«Favorisca foto del profilo e bio di Twitter»
Non sarei sorpresa se un giorno, fermata a un posto di blocco, le forze dell'ordine mi chiedessero, invece di patente e libretto, foto del profilo e bio di Twitter, ormai assurti a vero documento di riconoscimento atto a dimostrare chi sono realmente.
La bio di Twitter serve a sussumere l'essenza di un individuo in 160 caratteri, ben 20 in più dei tweet canonici, utili a donargli visibilità, dimostrare la sua competitività, mentre le immagini di profilo e copertina completano l'informazione dal punto di vista estetico. La bio di Twitter funge anche da filtro per selezionare i contenuti rilevanti generati da tool o mash-up di terze parti, compare tra i risultati dei motori di ricerca, modellando l'immagine globale che il Web ha di ciò che siamo e che facciamo.
Da quando Twitter è assurto a canale di comunicazione privilegiato di un certo tipo di expertise, si è perso il conto di articoli, tutorial, consigli sulle buone pratiche del social media, il cui fulcro del discorso è proprio la bio, considerata l'elevator pitch del personal branding, il processo di promozione del sé. I 160 caratteri devono essere finalizzati a esprimere chi siamo e perché twittiamo, Gauguin ci avrebbe fatto un dipinto, esplicitando la nostra vision personale, la nostra missione nel mondo, e le passioni che ci caratterizzano. Se proprio siamo a corto di idee su noi stessi e sui nostri hobby, possiamo rivolgerci ai generatori automatici di bio, in inglese, come twitterbiogenerator.com. Ecco la mia dopo soli tre tentativi: Evil thinker. Music aficionado. Social media guru. Analyst. Certified beer junkie. Problem solver.
Le prime due comprendevano la parola bacon e io sono pescetariana come David Duchovny. I risultati del generatore hanno come invarianti i punti fermi, il surplus di aggettivi, i riferimenti al cibo, alternati da qualifiche professionali random come social media guru, competenza che, con un po' di tempo e pazienza, potremmo ottenere tutti, basta consacrare la nostra vita sociale ai social.
Pare che i termini più gettonati nella tweetsfera, scientemente stereotipati e non, siano “coffeeholic”, “ninja”, “hacker”. Da qui si evince che i twittanti sono al limite del crollo psicofisico dovuto all'abuso di caffeina, traslato nella dedizione alle arti marziali e della mimetizzazione. Banalmente bio e immagine del profilo sono il primo impatto che un potenziale follower ha con la nostra tweet-identity: se leggerà che siamo amanti del bacon ed è un vegano convinto ci bypasserà allegramente esclamando “avanti un altro!”. Idem se nella foto profilo siamo intenti a sgranocchiare una costoletta di maiale. A parte le facili esagerazioni, ciò che si impara da twitterbiogenerator e compagni, è che i twittanti tendono ad assumere uno stile descrittivo costante, fatto di qualifiche professionali e passioni culinarie.
I tutorial sconsigliano l'uso di tecnicismi, il copia e incolla delle bio di altri siti, il profondersi in termini criptici, perché il vero valore aggiunto consta nell'esprimersi secondo i codici di forma e contenuto del social media, facendo anche attenzione alla lingua: mai optare per l'inglese se si tweetta soltanto in italiano! Aggiungere hashtag e mention alla propria descrizione, come “scrive per @doppiozero” o “studiosa di #semiotica”, serve a essere trovati più facilmente anche attraverso ricerche che non ci riguardano direttamente, la vera utilità della rete. La bio non deve essere un noioso elenco di successi professionali, ma deve abbellire il quadro complessivo, intrigare, connettere in maniera non convenzionale.
La bio serve a vendersi al meglio e perciò sembra utile incasellarsi in ruoli e attributi ben precisi che nella maggior parte dei casi suonano allo stesso modo: migliore nella falsa modestia, super genitore fiero, guru tech, fautore della dieta a base di tempeh. Essere i pubblicitari di noi stessi significa descriversi in maniera creativa e accurata, e, nei limiti del consentito, non guasta un pizzico di ottimismo e disinvoltura. L'importante è non innescare l'effetto clone.
