La congiura contro i giovani

7 Aprile 2014

La congiura contro i giovani è un libro radicale e importante che arriva dopo più di dieci anni di studi dal primo libro del suo autore, Il furto. La mercificazione dell'età giovanile (L'ancora del Mediterraneo 2000). Quello di Laffi è un libro radicale per l'estrema consapevolezza, più antropologica che sociologica, su quanto le regole del mercato abbiano mutato il nostro rapporto con le cose e con i consumi. La congiura contro i giovani, è vero, è un libro che capovolge – l'autore direbbe smaschera – il ritornello dei media, degli esperti e dei genitori sulla crisi dei giovani. La crisi è del mondo e della società degli adulti, il rifiuto dell'esperienza, delle menzogne e delle aspettative di questo mondo è una difesa legittima da parte dei giovani.

 

Per arrivare a demistificare quello che è definito l'ultimo "fotogramma" di una rinuncia a una vita autentica giovanile, Laffi ripercorre tutto il film già visto, dalla culla ai trent'anni, per scoprire che c'è una regia già decisa, una sceneggiatura già scritta che i giovani sono costretti a seguire. Il titolo di questo film potrebbe essere quello del prologo, "nascere in una società assurda", perché già da una nascita sempre più medicalizzata, in realtà anche prima nelle gravidanze dipendenti dalle macchine, il neonato è pedinato da pediatri e medici, è controllato da concetti arbitrari quali norma, media e percentile, è segnato dalla provenienza sociale. Nel nostro paese infatti, tra i più diseguali e con meno mobilità sociale d'Europa, statistiche Istat alla mano, è praticamente impossibile che il figlio di un operaio possa diventare medico o magistrato. L'"ossessivo regime di confronto" in cui è calato il bambino è con la norma, e la norma è il mercato. I primi tre capitoli del libro sono un approfondimento della pervasività del mercato nella nostra società, dedicati rispettivamente alle "cose", al "target" e al "corpo".

 

La congiura contro i giovani

A partire da Le cose di Georges Perec, romanzo che ha l'età dell'autore, Laffi ci descrive la nascita di una "fenomenologia del desiderio nella civiltà dei consumi" per la quale la catena infinita delle merci ha intrappolato gli individui nei poli lavoro-consumo, lavoro-divertimento. L'elenco delle cose desiderate dai protagonisti di Perec potrebbe allungarsi ai giorni nostri e proseguire all'infinito, perché ormai siamo arrivati al livello di saturazione: "Il mondo è pieno e sempre più denso, ma i primi abitanti, per numero e forza, non siamo noi, sono proprio le cose che vi abbiamo seminato, prolificate all'infinito". Le cose che abbiamo costruito per sopravvivere a una natura matrigna (nel vuoto moriremmo) hanno preso il controllo del mondo.

 

Il vero cittadino della città non è più il passante ma la macchina, come già ricordava Illich. In una società del consumo come la nostra siamo noi a servire le macchine, ricaricando le batterie dei computer, riempiendole di carburante, aggiornando i software, non il contrario. In un mondo così definito, saturo, se il marketing è diventato un modo di essere delle persone stesse, la pubblicità è diventata il racconto che dà anima alle nostre cose, "il Mito che illumina la relazione fra noi e l'assurdo che ci circonda". Immaginandosi il bambino che nasce in una stanza, per forza di cose, piena di oggetti che devono essere esplorati, significati e raccontati, Laffi riflette immedesimandosi: "la nostra cultura materiale non è muta e fascinosamente misteriosa, è al contrario assordante (...) e quando mi sveglio in quella stanza non solo è stracolma di cose, ma c'è un rumore tremendo, e io non posso fantasticare alcun Mito perché il racconto è continuamente in onda e non mi lasciano in pace". Le merci hanno una vis pedagogica come diceva Pasolini, hanno un linguaggio autoritario che non ascolta, si impone e reprime. Per questo, simbolicamente, la presenza del tasto "play" nei giocattoli tecnologici dei bambini rivela il passaggio dall'eliminazione della fatica dell'apprendimento al consumo come spettatori individuali di un giocattolo che gioca da solo in automatismo quando azionato.

