Speciale
Memoria
Esco di casa, prendo il marciapiede verso destra. Posso proseguire avanzando o voltare subito a sinistra, so bene che per andare dove devo le due strade si equivalgono. Oggi ne prendo una senza neppure averla realmente scelta, poiché sto pensando ad altro, in particolare alla prossima puntata di "Prompt. Chi parla". Voglio dedicarla alla memoria. Non alla memoria di qualcosa Così non si capisce, però: dedicarla alla memoria di nessuno, proprio alla memoria come argomento in sé. In tanto, e per quanto riguarda l'avvicinarmi alla mia meta, cammino e "vado" appunto "a memoria", come si dice chiamando "memoria" una facoltà che ora mi guida senza che mi sia necessario neppure sollecitarla. Non penso alla strada, la percorro come se seguissi dei binari che però non ci sono. Evidentemente si può avere memoria senza aver davvero presente di aver memoria. Senza averne consapevolezza. Possono allora avere memoria anche esseri senza io e linguaggio? Persino gli oggetti inanimati? La balzana teoria sulla "memoria dell'acqua" di diversi anni fa è rimasta (appunto, in memoria, nella memoria collettiva) come una delle vicende più grottesche nel campo delle ipotesi scientifiche sballate. Ma adesso, e anzi da un bel pezzo, per "memoria" si intende anche qualcosa di davvero inanimato: in informatica, "ogni dispositivo per la registrazione, la conservazione e la lettura di informazioni" (Zingarelli 2025). In quel campo le capacità di memoria sono anche un indice della potenza di questi dispositivi e sotto l'AI generativa e le sue performance senza precedenti (a memoria d'uomo!) giacciono iceberg di memoria sommersa. Le loro dimensioni sono inconcepibili per l'uomo della strada che sono in questo momento, uno che sta andando dal suo barbiere lungo una strada che gli è usuale, assorto nel pensiero di queste architetture immense, impensabili e certo inabitabili. "A memoria" passo da marciapiedi, schivo monopattini, volto angoli, aspetto il verde dei semafori, sempre assorbito in quel pensiero.
Una volta si diceva che "le scarpe" conoscevano la via di casa. Era una figura retorica, una metonimia (le scarpe per colui che le indossa); è invece letterale dire che a conoscere la strada di casa fosse la Cavalla storna pascoliana ("adagio seguitasti la tua via"). La memoria che attribuiamo per figura a oggetti inanimati come le scarpe e in senso proprio ad alcuni animali, come la cavallina, è una memoria di ripetizione. Si deposita in abitudine, abito mentale, sino all'automatismo e ci consente di dare attenzione a qualcosa mentre compiamo qualche funzione molto abituale: parlare mentre guidiamo, seguire un programma televisivo mentre cuciniamo (o viceversa), elaborare pensieri mentre voltiamo l'ultimo angolo come faccio io per trovarmi di fronte alla bottega del mio barbiere. Che è chiusa.
Ne resto sorpreso. Ora a immergersi sotto la linea della mia attenzione è il pensiero della rubrica da scrivere sulla memoria mentre torna in primo piano quello del da farsi. Mi torna in mente, chissà come, che mi hanno parlato di un altro salone, non deve essere molto lontano da qua. Ne ricordo il nome, quindi grazie allo smartphone trovo l'indirizzo e chiedo il percorso a un navigatore, che infatti mi suggerisce più percorsi, informandomi su quanto ci metterei ad arrivare per ognuno di essi. Ancora una volta la mia consapevolezza non è minimamente impegnata: la memoria artificiale del software in qualche modo "sa" e mi guida.
Ma poi cosa ne so io, della memoria? Una cosa che so è che Harald Weinrich (1927-2022) è stato un grande linguista e filologo e in un suo saggio ha considerato le numerosissime metafore che gli esseri umani hanno riferito alla memoria e le ha spartite in due categorie: la memoria come magazzino e la memoria come tavoletta di cera.