Bisogna decidere a quale follower modello rivolgersi, scegliere una nicchia di persone con cui si hanno interessi in comune e settare lo stile discorsivo a partire da tali presupposti.
Il manifesto identitario via Twitter serve a instaurare, come direbbe Émile Benveniste, un contatto esperienziale con un tu indefinito, una quasi-persona, strictu senso, su cui proiettare una forma credibile e appetibile dell'io prescelto a rappresentarci. Bisogna definire qual è l'io che vale la pena di esporre al giudizio pubblico, quello in cui si può identificare il tu/follower, stabilendo una relazione intersoggettiva.
Il primo grande discrimine delle bio è fatto di segni di interpunzione e della presenza/assenza dei pronomi personali. Prendiamo ad esempio Hillary Clinton, la cui bio è stata definita dal Washington Post come l'exemplum da seguire: Wife, mom, grandma, women+kids advocate, FLOTUS, Senator, SecState, hair icon, pantsuit aficionado, 2016 presidential candidate. Tweets from Hillary signed –H.
Nella descrizione Hillary è cancellata sintatticamente col fine di produrre un effetto di discorso oggettivo, per poi ricomparire in qualità di sigla identificativa dell'autentica dei tweet, facendo intendere la gestione congiunta del profilo con un social media manager, elemento in comune con l'attuale presidente USA Barack Obama, di cui leggiamo un più freddo: This account is run by Organizing for Action staff. Tweets from the President are signed -bo. Clinton si pone come una non-persona assimilata alle sue funzioni, si eclissa in blocchi di etichette prefabbricate, professionali e umoristiche, rafforzando il punto di vista su se stessa. Le virgole scandiscono i termini che enumerano gli aspetti del multiforme ingegno della candidata alle presidenziali, mentre nei casi in cui si preferisce il punto fermo si esaspera l'enfasi posta sull'assorbimento goffmaniano nel ruolo, optando per una prosa vibrante e ritmica. Proviamo a leggere ad alta voce la bio di Selvaggia Lucarelli: Giornalista per Il Fatto. Scrittrice per Rizzoli. Speaker per M2o. Mamma di Leon. Molti scheletri nell'armadio, ma piegati bene.
Vi ha causato un leggero aumento delle palpitazioni cardiache? No, non è colpa della freddura degli scheletri, ma del susseguirsi di pause forzate che aggiungono solennità all'ostentazione di alto assorbimento dei ruoli.
Le forme sincopate di personalità rientrano nella prima macro-categoria di bio, mentre la seconda ha come invariante il voler entrare nella memoria dei potenziali follower suscitando la loro ilarità. Le bio ironiche sono all'insegna del nonsense e dell'auto-dissacrazione, dissimulano l'ostentazione del valore reale del twittero, che, simultaneamente, si espone e si nasconde dietro una manciata di caratteri. L'ironia sta nell'affermare il contrario di ciò che si intende, per non dare sfoggio di narcisismo, apparendo più alla mano e appetibili per i follower.
Jimmy Fallon si presenta come astrofisico, Matteo Grandi, giornalista, coltiva cipolle in una valle di lacrime, Nicola Savino ci liquida con un laconico “sciocchezze”, mentre Tom Hanks, profonde qualche parola in più, esortando i suoi follower a vivere la propria vita: I'm that actor in some of the movies you liked and some you didn't. Sometimes I'm in pretty good shape, other times I'm not. Hey, you gotta live, you know?
Hanks fa una scelta semplice e geniale, si presenta come una persona reale ammettendo di essere non sempre al top della forma, come si addice a tutti i comuni mortali, che interpella direttamente.
La più seguita al mondo, la cantante Katy Perry, si descrive con “growing...”, dimostrando che se si hanno più di 80 milioni di follower l'unica cosa che si può fare è continuare a crescere, sia nel numero di follower che professionalmente.
