Contenuti

7 Aprile 2025

Dovremmo esserne contenti, o almeno, come si dice, accontentarcene: tra quanto può essere generato dall'AI ci sono racconti, "fotografie", "pitture", sceneggiature, probabilmente e anzi senz'altro musiche. L'AI insomma non sarebbe soltanto generativa ma persino creativa e la differenza non è da poco quando si consideri che "generare" è il modo con cui gli esseri umani si sono riprodotti da sempre, mentre "creare" è prerogativa divina o comunque metafisica. Dal poter generare a poter creare non è una promozione di poco conto. 

Ma siamo proprio sicuri dell'esistenza di una creatività artificiale? Qui ne riparleremo presto ma intanto va registrata l'opinione di un collega entusiasta e soprattutto la sua motivazione. Sì, dice lui, la AI è creativa, tanto è vero che è già in grado di fornire una quantità di contenuti originali. Lasciamo perdere ora la quantità, e l'obeso rallegrarsene; ma accantoniamo anche l'originalità, altro problema certamente non dappoco e di grande pertinenza in questo contesto. Soffermiamoci per una volta sui "contenuti".

Al singolare e al plurale la parola ha avuto moltissimi impieghi diversi. Negli anni Settanta per "contenuti" si intendevano argomenti di grande rilevanza sociale e politica, il corrispettivo sul piano dei discorsi di quello che rappresentava l'"impegno" nei confronti dei soggetti. Una persona "impegnata" faceva discorsi "coi contenuti". L'alternativa ai contenuti era la vuotaggine dei discorsi e dei testi spensierati e dunque frivoli. 

Nella lingua comune ma anche nei gerghi tecnici della comunicazione oggi per contenuto si intende testo veicolato da un supporto. Si dice: "il contenuto" di un'email. Si dice che la piattaforma, un palinsesto, un sistema di comunicazione ha "contenuti" e questo uso è un'estensione del significato originario. Come la biancheria è il contenuto di un sacco o l'acqua il contenuto di una borraccia, come le valigie sono il contenuto dei bagagliai e indumenti ed oggetti personali sono il contenuto delle valigie, come la stiva contiene container che contengono contenitori che contengono merci, così materiali testuali vari costituiscono il contenuto offerto da social network, piattaforme di streaming, eccetera. E nei curriculum gli autori si fanno chiamare "content creator" e se ne fanno contenti – tanto per ricordare che nella contentezza c'è anche etimologicamente questo senso di riempimento, forse sazietà. Contento è chi è contenuto, chi si trattiene entro certi limiti, e non chiede di più, assicura il dizionario etimologico di Cortelazzo e Zolli (Zanichelli).

Sarebbe fatuo meravigliarsi, e strumentale protestare, a proposito del fatto che le stesse parole hanno usi e significati diversi anche in discipline prossime. Nello stesso ambito di studi della comunicazione, per esempio, agisce la semiotica, che per contenuto intende qualcosa di diverso. In sé il caso è del tutto comune e pressoché trascurabile. Altri esempi nei paraggi: per "figura" si può intendere un'immagine o anche una parola (la "figura" retorica), per "comunicazione " si intende un fenomeno culturale o un fenomeno fisico (la comunicazione del movimento da una boccia all'altra sul tavolo da biliardo) e via dicendo. 

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In semiotica quello del contenuto è uno dei due piani che si trovano fra loro in relazione, essendo l'altro il piano dell'espressione. Una lingua o altro sistema di significazione associa espressioni e contenuti, come il cartello con la scritta "Vietato fumare" o il disegno di una sigaretta sopra cui passa una barra (sul piano dell'espressione) e il divieto medesimo (sul piano del contenuto). Vediamo dunque che nel caso di contenuto non si tratta di semplice polisemia. Quella dei "content creator" non è soltanto un'accezione variante del contenuto dei semiotici: ne è l'esatto opposto, poiché l'AI generativa non fornisce affatto contenuti (nel senso semiotico): provvede soltanto espressioni. Quel che chiamiamo "contenuto" è la materia dell'espressione che riempie il vuoto – per esempio l'inchiostro virtuale dei caratteri che si riversano nella schermata.  Ma se c'è qualcosa che ChatGPT proprio non fornisce è il contenuto semantico: siamo noi a riconoscerlo e andrà sottolineato che nella sua tipologia dei modi con cui produciamo segni Umberto Eco ha messo al primo posto proprio il "riconoscimento", in cui il produttore e il destinatario coincidono. L'orma della preda non è un segno, sino a che non c'è un cacciatore che la individua e riconosce. Il puntino rosso esantematico non è un sintomo o segno di alcunché se la madre dell'infante non se ne insospettisce e non lo denuncia a un medico. La ricetta del budino fornita da ChatGPT non è che una sequenza probabilistica (richiesta da un prompt per iniziativa umana) sino a che qualcuno non la legge, e magari la mette in opera e la assaggia. Nel caso del riconoscimento a produrre il segno, in quanto segno fornito di espressione e contenuto, è chi lo interpreta, non chi lo ha materialmente generato.

Ora, senza un rapporto tra i piani dell'espressione e del contenuto non c'è segno e non c'è lingua. Per la macchina, le parole non hanno senso: sono soltanto disposte in una sequenza verosimile. Sono come le mosse di una partita di scacchi, non si riferiscono ad alcunché di esterno. Lo pseudodiscorso di ChatGPM è costruito come un "cadavere squisito", quel gioco surrealista in cui ognuno scrive una parola all'insaputa degli altri e alla fine risulta una sequenza come "Il cadavere squisito berrà il vino novello". Il meccanismo è simile ma l'intento è opposto, perché tanto il gioco surrealista mirava all'implausibilità tanto l'algoritmo statistico mira alla plausibilità. Ma è una plausibilità ottenuta soltanto attraverso il montaggio statisticamente sorvegliato dell'espressione. Sono "contenuti", questi, che riempiono spazi modulari, caselline da annerire, blocchi di materia riversata in uno stampo. Possono essere creativi? Certo dipende da cosa si intenda per creatività. 

All'epoca in cui i contenuti erano il mito della seriosità sessantottina l'"impegno" personale traduceva il francese "engagement". L'intellettuale doveva essere "engagé".

Oggi i contenuti sono i prodotti di un processo di generazione testuale fondato su plausibilità statistica (e il "contenuto" semantico glielo darà l'utente, se vorrà); parallelamente per "engagement", ma in inglese, si intende il "grado di coinvolgimento degli utenti in un particolare contenuto, misurato attraverso il numero di interazioni, like, ecc.".

Non è che l'inizio, continuiamo a cliccare.

Prompt, Chi parla? Voci raccolte da Stefano Bartezzaghi, speciale in collaborazione con MAgIA, Magazine Intelligenza Artificiale. Leggi la rivista qui.

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