"Magazzini" sono: la biblioteca, l'enciclopedia, l'archivio, il "bagaglio culturale", il repertorio. Persino le strade che percorro, guidato dalla mia memoria inconsapevole o da quella di Google Maps, sono, esse stesse, un magazzino di memoria, coi loro nomi legati alla storia della città e della nazione. I magazzini di memoria più aggiornati oggi sono database e dataset. "Tavolette" sono invece: la lavagna, il bloc notes, la fotografia, la televisione, la schermata. Il tablet riprende persino il nome dell'antico dispositivo su cui era possibile incidere con lo stilo parole e poi cancellarle per il riuso.
Mentre vado a farmi tagliare i capelli sto pensando che nei confronti dei modelli di AI generativa rischiamo di vedere la tavoletta e trascurare il magazzino. Siamo incantati dalle risposte che otteniamo grazie alle nostre sollecitazioni e continuiamo a rinnovare le nostre "domande" presi come siamo da quella che appare una conversazione. Una conversazione quantomai inedita con un oracolo che si mostra – a differenza di tutti i suoi antenati sacrali e pomposi – del tutto alla mano, paziente come mai nessun altro e totalmente disinteressato a ottenere contropartite sacrificali da noi. Possiamo chiedergli di tutto, e lui risponde ogni volta, ogni volta gratis, ogni volta pulendo e ripulendo la "tavoletta". Ma se può farlo (ma non "sa" davvero di saperlo fare anche se può dire come lo fa) è perché si rivolge a un dataset, il magazzino che fornisce il materiale da riversare sulla tavoletta. Nel caso dell'Intelligenza Artificiale il magazzino senza tavoletta è inerte, morto, la tavoletta senza magazzino è vuota. Però facciamo attenzione a quello a cui le parole ci fanno pensare senza dircelo. Artificiale? Virtuale? Il magazzino non si è formato da solo e non è affatto immateriale. Testi linguistici e visivi, dati di ogni tipo vi sono stati immessi ed etichettati da addetti umani – soldatini della Natura arruolati nelle truppe dell'Artificio – e la conservazione materiale di questi dispositivi ha costi ecologici non indifferenti, calcolati in termini di emissioni di anidride carbonica.
Sin dall'antichità (e anzi soprattutto nell'antichità) gli esseri umani hanno inventato sistemi di memoria artificiale per sostenere la memoria naturale e sopperire alle sue fallacie: si ricostituisce volontariamente una sensazione per richiamare un ricordo (mnemagogia: il fazzoletto intinto nel profumo della persona amata), si costruisce un sistema mentale per fissare una serie di ricordi (mnemotecnica: nodo al fazzoletto; filastrocche; percorsi di memoria), si costruisce un oggetto fisico o un dispositivo per conservare una serie di ricordi (teatro di memoria, memorandum, hard disk). Quest'ultima è la mnemotecnologia, di cui database e dataset sono la variante estrema.

Sento che sto arrivando se non alla meta della barberia a un punto saliente del mio ragionamento. Mi ricordo, sì, mi ricordo di un esame dato all'Università a proposito delle mnemotecniche antiche, lo studio dei cui mille dettagli stava per distrarmi dalla più banale delle osservazioni: nessuno di questi sistemi sostituisce la memoria naturale. Tutto quello che può fare è integrarla o alleviarle il compito. La filastrocca mi dice quanti dì ha novembre, con april, giugno e settembre. Ma perché la memoria artificiale della filastrocca mi aiuti a ricordare il numero dei giorni di ogni mese, la mia memoria naturale deve ricordare la filastrocca, con l'ausilio della sua cantilena rimata. La rubrica del telefono mi solleva dall'onere di mandare a memoria tutti i numeri di telefono a me utili ma per consultarla devo ricordarmi il modo in cui vi ho immesso gli utenti corrispondenti (per nome, per cognome, nomignolo, grado di parentela, carica, funzione...). Non mi ricordo mai la sequenza con cui nell'alfabeto a 21 lettere vanno inseriti i cinque caratteri meno usuali in italiano: prima la K o la J? La X o la Y? Adotto quindi la frase "JFK was sexy" dove compaiono nell'ordine giusto: j k w h y. Ma mi devo ricordare la frase stessa e poi i due punti (tra I e L e tra V e Z) in cui inserire le lettere che completano l'alfabeto.
