Ai Weiwei. Un artista recluso

11 Maggio 2011

Circa un mese fa, il 3 aprile 2011, l’artista Ai Weiwei (il cognome è Ai) è stato arrestato dalla polizia della Repubblica Popolare Cinese. Si tratta di un evento di straordinaria importanza politica e morale. Per capirlo e per vedere come reagire nella maniera adeguata, vale la pena riflettere sulla figura di Ai, sul suo lavoro, sulle ragioni dell’arresto, sulle reazioni all’arresto stesso e su quello che si potrebbe fare in proposito nel prossimo futuro.

 

Ai è il più importante artista cinese vivente e uno dei più grandi artisti contemporanei. Figlio di un poeta, diplomato presso l’Accademia del cinema di Pechino, specializzato alla Parsons School of Design di New York, Ai opera adoperando creativamente linguaggi multipli nei più svariati campi dell’arte concettuale, della performance, dell’intervento estetico e politico. Le sue istallazioni a Kassel, Venezia, New York, Londra, Monaco, Pechino, San Paolo hanno fatto discutere la critica e hanno interessato masse incredibili di pubblico. A vederlo, Ai Weiwei appare come un omone di 53 anni dal viso sorridente, incorniciato da una strana barba, con un’aria perennemente indaffarata. In effetti, Ai ha molte ragioni per essere indaffarato. La sua arte coinvolge non solo gli spettatori ma anche un numero incredibile di attori. A Kassel, in occasione di Documenta 7 nel 2012, ha fatto arrivare 1001 cinesi, selezionati tramite un invito che appariva sul suo blog, di cui ha creato abiti, bagagli e così via, facendoli aggirare per la mostra e la città. Lo scorso anno ha riempito Tate Modern, a Londra, di un numero incredibile (100 milioni) di semi di girasole in porcellana. Questi semi di porcellana erano stati precedentemente dipinti a mano uno alla volta da 1600 lavoratori abitanti di Jingdezhen,un villaggio cinese specializzato nella lavorazione della porcellana per un lunghissimo periodo di tempo, abitanti che Ai aveva assunto e pagato per tutta la durata dell’operazione.

 

Dall’ottobre del 2009 al gennaio del 2010, a Monaco in Germania, Ai ha presentato So Sorry, una mostra indecente, in cui si mostravano le scuse di governi, industrie e compagnie transnazionali che avevano provocato danni irreparabili alla popolazione. Sulla facciata della Kunst Haus di Monaco Ai aveva piazzato allo stesso tempo l’installazione Remembering, che esibiva 9000 zainetti ammaccati e distrutti di bambini, che ricordavano quelli recuperati dopo il terremoto di qualche anno prima nel Sichuan in Cina. L'installazione era evidentemente destinata a sollevare il problema delle responsabilità economiche e politiche che spesso accompagnano tragedie del genere. La cosa, diciamolo in questo modo, non deve essere piaciuta troppo ai governanti cinesi. Come non è piaciuto molto il fatto che Ai abbia intrapreso un’indagine sistematica sulla corruzione in Cina. Così che Ai, tornato in Cina qualche tempo dopo Kassel, era stato preso dalla polizia e picchiato selvaggiamente, tanto da dovere essere ricoverato in ospedale per una emorragia cerebrale. Nonostante ciò, Ai non ha mai voluto lasciare il suo paese, e ha costruito il suo studio principale a Shanghai, in un’area appositamente destinata dall’autorità al lavoro degli artisti. Come capita in questi delicati equilibri, qualcosa però non ha funzionato. Il 3 aprile di quest’anno Ai è stato arrestato in seguito a risibili accuse di plagio, reati finanziari e abuso edilizio.

 

Ai non fa arte per ragioni esclusivamente estetiche. Lo fa per comunicare, per creare reazioni politiche e morali. In molti regimi autoritari, artisti visuali e poeti hanno questo ruolo di denunciare, per mezzo della loro opera, i misfatti del regime. Questo li ha sempre esposti a condanne e sanzioni. Nel caso di Ai, poi, questo tipo di attività “sovversiva” risulta particolarmente esplicito: egli non adopera metafore delicate e sovente usa strumenti di comunicazione digitale che poco spazio lasciano all’ambiguità estetica insita nella comunicazione analogica. Per cui, le reazioni sono particolarmente dure. E incaute. Non c’e bisogno di essere dei maghi per capire che una repressione così esplicita di un artista tanto famoso a livello internazionale non giova al governo e al partito comunista cinesi nel momento in cui il paese intende accreditarsi come leader a livello planetario, così come del resto non ha giovato la reazione scomposta all’assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Liu Xiaobo. Bisogna quindi fare qualcosa per difendere l’uomo, l’arte ma anche per far comprendere a chi li offende che non conviene farlo.

 

Finora, ci sono state molte reazioni internazionali all’arresto di Ai, a cominciare da quelle dell’Unione Europea, delle Nazioni Unite e di Human Rights Watch.. Il canale televisivo franco-tedesco “Artè” ha fatto un lungo servizio sulla sue opere, intervistando non solo colleghi e critici di Ai, ma anche politici. La BBC anche ha dato ampio spazio alla cosa, così come il Guardian e la Zeit. In Italia, invece, c’e stato un sostanziale silenzio, interrotto da Rainews 24 e da numerosi commenti sui blog. Questo silenzio non ci fa onore, e non possiamo fingere di ignorare la cosa. Ai è testimone, vittima e simbolo di un’ingiustizia sistematica che avviene in un grande paese di antichissima civiltà. Per cui, mi permetto di usare questo giornale per fare una proposta modesta e semplice. A giugno comincia la Biennale arte a Venezia, dove in passato Ai Weiwei ha esposto. Lasciamogli quest’anno uno spazio vuoto da riempire solo quando e se sarà rilasciato. E diamo a questo spazio vuoto una grande copertura mediatica. Per una volta dire che l’arte ha come fine la libertà dell’uomo non sarà solo retorica.

 

 

Doppiozero sostiene la campagna per la liberazione di Ai Weiwei.

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