Intervista a Reto Pulfer
“La chitarra vibra. La lingua e il tessuto cadono in un certo modo. Un pezzo di tessuto è re-installato molto diversamente la volta successiva – prima è stato una maglietta”.
Così descrive la sua pratica artistica lo svizzero Reto Pulfer (nato nel 1981), che ha da poco ricevuto il premio nazionale elvetico per l'arte contemporanea. Combinando installazione, scultura, pittura, performance, musica e architettura Pulfer pratica un'arte totale, autonoma e con una sua matrice specifica. Il suo lavoro è stato più volte ospitato in Italia: prima attraverso l'Istituto di Cultura Svizzera, che l'ha portato in vari luoghi a Roma e a Milano, poi a Reggio Emilia e più recentemente a Zagarolo, durante la manifestazione Granpalazzo. È sua abitudine condensare nella performance i vari elementi della sua arte, riunendo insieme liberamente elementi e materiali che hanno pochi gradi di separazione con il mondo naturale. A Zagarolo ad esempio, oltre a una piccola installazione, Pulfer ha realizzato una nuova performance-cerimonia con il cacao crudo.
La pratica artistica di Reto presenta numerosi elementi che richiamano alla mente il mondo della magia ma non mi era chiaro se queste parvenze fossero limitate al piano della rappresentazione. Gli ho fatto alcune domande sul suo lavoro partendo dalla lettura del libro L'Arte Magica di André Breton, un compendio sistematico della magia nella pratica artistica lungo un arco temporale che va dalle grotte di Lascaux a Giorgio De Chirico.
Il libro di Breton ha una genesi complicata: concepito negli anni '30, venne poi pubblicato nel 1957 in tiratura limitata per gli Amis du Club français du Livre. Rispetto all'idea iniziale dell'autore la formula grafica dell'edizione penalizzava le immagini a favore del testo e Breton ne rimane deluso. In Italia il libro venne poi pubblicato dall'editore Adelphi nel 1991 nella versione pensata inizialmente dall'autore, dove testo e immagini avevano pari rilevanza ed erano proposti in dialogo. L'Arte Magica è un'elaborata storia dell'arte in chiave surrealista la cui lettura non va separata da quella dal testo che le è abbinato in coda: un'indagine di taglio accademico condotta da Breton stesso sottoponendo un questionario sull'arte magica a un gruppo nutrito di studiosi e scienziati di varie discipline. Oltre alla sua importanza per il surrealismo, L'Arte Magica è utile sul piano scientifico quando cerca di elaborare un criterio di distinzione tra arte magica e vera e propria magia o stregoneria.
La conversazione con Reto Pulfer ha rivelato la sua familiarità con questi argomenti e la consapevolezza dell'aspetto sciamanico delle sue performance, un tratto che lo accomuna a Ugo Rondinone, artista svizzero che trae ispirazione dal mondo del folclore e ama parlare di sciamanismo (Rondinone è stato in mostra a Roma fino a metà settembre al MACRO e ai Mercati traianei). Spiegando la sua poetica, Pulfer ha fornito la sua originale interpretazione dell'arte magica, superando alcune definizioni originarie del testo di Breton.
Sei un artista auto-didatta: come hai iniziato?
Penso che il mio modo di procedere sia stata una progressione, come lungo una scala. Quando ero adolescente disegnavo, poi ho cominciato a suonare musica e scrivevo delle storie; a poco a poco quello che stavo facendo è diventato sempre più professionale, sono andato avanti passo dopo passo. C'è stata anche una crescita nel rapporto con il pubblico. All'inizio facevo dei concerti. L'aspetto della performance è sempre stato molto importante per me.
Molti dei tuoi lavori sono appesi al soffitto o alle pareti. A volte interagisci in maniera precisa con queste strutture, come nel maggio 2015 al Centro d'Arte Contemporanea di Ginevra, dove hai creato una grande rete che hai poi percorso tenendoti appeso. Anche a Bristol hai appeso una grande rete da pesca mentre a Zagarolo era presente un lavoro di questo genere, più piccolo e fatto con la stoffa. In questo caso, sulla parte sospesa del tessuto hai messo minuscoli oggetti indecifrabili e privi di valore, con una disposizione simile a quella delle prede dei ragni nelle loro ragnatele. C'è qualche rapporto tra il tuo lavoro e i ragni o gli insetti in generale?
