Intervista a Andy Warhol

11 Dicembre 2012

Pubblichiamo qui un estratto dell’ultimo numero di Riga, dedicato a Andy Warhol, a cura di Elio Grazioli.

 

 


          
L’orrore per i resti
. Nancy Blake intervista Andy Warhol

 

 

Può dirci qualcosa delle sue opere recenti?

Ho fatto una dozzina di mostre in Europa, in Francia, in Inghilterra e in Italia.

 

In che cosa sono diversi i suoi quadri recenti dalle altre sue opere?

Oh, faccio sempre la stessa cosa, sono la stessa robaccia.

 

Nel suo libro (La filosofia di Andy Warhol da A a B e viceversa) parla molto del lavoro.

È la cosa che preferisco più di tutte.

 

Il lavoro è un valore per lei?

Sì. E poi mi impedisce di pensare ad altro. Oggi si dice che bisogna trovare il tempo per divertirsi. Io non sono d’accordo. Vorrei che si lavorasse di più. Sferruzzare di più, roba del genere.

 

Qualsiasi cosa fa lo stesso?

Sì, è lo stesso.

 

Come si può definire il lavoro?

Fare delle cose per gli altri. Poi loro fanno cose per noi e così via.

 

Nel suo libro parla del lavoro dei travestiti.

Sì, certo. Trovo che è estremamente stupido travestirsi, ma bisogna ammettere che lavorano moltissimo. Lavorano ad essere dei ragazzi, e poi ad essere delle ragazze, e poi a essere le due cose insieme. Per fare tutto questo ci vuole un gran lavoro.

 

Secondo lei è lo sforzo a dare valore alle cose?

Sì. Ma trovo che le ragazze sono più carine. Allora chi si traveste perde del gran tempo, ma che lo faccia dandosi questo gran daffare è un lavoro.

 

Se un’attività produce piacere, è ancora lavoro?

Per quel che mi riguarda trovo che se non ci piace fare qualcosa, dobbiamo farlo lo stesso.

 

E se ci piace farla, è sempre lavoro?        

Sì, è sempre lavoro.

 

Lei ha anche parlato dei rapporti sessuali come di un lavoro.

È vero. Prima di tutto perché il sesso è obbligatorio. Dunque è un lavoro. E poi è un’attività. Bisogna sprecarci dell’energia. E questo è lavoro.

 

E chi è frigido?

È l’ideale, perché non ci pensa. Lo fa ed è tutto. Il dispendio di energia è minimo.

 

Esistono dei tipi di lavoro che sono più validi di altri?

No, è tutto lo stesso. Penso che fare la donna di servizio sia il lavoro più eccitante.

 

Perché?

Perché si fanno un sacco di cose senza incontrare mai nessuno.

 

Il prodotto del lavoro è importante?

No. Quello che conta è il lavoro. C’è chi fabbrica oggetti e altri che sono degli oggetti. Sono le star. Ma tutto è oggetto. Allora è forse meglio produrre un oggetto, perché ci sono tante persone che non sopportano di essere degli oggetti. Esplodono.

 

Allora, se si produce si evita di pensare che siamo oggetti?

Sì, ma ci si sbaglia. E non è il prodotto che importa, è l’attività. Bisogna tenersi occupati. Quello che conta è il lavoro, il risultato non è niente.

 

Ma lei non è obbligato a produrre?

Io sono fatto alla vecchia maniera. È veramente il mio problema, sa? L’etica protestante. Se potessi fare a meno dei prodotti, sarebbe l’ideale. Ma oggi, per semplificare, ci vogliono un sacco di soldi.

 

Andy Warhol. Fotografia di Pierre Houles

 

Lei insiste spesso sul suo orrore per i resti. Dice che alla sua morte le piacerebbe sparire senza lasciare traccia.

Quando si dorme, non si sa di dormire. D’altra parte detesto lo spreco. Nel libro parlo del “cibo d’occasione”. Quello che la gente non mangia al ristorante andrebbe rivenduto in un altro ristorante.

 

Perché niente resti?

Si deve utilizzare tutto. Ma se qualcosa può sparire senza lasciare traccia è affascinante. È per questo che adoro i gangster. È bello essere dei gangster perché si può sparire veramente.