Se in queste due categorie di bio la componente identitaria è sovra-rappresentata, nelle altre due sembra quasi scomparire. Si tratta rispettivamente delle bio in forma di citazione erudita o pseudo tale, e non-bio, ovvero quelle che mancano del tutto, come nel caso dei coniugi Kardashian-West e del nostrano Fabio Volo, oppure in cui si danno comunicazioni di servizio del genere: Benvenuti alla pagina Twitter ufficiale di Sua Santità Papa Francesco. Vada per il Papa che non ha bisogno di presentazioni, ma di certo non è lo stesso per Fabio Volo. La storia si ripete con Cristiano Ronaldo, al tredicesimo posto dei più seguiti al mondo, di cui troviamo un'incomprensibile bio-informativa: This Privacy Policy addresses the collection and use of personal information. Segni particolari: nella foto profilo, un selfie scattato male, si vede l'acne. Tanti miliardi e un team di pubbliche relazioni a dir poco scadente. Andava meglio persino un banale “CR7, calciatore del Real Madrid”.
La non-bio sembra essere prediletta da coloro che generalmente sono considerati alla stregua di una divinità: Ronaldo è convinto di essere il nume tutelare del calcio, nonostante i palloni d'oro vadano a Leo Messi, mentre Kanye West crede davvero nella sua ieraticità, mixando rap e religione nel suo ultimo album dedicato alla vita di san Paolo apostolo. Kim Kardashian West, vive e predica da regina incontrastata delle socialite, fregiandosi solo della localizzazione “where I'm meant to be”, facendo intendere che risiede dove ha intenzione, qui e ovunque, ubiqua e multipla come solo le divinità social possono fare.
Il fil rouge empireo si ritrova anche nella bio di Beppe Grillo con “In alto i cuori”, dal latino “sursum corda”, una locuzione che ha radici ecclesiastiche, e viene tutt'oggi declamata all'inizio del Prefazio, la prima parte della preghiera eucaristica della messa cattolica. In gergo significa su col morale, espressione che userebbe un padre per confortare i figli, ruolo che Grillo sembra voler ricoprire con i suoi seguaci, anche se Mario Bordin, in un suo pezzo del 2013 su Il foglio, ha ricollegato il motto all'inno delle camicie brune. Rimanendo nel campo della retorica del pater familias, un ulteriore spunto d'analisi proviene dalla copertina, che vede in primo piano una folla adulante di pentastellati, mentre Grillo e gli altri esponenti del partito-non-partito sono ripresi di spalle, intenti ad applaudirli. Se triangoliamo questa immagine, “in alto i cuori” e la risposta dell'assemblea “sono rivolti al Signore”, l'equazione è presto fatta: Grillo sta ai suoi seguaci come il buon pastore alle sue pecorelle. Fedez come Grillo continua con l'accoppiata sostenitori più foto personale, per dimostrare che loro sono la gente e la gente è loro, in tutti i sensi.
Grillo su Twitter
Un altro amante dei punti fermi e delle presentazioni ridotte all'osso è Matteo Renzi, “Presidente del Consiglio dei Ministri. Segretario del PD”, le cui immagini di profilo e copertina risultano sicuramente più interessanti della bio.
La prima si tratta del classico scatto rubato, in cui Renzi indossa una maglietta della salute grigio melange, che urla il suo voler apparire alla mano da buon primum inter pares, così come lo dimostra il veto alla divisa per le sue guardie del corpo. Renzi, visibilmente divertito, è ritratto di tre quarti e il suo sguardo, è rivolto altrove.
Se la frontalità equivale all'io e il profilo all'egli, la posa di tre quarti combina la dinamicità dell'immagine con una distinzione di rango rispetto ai follower.
Lo scatto rubato da rotocalco cozza con l'immagine di copertina, criptica e dalla definizione qualitativamente bassa, che sembra un parato di Palazzo Chigi con tanto di monogramma a forma di R. Il rosso PD potrebbe essere l'unica traccia di identità visiva, ma a un rapido esame forse Renzi dovrebbe trovarsi un nuovo social media manager. Anche Maurizio Gasparri opta per lo scatto a sorpresa con lo sguardo non diretto in camera, anche se nel suo caso i motivi sono strutturali, e indossa una camicia bianca sbottonata da politico smart e informale. Matteo Salvini, invece, si rappresenta con il solito formato fototessera, ritoccato quel tanto che basta da farlo apparire traslucido e senza imperfezioni, però, a differenza degli altri due, ha lo sguardo fisso nell'obiettivo per interpellare i suoi follower con i proclami ad alto tasso patemico bricolati in copertina.