 

Nel mondo del marketing, che non è uno dei migliori possibili che va verso la perfezione ma, al contrario, muove verso la sofisticazione, il bambino è diventato il re: è lui che può influenzare gli adulti nei consumi e già a due anni è una "spugna" imbevibile di tutti gli stimoli, il target perfetto per costruire narrazioni di merci. Il marketing, nelle pagine più angoscianti del libro, nate da esperienze dirette, è una democrazia sofisticata che semplifica la complessità e fa rientrare tutti i tipi possibili di consumatori sotto gli insiemi dei target. In questo mondo, tra l'altro, non esiste la repressione o la censura, perché la contestazione è un target previsto: "pensarla diversamente è semplicemente collocarsi nel target previsto di quelli che la pensano diversamente, perché il dissenso è solo una linea di prodotti nella logica del marketing". L'autore, constatando che anche il suo libro è "previsto" dalle logiche del marketing, non può che fare il tifo per tutti quei tipi minoritari non classificabili e per tutti i comportamenti fuori dagli schemi: gli adolescenti indolenti, la follia artistica di alcuni ragazzi, la mutevolezza decisionale di alcuni giovani e l'imprevedibilità di alcuni bambini.

 

Seppure abbandonati dalla storia, non calcolati dalla società, il paradosso è che i ragazzi siano presi sul serio solo dal mercato, a partire dal loro corpo. A questo si aggiunge un altro paradosso: se da una parte sono esclusi da una socialità asettica, dall'altra i corpi giovani sono "esposti". Desiderati dagli adulti a cui tendono ad assomigliare per ringiovanire (l'invidia della carne), i corpi dei giovani sono veicoli per suscitare desiderio dalla pubblicità, sono consumati nella pornografia quotidiana del mercato. Ma sta proprio qui l'inghippo perché il corpo ci parla, nei corpi ci sono tracce e segni di sofferenza e trauma: "I corpi dei ragazzi la portano impressa quella solitudine, la disabitudine alle cure e alle attenzioni – verso di loro e da parte di loro – la vedi nei loro gesti e non solo nelle parole, perché la mancanza di un flusso quotidiano di affetto rischia di diventare più tardi farsi del male e fare del male al proprio simile".

 

Il passaggio dal corpo al linguaggio appare quindi naturale in La congiura contro i giovani. A Laffi interessa, però, il linguaggio come manomissione del discorso pubblico intorno ai bambini e ai giovani. Sia il linguaggio della valutazione e delle attitudini sin dalle prime ore di vita (una sorta di biografia non autorizzata) che la comunicazione pubblica fatta di parole corrotte e moraliste sui giovani minacciati o minacciosi, sono gli effetti di una mutazione condotta dal mercato. Si tratta di una legittimazione della menzogna. Le parole degli adulti sono fuorvianti, gli esempi di vita non esistono più e tradiscono il lessico, e i giovani non possono far altro che adeguarsi alle bugie o rassegnarsi al senso di ingiustizia. O peggio, ci dice Laffi, perché il discorso collettivo sui giovani sobilla all'egoismo e all'individualismo, supponendo un futuro apocalittico per il quale bisognerà saccheggiare quello che si può prima degli altri: "il racconto cupo disinnesca la ribellione, il clima catastrofico impedisce la formazione di un desiderio di cambiamento sociale perché suggerisce la ricerca della propria salvezza come unico orizzonte di possibilità".

 

Dunque era inevitabile che srotolando, fotogramma per fotogramma, il film della "congiura contro i giovani", Laffi affrontasse il luogo promesso dell'incontro tra adulti e giovani, il luogo dello scambio e della trasmissione educativa: la scuola. Il capitolo dedicato a quest'incontro è forse il più interessante perché parte dall'urbanistica e dall'antropologia, da quei buchi neri sulla mappa cittadina che sono le scuole, luoghi pubblici ignorati e trascurati, in decadenza. La domanda che sembra attraversare questo densissimo capitolo è: come è possibile che il paese della Montessori e di Lettera a una professoressa, che ha visto le esperienze pedagogiche di Mario Lodi e Bruno Ciari, che ha visto la nascita di una nuova esperienza educativa negli anni cinquanta grazie all'Mce che ha introdotto il pensiero di John Dewey e Célestin Freinet, viva oggi il fallimento della scuola?

