Una mostra a Milano / Carlo Mollino. Allusioni iperformali

26 Ottobre 2021

Il dado di Mollino. Ci sono casi in cui l’eleganza di una forma, il suo ardito svettare, oppure il sinuoso intrecciarsi di alcune sue parti è reso possibile da un dado. Così come risiede in un dado il segreto dello slancio verticale (e della grazia) delle colonne della chiesa fiorentina di San Lorenzo, opera di Brunelleschi, è racchiuso in un dado anche il magico connubio fra le parti che compongono la sedia progettata da Carlo Mollino (1905 - 1973) per Casa Albonico di Torino.

 

Carlo Mollino, sedie per casa Albonico, 1944-46. In dettaglio, il dado bronzeo che funge da giunto fra le parti lignee.


Alla Triennale di Milano è in corso la mostra Carlo Mollino. Allusioni Iperformali  (fino al 7 novembre 2021), in cui per la prima volta sono esposti al pubblico i mobili 'albonici'.

Curatore della rassegna è Marco Sammicheli, direttore del Triennale Design Museum, mentre l'allestimento si deve a Bunker arc / Carlo Gandolfi - Roberto Molteni. Il catalogo, edito da Electa, con la grafica dello svizzero Studio Norm (autore anche della nuova identità visiva di Triennale, 2019), contiene testi di Enrica Bodrato, Stefano Boeri, Luciano Bolzoni, Paine Cuadrelli, Roberto Dulio, Carlo Gandolfi, Fulvio Irace, Corrado Levi, Laura Milan, Gabriele Neri e Pier Paolo Peruccio.

Allusioni Iperformali, ha dichiarato Sammicheli, è un titolo preso a prestito da una serie di riflessioni fatte illo tempore da Gabriele Basilico e da Paolo Portoghesi intorno al lavoro di Mollino.

"Triennale con l’acquisizione di questi arredi diviene l’istituzione pubblica al mondo con la più grande collezione di Mollino", ha aggiunto con malcelato e legittimo orgoglio. 

Arricchisce la rassegna un contributo di Corrado Levi, che fu allievo di Mollino alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, e le fa da sottofondo la sonorizzazione del compositore di musica elettronica Painé Cuadrelli, docente di sound design allo IED.

 

C'è stato un vero e proprio giallo internazionale degno di Hercule Poirot dietro l'acquisizione di questi arredi da parte dello Stato Italiano, che li ha poi affidati in gestione a Triennale. 

Nell'estate del 2020, infatti, a bocce ferme per l'imperversare della pandemia che flagellava il mondo (e che purtroppo ancora non si placa), perviene all'ufficio esportazione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Milano la richiesta, apparentemente regolare e legittima, da parte di un mercante d'arte straniero, di rilascio di un attestato di libera circolazione per una suite da salotto a firma di Carlo Mollino, affinché ne venga consentito l'espatrio, diretto in Germania, ad un noto museo di design. La documentazione allegata data i pezzi tra il 1954 e il 1956. Dunque, poiché il bene culturale non risulta avere più di 70 anni, in base al Decreto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, del 17/05/2018, n° 246, esso può liberamente migrare al di fuori dei confini nazionali avvalendosi di una procedura snella e semplificata. 

 

Tuttavia, qualcuno in Soprintendenza avanza un dubbio: è davvero corretta la datazione della suite, sulla quale non esistono pubblicazioni e neppure studi? L'aspetto formale degli arredi parrebbe confutarla, anticipandola. Viene, allora, immediatamente richiesta una consulenza a Triennale e, separatamente, a Manolo De Giorgi, esperto di Mollino. Fatta una ricerca nell’Archivio Carlo Mollino (la cui costituzione si deve al suo allievo Roberto Gabetti, con Mario Federico Roggero e Carlo Brino) conservato presso il Politecnico di Torino, gli esperti certificano che le opere, fino a quel momento poco viste e mai pubblicate, risalgono, in realtà, al 1944, addirittura a dieci anni prima della data indicata nella richiesta di espatrio! Dunque ad esse, che hanno più di settant'anni, non è applicabile la procedura snella di libera circolazione richiesta, anzi, non possono proprio uscire dall'Italia, ope legis! Gli attestati così subdolamente richiesti vengono ovviamente negati e, poiché il bene era di proprietà di privati, la Direzione generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Ministero mette in atto la prevista procedura d'acquisto coattivo. La suite, ora di proprietà dello Stato Italiano, viene quindi concessa in tutela alla Direzione regionale dei Musei della Lombardia, con successivo deposito in comodato presso il Triennale Design Museum, il luogo più giusto per la conservazione, lo studio e la diffusione culturale di un oggetto di arte applicata (termine che era già nel titolo e nel programma delle prime biennali monzesi, origine delle future Triennali), di design e di alto artigianato "fatto bene".

