Se gli abiti potessero parlare
Memorabile Ipermoda è la prima esposizione della social moda, vale a dire di capi e accessori realizzati per essere visualizzati e condivisi attivando uno sguardo aptico.
La sensibilità curatoriale di Maria Luisa Frisa ha previsto una serie di stazioni localizzate al MAXXI di Roma fino al 23 marzo 2025, popolate dagli oggetti di moda esperiti dai più solo attraverso i display degli smartphone, capaci di far provare meraviglia prima – direbbe Cartesio – di renderci conto se potremo mai indossarli. La meraviglia, scrive Felix Thürlemann, è una passione senza contrario perché sorge prima di essere connotata negativamente o positivamente. Gli oggetti di moda memorabili sorprendono unicamente per la loro esistenza poiché eccezionali e rari, fenomeni plurali estesi nel tempo e nello spazio. Qui emerge la connessione tra l’ipermoda e gli iperoggetti di Timothy Morton, ibridi generati da scritture estese e sincretiche, la cui viscosità ingloba corpi, forme di vita, e spazi di fruizione. Il tratto comune è dunque il prefisso hyper-, che indica un eccesso, il superamento della norma, esplicitando non solo un rapporto di derivazione diretta con l’iperbole, la figura retorica dell'esagerazione, ma anche un legame con lo slang hype che identifica il clamore associato agli oggetti di moda memorabili della contemporaneità. Similmente all’opera dadaista analizzata da Walter Benjamin, anche l’hype “accade addosso” in un continuo shock del nuovo, reiterato all’infinito dai concatenamenti delle tendenze social mediali.
L’ipermoda attira la nostra attenzione pigiando a tavoletta su surrealismo e provocazione, però stando attenta a mantenere gli accadimenti nel rassicurante frame del consumo stereotipato – i red carpet, le sfilate – resi virali sfruttando un flusso di interazioni basato sull’unione di esperienze collettive e identità personali. La pervasività dell’hype(r) moda sta nella sua capacità di mimetizzarsi con i testi spontanei dei social media in un’azione permanente di quanto ho definito marketing camouflage, ossia la mimetizzazione dello stunt pubblicitario d’effetto nelle anse delle interazioni quotidiane tra utenti.
I discorsi sull’ipermoda memorabile sono un intreccio di linguaggi e percezioni, come dimostrano gli schermi disseminati tra le stazioni della mostra, dove i contenuti scorrono incessantemente in loop: TikTok, frammenti audiovisivi e persino l’episodio dei Simpson che ho analizzato qui. Ogni elemento è parte di un mosaico che non si limita a essere guardato, ma si amplifica, si espande, si vive. Perfino la colonna sonora o mood guide – una playlist Spotify accessibile tramite QR code – proietta lo spettatore in una dimensione aumentata, multigenere e multimodale.