La memoria individuale e naturale, quella personale di ognuno di noi, ha modi di funzionare molto diversi. Non sempre ha a che fare con "dati". Il dato è un'unità formata, un oggetto in sé compiuto, come una premessa già accertata in una catena di ragionamenti. La memoria naturale modifica, perde, enfatizza, connette, inventa ricordi secondo modalità che vanno dalla costruzione logica alla libera associazione. La memoria naturale è governata dai processi psichici che mettono in comunicazione conscio e preconscio. Si richiama un ricordo che si sa di avere: è l'anamnesi. Si richiama un ricordo soltanto parziale cercando di ricostruire le parti non immediatamente disponibili: è la reminiscenza. Si ha una sensazione che richiama un ricordo (che si sa o non si sa di avere): è la memoria involontaria, magnificata da Marcel Proust nel suo capolavoro. Si parla o agisce ripetendo formule e gesti abituali: è la memoria automatica, quella delle poesie e delle preghiere imparate da bambini (magari senza conoscerne il senso) e quella "delle mie scarpe" che mi portano dal barbiere per la strada nota.
Le forme di memoria artificiale lavorano invece sui dati che vi sono stati immessi e li elaborano sempre in risposta a sollecitazioni, comandi, prompt. Potrebbe forse essere altrimenti? Mentre la memoria umana è alimentata dall'esperienza sensoriale e cognitiva quella tecnologica dei dataset prevede un'immissione di dati, che avviene con criteri nient'affatto neutri: è insomma una memoria predisposta e funziona secondo una logica di tipo probabilistico.
Una persona completamente priva di memoria naturale non potrebbe giovarsi di alcuna mnemotecnica e neppure di alcuna mnemotecnologia. Nessuna mnemotecnologia può del resto cominciare a esistere e mettersi a funzionare senza la sollecitazione di un essere dotato di memoria naturale: a monte di qualsiasi catena di automatismi ci deve essere stato un progetto e un'attività umana.
Ho fatto tutta questa strada per accorgermi che il punto sta nell'interazione tra esseri umani e macchine? Come con il navigatore: lui sa dove sono, io so dove voglio andare, lui sa come arrivarci ma cammino io. È lui che somiglia a un bravo navigatore da rally che dà indicazioni al pilota, troppo intento nella guida veloce per pensare alla strada? O è il pilota che assomiglia a una macchina, agendo e azionando i comandi dell'automobile con i suoi gesti a una velocità che non consente una progettazione mentale?
Mentre annoto mentalmente quest'ultimo pensiero, sperando che la memoria non mi tradisca, il navigatore mi dice che sono arrivato. È chiusa anche quest'altra bottega. Sulla saracinesca abbassata, un avviso dice che è il giorno del grande sciopero nazionale dei barbieri. Non me lo ricordavo.
Umberto Eco, "La somiglianza mnemotecnica", in I limiti dell'interpretazione, Bompiani, Milano 1990.
U.E., "Mnemotecniche e rebus", Guaraldi, Rimini 2013.
Niccolò Monti, Prompting. Poetiche e politiche dell'Intelligenza Artificiale, Tlon, Roma 2025.
Harald Weinrich, "Metaphora memoriae" [1976], in Metafore e menzogna. La serenità dell'arte, Il Mulino 1983.
Frances A. Yates, L'arte della memoria, [1966] trad. it di Albano Biondi, Einaudi, 1972.
Prompt, Chi parla? Voci raccolte da Stefano Bartezzaghi, speciale in collaborazione con MAgIA, Magazine Intelligenza Artificiale. Leggi la rivista qui.
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