 

Affinché il lettore, a questo punto già consapevole dell'inestimabile valore intrinseco dei mobili di Casa Albonico, si capaciti anche di quello economico, è necessario riferire che nell’ottobre 2020, pochi mesi dopo il tentato “colpo”, un solo pezzo di Mollino, un dining table datato 1950, è stato battuto all'asta da Sotheby’s per oltre 6 milioni di dollari.

Un solo pezzo! E quelli di Casa Albonico sono diciannove!

Tuttavia, anche se in questo caso c'è stato un happy and, ci sono purtroppo centinaia di opere del novecento che 'svaniscono' fuori dai confini nazionali passando attraverso le maglie troppo larghe della legge 246, così che appare sempre più urgente una sua revisione che contempli una maggiore severità in fatto di tutela di un patrimonio di grandissimo valore, accompagnata, magari, da una generosa e più lungimirante politica di acquisizioni da parte delle istituzioni preposte.

 

Triennale di Milano. Carlo Mollino. Allusioni iperformali, uno scorcio dell’allestimento.


Carlo Mollino, cabinet di Casa Albonico in cui è inserito, a mo' di cariatide, un busto di donna bronzeo, opera dello scultore Umberto Mastroianni, suo storico collaboratore, per il quale nel 1944, aveva progettato la casa studio ad Acitrezza.


Carlo Mollino disegna questi arredi nel 1944 per il soggiorno e la sala da pranzo della casa torinese di un cliente storico dello studio (che fu prima di suo padre Eugenio, poi suo), l'ingegnere Paolo Albonico. Essi constano di un tavolo, sei sedute, un cabinet, sei seggiole di servizio, un divano, due poltrone, un armadio scrittoio e un tavolo con piano a libro. A realizzarli, come molti dei mobili da lui progettati in questo periodo, è l'ebanisteria torinese Apelli e Varesio. Questa, fondata negli anni '40 da Francesco Apelli e da Lorenzo Varesio, inizialmente produceva stampi in legno per fonderie e si è poi specializzata nell'esecuzione di mobili rigorosamente fatti a mano e rifiniti a regola d'arte, esattamente come Carlo Mollino esigeva. Apelli e Varesio erano abili in modo particolare nella curvatura del compensato, per la quale avevano messo a punto una loro tecnica segreta, da cui prese vita, tra il 1949 e il 1950, il famosissimo tavolino Arabesco, forse il pezzo più noto di Mollino, da lui progettato per la casa milanese di Lisa Ponti e Luigi Licitra e poi l'incredibile tavolo ‘a vertebre’ disegnato per la Casa Editrice Lattes (1950).

 

Per le parti metalliche, l'architetto torinese si avvaleva invece della collaborazione specialistica a di Napoleone Doro, mentre gli altri falegnami da lui prediletti erano Pietro Boggetti ed anche i fratelli Severino e Giuseppe Tesio di Carmagnola. 

È importante conoscere i laboratori artigianali a cui Mollino si rivolgeva, perché anch'essi vanno ascritti alla storia dell'arte del nostro paese, quali culle di perizia esecutiva. Come è noto, il maestro torinese avversava apertamente la produzione in serie, a favore del pezzo unico manufatto. A tale proposito, nella mostra in corso al Palazzo dell'Arte è esposta una lettera da lui inviata alla Triennale nel 1950, in cui lamentava l'eccessivo interesse dell'istituzione milanese per l'industrial design:

"la piega che sta prendendo l’istituzione Triennale" scrive Mollino "non mi appartiene, voi aprite le porte al disegno industriale.”

 

E di fatto, tutti gli arredi da lui concepiti sono pezzi unici specificamente destinati ai clienti per i quali li aveva disegnati, ed era solito coinvolgere in discussioni-revisioni dei progetti gli artigiani che li dovevano realizzare. Come ha affermato Giovanni Brino: "I suoi disegni di mobili sono più documenti destinati alla discussione in bottega che non strumenti esecutivi per la riproduzione in serie."

Pier Paolo Peruccio nel suo libro recentemente edito da Quodlibet, Carlo Mollino. Design (2020), ricorda, inoltre che:

"La legacy del progetto di Carlo Mollino è anche questo: il suo lavoro di progettista di raffinate ambientazioni e di arditi arredi per le case della borghesia torinese si intreccia inevitabilmente con quello degli artigiani che hanno dato corpo alle sue intuizioni."