Maurizio Gasparri e Matteo Salvini su Twitter
La bio di Matteo Salvini balza dalla terza alla prima persona, sintomo di un bipolarismo auto-comunicativo, ed è sicuramente più particolareggiata negli incarichi rispetto a quelle dell'altro Matteo e di Gasparri.
Dalla politica passiamo allo sport, in cui vediamo l'italiano più seguito al mondo, Valentino Rossi, presentarsi in maniera corretta e coerente: ci dice che è un pilota da corsa con il numero 46 e utilizza due belle foto. L'immagine profilo lo vede in primo piano col ghigno che lo contraddistingue, mentre in copertina si evidenzia un dettaglio della vestizione da corsa, quella dei guanti, con tanto di sponsor in bella vista.
Dall'italiano più seguito ritorniamo alla più seguita al mondo, Katy Perry, che non si spreca più di tanto con le immagini dato che profilo e header sono uguali, l'importante è avere un'espressione ispirata. Poi c'è chi è un brand, come Ellen DeGeneres che utilizza come foto del profilo il logo del programma, piazzandosi in copertina, a figura intera, vicino al numero delle stagioni raggiunte dal programma.
Katy Perry su Twitter
La maggior parte opta per le immagini del profilo con il faccione in primo piano, dove le opposizioni in gioco sono: istituzionale vs finta sorpresa, comicità spinta vs ammiccamento andante. Ci sono anche casi di piano medio e figura intera, ma si tratta di fotografie più elaborate.
La copertina è spesso e volentieri creativa, su tutte dominano il collage, il paesaggio, i motivi astratti. In tutti i tipi di immagini il discrimine è semplice, bianco e nero o a colori, grazie a cui il twittero si istalla ora sul versante vintage, per affermare la sua autenticità, ora su quello flou, al fine di far proiettare il follower nella sua concezione del mondo.
Seguendo Martin Heidegger la bio è un modo dell'Esserci, considerato nella sua quotidianità, di rapportarsi al mondo, nel senso che dichiara come e quanto è assorbito dalla realtà. In 160 caratteri si cerca di attualizzare ciò che siamo, o ciò che vorremmo essere. Ed ecco che, grazie ad Heidegger, si materializza l'interrogativo fondante da porsi al momento di scrivere la bio: «Chi è colui che è nella quotidianità dell'esserci?». La risposta che ne deriva sviscera le strutture del con-essere e del con-esserci, in cui si fonda uno dei modi deputati a rappresentare l'essere-noi-stessi nel quotidiano. In altre parole, la bio consiste in una descrizione del mondo-ambiente in cui si con-incontrano gli altri esserci-follower. Non si tratta di una mera affermazione di presenza, bensì di una dichiarazione del prendersi cura del mondo condiviso con gli altri. Twitter, continuando con Heidegger, è una nube di esserci tematici, un magnete per attirare i propri simili che abitano la nicchia con cui si vuole comunicare.
L'identità del twittante è strettamente connessa a come si vede e si considera, pertanto assurge a sistema di classificazione in cui contano caratteristiche non necessariamente empiriche, ma riconosciute dalla società. Volendo andare ancora più a fondo la bio è una descrizione scientifica fondata sulla regola della pertinenza, per cui diventa rilevante enumerare le determinazioni necessarie e sufficienti a sviscerare la definizione di una persona.
Il connubio di immagini di profilo, copertina e bio vanno a comporre il documento programmatico dell'identità comunicativa di un twittante modello, che si serve di uno schema di interazione prefissato per creare un percorso comune di creazione di senso mirato a manifestare stati e status.
Insomma, non c'è bisogno di aver letto Sein und Zeit per scrivere la bio di Twitter, anche se non guasterebbe, ma dopo aver sproloquiato per n caratteri sull'immagine nella tweetsfera penso che i miei 160 siano poco interessanti... quasi quasi li cambio con quelli del generator.