In effetti mi piace mettere questi minuscoli oggetti e poi cucirli a mano e creare delle specie di bozzoli con il filo intorno agli oggetti. Gli insetti effettivamente immobilizzano le prede avvolgendoli con del filo, creando dei bozzoli. È anche vero che gli insetti vivono in ambienti diversi dai nostri e molto diversi tra loro. Penso che per gli insetti la possibilità di nascondersi sia importante. Ogni ambiente è fatto per chi ci deve stare. La sedia è fatta per un essere umano ma per un insetto ha un valore completamente diverso e questo ha a che vedere con il piano di consapevolezza delle cose.
Visti da un'altra angolatura gli ambienti che crei sembrano delle grandi scenografie per qualcosa che deve accadere. Sono luoghi che acquistano pieno senso durante le tue performance. Sembrano, cioè, preparati con un fine teatrale. Sei d'accordo con questa interpretazione?
La performance è il momento in cui mostrare la funzione del mio lavoro. Soprattutto, è il momento in cui mostrare la sua diversità sul piano qualitativo. Il mio lavoro ha una funzione. Ad esempio ho creato la rete per il CAC di Ginevra proprio pensando di arrampicarmici. Lo stesso discorso vale per gli oggetti: li faccio pensando a come li userò durante la performance. Ma è anche vero che la loro funzione può cambiare perché può succedere che durante le performance ci faccio qualcosa di diverso. Il meccanismo è simile per il visitatore, per la persona che entra nelle tende che faccio: è importante quello che prova quando entra nelle tende.
Alla fine del 2014 hai realizzato una performance per dispari&dispari project a Reggio Emilia con il titolo di Brodo. Come introduzione hai scritto un'etimologia personale della parola brodo che tiene insieme (come una rete) tutti gli elementi del lavoro realizzato per e durante la performance:
1. Un brodo è in cottura.
2. All'interno della pentola ci sono dei sacchetti di cotone pieni di spezie come cannella, cardamomo nero, anice stellato, semi di finocchio e di coriandolo.
3. Come parte della performance, le spezie saranno tolte dai sacchetti di cotone e ornate a forma di fantasma. Questo è un momento d'espressione.
4. L'immagine dell'invito della mostra è simile: un fantasma con occhi fatti di spezie.
5. Mentre il brodo è in cottura, il suo aroma riempie lo spazio espositivo.
6. Sopra il vapore galleggia un altro grande fantasma fatto di tessuto. Con grandi occhi sta guardando il pubblico.
7. Così, la zuppa si trasforma in fantasma. Questo è il momento etimologico del mio metodo. In etimologia, si comprende il significato di una parola studiando la sua storia e le sue relazioni.
8. Un cerchio non gerarchico d’idee uguali è in fase di creazione. Tuttavia, alcune idee cadranno fuori da questo stretto quadro concettuale.
Questa performance, come diverse tue altre, ti presenta come uno sciamano. Utilizzi tutti gli elementi della classicità in un rituale specifico: il suono – l'aria, la cottura della zuppa – il fuoco, la terracotta – la terra, e la zuppa – l'acqua. Mentre molto del tuo lavoro nell'ambiente spaziale è estraneo alla raffigurazione, in questo caso il tessuto che fai pendere dal soffitto è dotato di occhi e bocca, oltre a essere simpatico e spettrale al tempo stesso. Hai usato un “espediente” simile anche a Villa Toronto in Canada.
Il fantasma è fatto per rendere qualcosa visibile. La parola francese di genio significa anche spirito del luogo (genius loci), e il fantasma rende questo spirito visibile. Il fantasma serve agli esseri umani per rendere comprensibile qualcosa di soprannaturale. Mi spiego meglio: per gli esseri umani è più facile vedere un fantasma come qualcosa di strano e trasparente con un volto e degli occhi ma penso che sia soltanto una manifestazione del soprannaturale.
Pensi che in ogni luogo ci sia questa specie di spirito?
È possibile. Non lo so. A volte. In Brodo il fantasma era nella zuppa che ho cucinato e poi nell'aria attraverso l'odore. Ma in un certo senso era anche nelle spezie dentro la zuppa, cioè c'era sempre stato perché c'era anche prima di fare la zuppa. Nella performance, con la zuppa viene rivelato il fantasma e la sua presenza.