 

Ha parlato anche della sua predilezione per gli spazi vuoti.

Perché è più semplice. E poi mi piace la campagna, che è piuttosto vuota.

 

Le piace la campagna, o le piace l’idea della campagna?

Entrambe le cose. Mi piace il vuoto. Se cadesse una bomba, sarebbe carino. Quando una ragazza si sposa e cambia nome sparisce?

 

Certo. E quando si cambia paese anche.

È vero.

 

Ci vuole commentare questa idea della “Business Art”?

È molto semplice. Volevo dire che oggi se qualcuno ha successo, deve occuparsi dei propri affari. Oggi le star sono tutte dei gestori di se stessi. Prima c’era della gente che si occupava di questo, ora bisogna fare tutto da sé. È così anche in arte. L’arte è un business. Prima bisogna farla e poi si sta ad aspettare che la gente investa nei vostri affari. Infine, se il successo vi arride, bisogna gestirlo.

 

Gli artisti oggi sono diversi dall’immagine tradizionale dell’artista?

Be’, non penso molto spesso ai problemi degli artisti. Penso soprattutto alla gente che fa il cinema. I cineasti sono i veri artisti.

 

Ma lei è conosciuto come artista. Le dà fastidio?

Io sono fatto alla vecchia maniera, gliel’ho detto. Ma ora facciamo anche dei film.

 

Il fatto che i suoi quadri siano esposti nei musei le fa qualche impressione?

Oh, non ci penso mai.

 

E i grandi pittori, ha un pittore che preferisce?

Veramente mi piacciono tutti. Walt Disney è il mio preferito.

 

Quali sono i suoi rapporti con l’ambiente artistico? Qual è il suo posto in questo ambiente?

Non ci penso mai. Preferisco le chiacchiere della gente. Sa, la gente fa il suo lavoro e non ha tempo di pensare a queste cose. Non ci si dice che si avrà un posto nel mondo dell’arte. Capita per conto suo.

 

Capita?

Sì, è così. Non si può mai far capitare le cose.

 

Forse potremmo parlare di questa accusa di misantropia che le si rinfaccia spesso.

Oh, non è vero. Quando eravamo a Roma, volevamo lanciare il nostro ultimo film e quelli della pubblicità hanno deciso di dire un sacco di cose di questo genere per vendere. Allora hanno detto che detestavo le donne, ma non è vero.

 

Vive ancora con sua madre?

Mia madre è andata in cielo. Ma è vero che vivevo con lei. Ora vivo con il mio cane. E anche lui vive con un altro cane, dunque fanno due.

 

Pensa che sia preferibile vivere con la propria madre?

Ma sì. In effetti la mia idea era quella di avere una casa dove le persone di una stessa famiglia vivessero insieme ma ciascuno nel proprio appartamento. Ci vorrebbe una di quelle meravigliose torri che costruiscono qui, e delle famiglie molto grandi. Quando si abita un condominio, non si vedono mai i vicini. Si potrebbe avere la madre e il padre accanto e non vederli mai. Sarebbe carino. Soltanto sapere che sono lì.

 

Nel suo libro dice che la gravidanza le sembra una cosa anacronistica. Che non capisce come la gente possa desiderare di riprodursi oggi.

Se si potesse essere sicuri di nascere con la camicia, allora forse varrebbe la pena. Ma se non si può avere tutto, non vale la pena essere nati. Non è così straordinario. Salvo naturalmente se si diventa molto belli e ricchi.

 

Ma questo non lo si sa quando si nasce.

Ma i medici lo sanno. Sanno se il bambino sarà maschio o femmina, allora devono sapere anche se diventerà bello. Sarebbe meraviglioso avere un bambino solo se gli si può garantire tutto: la ricchezza, la bellezza, il successo.

 

Si parla spesso di perversione quando si tratta di definire il suo lavoro.

La perversione, secondo me, è l’omicidio. Le persone che si ammazzano tra loro, questo è perverso. Non mi piace questo genere di cose: fare del male agli altri. Per il resto alla perversione non ci penso mai. Non conosco gente perversa. Lei ne conosce?

 

 

In “Art Press”, n. 9, luglio 1977. Traduzione di Elio Grazioli.

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