 

La tragedia della scuola, sospetta Laffi, sta nel fatto che sia un esperimento fallito fondato sull'assenza di emozioni; sulla negazione di movimento; sulle regole disciplinanti e costringenti dei corpi; sulla povertà degli arredi e degli strumenti didattici; sulla promessa non mantenuta di appianare le differenze di classe, uniformando gli individui; sulla forma di rappresentazione degli insegnanti tramite la quale è molto facile simulare. Non più luogo dell'incontro e dello scambio generazionale, la scuola, inoltre, subisce due mutazioni, anche queste determinate dal mercato, che la minano sia dall'interno che dall'esterno.

 

La prima, non per forza negativa, è che è cambiato completamente il modo di conoscere e apprendere, l'accesso alle conoscenze dirette che mettono in crisi le condizioni che erano alla base del modo tradizionale di fare scuola. Ma le tecniche cambiano, i mondi muoiono e ce ne faremo una ragione. La seconda mutazione, ben più grave, è che è trasformato radicalmente lo spazio extrascolastico, impoverito della sua carica educativa. Non è solo il problema che le strade, i marciapiedi e i parchi delle città sono svuotate di esperienze giovanili, ma che è depauperata la vitalità dei ragazzi anestetizzati dai consumi e dal mercato: "il vero demone di un insegnante oggi non è l'eccezionale vitalità dei ragazzi ma il muro della loro noia".
 

La congiura contro i giovani di Stefano Laffi grida lo scandalo della costruzione, studiata e programmata, di un'impotenza sociale dei giovani: questa società non prevede giovani nei ruoli lavorativi attivi, è programmata per farne a meno, al limite per consumarli. L'aspetto veramente interessante e radicale dell'analisi di Laffi è che sia capovolto il luogo comune della crisi giovanile. A essere in crisi è il mondo degli adulti che ha abdicato alla Storia, e quindi a un progresso, a una evoluzione, per sancire il primato del biologico e quindi del consumo. La società si è, di fatto, infantilizzata inseguendo il desiderio compulsivo e la dipendenza totale dagli oggetti-macchina. Il problema è che da questa dimensione del mercato non sembra esserci una forma di disobbedienza: "Il fatto è che non possiamo nemmeno avanzare la dignità delle vittime e della sofferenza, perché siamo stati risarciti: il consumo è stata la polpetta avvelenata per rinunciare alla rivolta, la conservazione è stata la meta venduta come traguardo, il benessere materiale e il godimento individuale sono stati le merci di scambio".

 

In apparenza sembra non esserci grande spazio oltre una visione profondamente e radicalmente pessimista nel libro di Laffi. Eppure è proprio da un'analisi così radicale che possono nascere alcune prefigurazioni. Sono prefigurazioni-esempi, minoritari e sparuti, di giovani che sopravvivono all'imboscata, che riescono a riemergere dalle macerie, orfani sì di una relazione, di un incontro, ma consapevoli di uscire dalla sofferenza della dipendenza del mercato. Laffi suggerisce queste prefigurazioni citando Generazioni in conflitto di Margareth Mead, il testo che osservava e studiava antropologicamente la nascita delle proteste giovanili negli Stati Uniti all'inizio degli anni sessanta: "il tema è quello del congedo dal proprio tempo, dell'impossibilità diffusa a specchiarsi nella cultura dell'epoca in cui si vive, ovvero nelle parole, nelle istituzioni, nelle scelte collettive, nella politica, nella morale in cui si trova a vivere".

 

Non possiamo non dirci "prefigurativi" dopo la lettura de La congiura contro i giovani, ed è inevitabile guardare con simpatia e sostenere tutti i tentativi necessari messi in campo dai giovani di passaggio d'epoca, di rieducazione degli adulti e di riscatto collettivo "qui e ora". Di molte cose di questa cultura in crisi degli adulti possiamo fare a meno. Possiamo fare a meno anche di Steve Jobs.

 

Pubblicato in precedenza sul numero 19 de Gli Asini

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