Ho visto delle fotografie di alcuni oggetti che hai realizzato per la mostra alla Kristiansand Kunsthall. Questi oggetti mi hanno fatto pensare all'appendice scientifica dell'Arte Magica di André Breton, dove si descrivono le caratteristiche degli oggetti usati nella pratica magica vera e propria. Ci si aspetterebbe di trovare oggetti pensati con precisione, belli o preziosi. Spesso invece gli oggetti della magia praticata sono grossolani, consumati e lisi. Anche i tuoi oggetti mi hanno dato questa impressione.
M'interessa molto la storia degli oggetti magici perché sono oggetti che hanno diverse qualità: possono essere usati in certe occasioni e non in altre, sono oggetti musicali che fanno dei suoni, possono anche rappresentare qualcosa. Sono gli oggetti che faccio anche io, perché c'è una forma, ci scrivo sopra del testo, hanno una funzione per la performance, possono essere mostrati, usati per qualche altra finalità. Gli oggetti di Kristiansand sono pensati come oggetti divinatori perché era previsto che durante la performance fossero gettati come delle carte per terra e sulla base di come si disponevano avrei fatto una interpretazione.
Molta della tua produzione prevede l'uso di lenzuola, vestiti usati e anche stracci. Cosa pensi del fatto di essere assimilato, almeno in parte, all'arte povera?
Mi piace molto l'arte povera per il suo uso semplice dei materiali e per le installazioni. Mi piacciono molto gli igloo di Mario Merz. In generale non mi interessa molto la storia dell'arte, sono più interessato alle altre culture. Mi piace viaggiare e conoscere l'aspetto magico delle culture non europee ma anche la tradizione folk dei paesi europei, i costumi, i musei etnografici. Mi piace la cultura delle persone e gli oggetti che usano nei rituali, gli oggetti della superstizione. Mi piace anche l'architettura della religione nei luoghi di devozione, per capire come usano lo spazio quando devono fare delle cerimonie e dei riti.
Hai frequentato molto l'Italia, sia tramite l'Istituto di Cultura Svizzera che in altre gallerie e luoghi, oltre a fare una mostra sempre a Ginevra insieme a Giorgio Griffa, un altro artista che sfugge alle definizioni. Che idea ti sei fatto della situazione dell'arte contemporanea in Italia?
Sono stato a Roma per 10 mesi all'Istituto di Cultura Svizzera nel 2011. C'erano molte gallerie e fondazioni in piena attività, inaugurazioni e altri eventi. Tra gli artisti italiani mi piace Patrizio Di Massimo, che avevo conosciuto in quell'occasione. A Roma mi aveva colpito un'installazione che aveva fatto Pistoletto ai fori imperiali disponendo dei vestiti usati all'interno delle rovine. Ho trovato molto divertente che Pistoletto rifiutasse il peso di tutta quell'arte importante e invece ci giocasse. È difficile fare arte con tutta quella storia ma può essere molto divertente giocarci.
Sei rappresentato dalla galleria londinese Hollybush Gardens e i tuoi lavori sono fatti con materiali molto poveri, spesso di scarto. Con questo tipo di produzione come ti relazioni con il mercato?
Sono cresciuto a Basilea, dove c'è Art Basel che è la più grande fiera dell'arte nel mondo, quindi conosco il concetto di valore di mercato dell'arte. All'inizio, quando ero più piccolo, mi ricordo che lavoravo contro questo aspetto e avevo un'attitudine punk, volevo fare qualcosa di antagonista rispetto all'idea di commodity dell'arte. C'è dell'arte molto costosa che è fatta con materiali costosi come il bronzo. Oppure quadri realizzati nel dettaglio, perfetti. C'è anche dell'arte povera nei materiali ma di grande valore. A dire il vero ci sono anche oggetti di poco valore materiale che non sono decifrabili, come i miei. Mi diverte molto che quando faccio delle mostre nelle grandi istituzioni o nei musei, ad esempio, cercano di catalogare i miei oggetti e non sanno cosa scrivere quando devono scrivere se sono rotti o no. Devono fare delle stime per l'assicurazione. Ma è un dettaglio divertente che dice quanto l'idea di valore sia relativa. Comunque a un certo punto ho abbandonato l'attitudine punk verso il mercato perché ho capito che volevo lavorare per qualcosa anziché contro qualcosa. Non ho voluto dare spazio a ciò che è negativo, per lasciare più spazio possibile alla mia visione.
Ti piace partecipare all'aspetto sociale della comunità dell'arte?
Non ne faccio granché parte. Vado alle inaugurazioni delle mie mostre ma non molto di più.