto di ampio respiro che rimetta la pedagogia e la psicologia al centro.

Maura Gancitano torna ad occuparsi di temi che intrecciano la speculazione filosofica all’osservazione del mondo multiforme, dopo Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza (Einaudi, 2022) e La società della performance. Come uscire dalla Caverna (Edizioni Tlon, 2018, con Andrea Colamedici). Il libro e il podcast inedito – uno spazio che accoglie discorsi che sviluppano temi che corrono paralleli a quelli affrontati fra le pagine – costituiscono un’operazione culturale transmediale molto interessante, che ha il pregio di farsi accessibile anche e soprattutto in funzione del tema che tratta, che è senz’altro delicato, complesso e profondamente politico – nel senso più strettamente etimologico, “della polis”.

Mi chiedo dunque in conclusione quale sia, a questo punto, anche alla luce della lettura di Erotica dei sentimenti, la mia personale definizione di educazione sentimentale; non mi sembra di possedere molte certezze definitorie, in effetti “l’educazione sentimentale non ha niente di oggettivo o di assoluto: è una domanda, più che una risposta incontrovertibile”, osserva Gancitano. E così forse la mia idea di educazione sentimentale ha a che fare con la pratica dell’abitare molte domande, la precarietà del sentire, la consapevolezza del limite e di una certa finitudine. E un affascinante tratto collettivo, che mette in gioco il rapporto con l’alterità e chiama a un duplice esercizio continuo, profondo, consapevole, maturo: riconoscere l’altro, con il suo bagaglio di pulsioni, bisogni, sentimenti, e prendersi la responsabilità del proprio. D’altronde, in ultima battuta, “non è colpa nostra tutto ciò che di più oscuro e irrisolto ci attraversa, […] ma se vogliamo vivere una vita buona insieme agli altri […] dobbiamo considerare che il governo di questa materia incandescente che sono i sentimenti è una nostra responsabilità.”

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