 

Carlo Mollino, alcuni dei suoi arredi divenuti famosissimi. In alto: Tavolino Arabesco, 1950 per la casa milanese di Lisa Ponti e Luigi Licitra, prodotto da Apelli & Varesio e, a partire dagli anni ottanta, messo in produzione da Zanotta. Scrivania in rovere e vetro progettata per l'Istituto di Cooperazione Sanitaria (ICS) di Torino, 1952. In basso: Tavolo ‘a vertebre’, 1950, creato per la casa editrice Lattes, prodotto da Apelli & Varesio. Dettaglio della struttura del tavolo Reale, 1948, messo in produzione da Zanotta.


In vita sua, Carlo Mollino, per cui l'unicità di un pezzo, fosse esso un'architettura o un arredo, costituiva un valore assolutamente irrinunciabile, non ha mai disegnato mobili da produrre in serie, ad eccezione di due occasioni, la prima quando ha partecipato, senza successo, al Concorso Garzanti, bandito nel 1943 dalla rivista Stile di Gio Ponti (i cui disegni contengono in nuce esiti di mobili che egli realizzerà in futuro come pezzi unici per suoi committenti), mentre la seconda è stata quando ha progettato una poltrona per Dino Gavina, ma anche in quel caso, le sue lettere all'imprenditore bolognese, citate nel catalogo della mostra, appaiono illuminanti sulle sue aristocratiche perplessità in merito alla serializzazione. Infatti, la produzione in serie di alcuni suoi mobili, quelli che si conoscono di più, è avvenuta quasi dieci anni dopo la sua morte, quando, a partire dal 1981 Aurelio Zanotta ne ha replicati otto nell'arco di un ventennio. Si tratta del comodino Carlino, 1938; dello specchio Milo, 1938; della poltrona Ardea, 1946; del tavolo Reale, 1948; della scrivania Cavour, 1949; del tavolino Arabesco, 1949; della poltrona Gilda, 1949 e della sedia Fenis, 1959.

 

Sarà  proprio a partire dalla creazione di quei multipli che il nome e l'opera di Carlo Mollino, fino a quel momento noti soltanto agli addetti ai lavori e ad una ristretta cerchia di persone, diventano di dominio pubblico e intorno ad essi cresce in maniera esponenziale l'interesse di studiosi e collezionisti. Si pensi che la prima monografia su di lui, la fondamentale Architettura come autobiografia, architettura, mobili ambientazioni 1928 - 1973, a cura di Giovanni Brino, è del 1985. E la prima grande mostra che gli è stata dedicata risale addirittura al 1989 (Torino, Mole Antonelliana), corredata da un catalogo (Carlo Mollino 1905 -1973, edito da Electa) con saggi determinanti per sgomberare il campo dai fraintendimenti sulla sua opera (che la volevano addirittura precorritrice del Postmodernismo di Alchimia e di Memphis!) e dai compiaciuti travisamenti della sua personalità, che già avevano preso a circolare, per il puro gusto del peccaminoso e dello scandalistico. C'era chi faceva, e purtroppo ancora fa, l'occhiolino alle sue fotografie erotiche e alle sue garçonnières; chi ne sottolineava l’interesse per l’occultismo; chi il suo essere stato un viveur, amante della notte, etc., senza studiare con onestà e intelligenza il suo immenso lavoro, al fine di comprenderne la straordinaria poetica, le eccezionali soluzioni formali, tecniche e spaziali e ancora l'irripetibilità delle sue doti di progettista dalla potente immaginazione e dal perfezionismo quasi maniacale.

 

A discapito di chi lo vorrebbe, Mollino non è mai stato un designer, è stato un architetto che ha progettato edifici pubblici e privati di rara bellezza e autenticamente originali nel panorama a lui contemporaneo ed è anche stato autore di architetture degli interni e di pezzi d’arredo. "La sua è un'idea di architettura che convintamente afferma l'unicità e l'irripetibilità dell'opera creativa", ha scritto Laura Milan. Non è questa la sede per raccontarla quella sua architettura, basti però sapere che a qualunque creazione egli attendesse, la affrontava con il medesimo impegno e la stessa accuratezza che dedicava agli interventi maggiori. 

Così ha scritto nel 1947 nel suo Architettura. Arte e tecnica:

"Architettura è un masso in piedi, una casa, un giardino, un mobile, un percorso urbanistico, un calamaio, un frontespizio di Aldo Manunzio, un tempio, una tomba, un'anfora, un utensile e così all'infinito." 

Ed anche i mobili di Casa Albonico sono architettura. 

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