La moda è un sentire travolgente, proprio come cantano i Depeche Mode in “I Feel You” (tra i brani della playlist): una scossa che porta gioia, scuote la mente e trascina verso un altrove dove regna l’oblio. Nell’ipermoda l’oblio non è negazione del ricordo, ma trasformazione: una sospensione del sé originario che lascia spazio al nuovo, a un’identità plasmata dall’esperienza estetica. La Moda, in questo senso, è rito e metamorfosi: ciò che viene percepito non resta mai com’era perché, dopo averla sentita, la Moda riscrive tutto, dentro e fuori. Un abito può trasformare chi lo indossa, mutandone la maschera o, al contrario, svelando ciò che si nasconde sotto di essa. È il doppio gioco che emerge in altri brani della playlist come “Gucci Flip Flops” di Bhad Bhabie feat. Lil Yachty e “Guess” di Charli XCX, dove i vestiti diventano dichiarazioni, talvolta ostentazioni. I capi memorabili, in particolare, hanno questa forza: sembrano altro da sé, spingendo chi li indossa e chi li osserva in una narrazione che ridefinisce apparenza e identità, tra rivelazione e simulazione. I manufatti memorabili spesso sembrano altro da sé: una pochette-piccione, un abito da sera davanti gonna e dietro pantalone, un capospalla cuore, una busta della spesa che ambisce a essere una scultura…
Tra gli oggetti epici esposti al MAXXI vorrei soffermarmi sulle creazioni di Virgil Abloh, che meglio restituiscono la duplicità dell’essere e sembrare, soprattutto per la loro connotazione di testimonianza dell’opera di un designer prematuramente scomparso. Il design di Abloh si basa sul sampling, una tecnica mutuata dalla musica, dove frammenti di opere precedenti vengono estratti e ricontestualizzati per generare nuovi significati. In questo caso, il campionamento diventa una metafora del nostro tempo: una creolizzazione dell’incompatibile, dove alta moda e streetwear convivono, rompendo i confini tradizionali. Un processo di contaminazione che prevede un bricolage dell'esistente, in cui concorre una certa propensione alla modularità, alla libertà di configurare, simile al modus operandi IKEA dove, oltretutto, i nomi degli oggetti di consumo fungono da toponimi relativi a una cultura glocalizzata.
La borsa “Sculpture” realizzata da Abloh per IKEA nel 2019 raggiunge finalmente il posizionamento ideale in una teca museale, dimostrando che basta un’etichetta per ammantarsi dell’aura di opera d’arte. Facciamo attenzione alle virgolette che inglobano la parola sculpture: sono il segno grafico dell’estetica del riassemblaggio di Abloh perché, in qualità di segni di interpunzione, non solo servono a circoscrivere una citazione, il titolo di un’opera o la firma del suo autore, come hanno ampiamente dimostrato Man Ray e Sonia Delaunay, ma anche ad aprire un discorso diretto. La borsa IKEA – quella “comune” – assurge a mito del consumo, a oggetto che sopravvive in un flusso di significati quotidianamente riscritto dalle persone che la utilizzano. Abloh ha avuto la grande capacità di individuare gli oggetti simbolici del presente e per testare la pervasività dell’hype, soprattutto con beni di scarso valore, quasi “insignificanti”.
L’ipermoda si nutre di citazioni, di innesti reticolari tra alta moda, streetwear e identità globali, come dimostrano altri due lavori di Abloh esposti al MAXXI, i piumini realizzati in qualità di direttore creativo Louis Vuitton per la collezione maschile Autunno/Inverno 2021, a loro volta sculture indossabili su cui sono riprodotte miniature tridimensionali degli skyline iconici di Parigi e New York. Qui emerge l’Abloh architetto, che lega il sentire ai sensi, ma anche all’appartenenza geografica, per cui lo stare al mondo corrisponde al “sentire sulle spalle” il peso della propria cultura. Abloh, che sarebbe scomparso a dicembre 2021, rappresenta la categoria turista vs purista, dove il primo è curioso ma si lascia trasportare dall’hype, mentre il secondo ha una competenza esperta e sarebbe capace di individuare il grattacielo del John Hancock Center di Chicago fare capolino nella skyline di New York. Chicago è il luogo natio di Abloh e in questa collezione dal titolo Ebonics fa il punto sull’afrodiscendenza nell’era della diaspora globalizzata: lavorare tra Parigi e New York, ma essere portatore di un heritage complesso e doloroso. Come fare a non far perdere il potenziale sovversivo agli oggetti simbolici delle subculture, trasformati in beni di lusso? Abloh combatte questa decadenza congelando e reinventando i significanti attraverso il linguaggio dell’hype e del social media, dove ogni capo vive nell’attitudine, la narrazione personale.
È un’estetica del post-capitalismo avanzato, dove l’abito diventa una scultura sociale e il corpo un palcoscenico che trasporta significati oltre il visibile, sconfinando nel memorabile.
Memorabile Ipermoda, 27 Novembre 2024 > 23 Marzo 2025, MAXXI.