Lorenzo Bartolini, neoclassico romantico
Il Museo d’Arte di Fondazione Rovati dedica una mostra alla “bellezza relativa” che anima le sculture di Lorenzo Bartolini (Il volto e l’allegoria. Sculture di Lorenzo Bartolini, a cura di Carlo Sisi, fino al 16 febbraio 2025). Fece scalpore il modello gobbo che il 4 maggio 1840 Bartolini portò all’Accademia di Belle Arti di Firenze per gli esercizi di copia dal vero. La Stele del Gobbo eretta da Bartolini nel suo giardino in memoria dell’evento, ora alla Galleria d’Arte Moderna di Firenze, reca una scritta graffita in corsivo: «La lezione del 1840 /Tutta la Natura è bella/ Relativa al soggetto da trattare».
Neoclassicismo e Romanticismo si compenetrano, o “filtrano” (espressione di Sisi) l’uno nell’altro, anche se al “bello ideale” del Neoclassicismo Bartolini oppone il “bello naturale”, che traduce in opere come l’Ammostatore del 1842-44 conservato presso la Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia. In una lettera che potrebbe essere considerata un manifesto estetico, inviata nel 1844 all’amico Paolo Tosio, Pietro Giordani descrive la scultura: «è uno stupore degli artisti: i quali ben sanno quanto difficile sia e raro il rappresentare con sì piena evidenza un vero, e tal vero sì finalmente scelto e studiato; di un garzonetto di circa 12 anni, delicato e verecondo al possibile; tutto intento (e un pochetto affaticato) nell’opera di ammostare». Nelle sculture di Bartolini la difformità e l’irregolarità della natura dialoga sommessamente con la misura e l’ordine compositivo. Nell’allegoria della Carità, che apre la mostra allestita al piano nobile dell’edificio, la torsione non convenzionale della gamba del bambino, allusione plastica al suo essere riottoso all’imperativo educativo della madre, introduce una trasgressione formale che conferisce naturalezza e vivacità alla composizione.
Questa concezione del “bello naturale” o “relativo” nasce in seno al Purismo, di cui Bartolini è l’esponente di spicco, un movimento artistico romantico che antepone allo studio dell’antico i cosiddetti pittori primitivi italiani (da Cimabue al primo Raffaello). L’ideale è Pietro Perugino, maestro di Raffaello, che l’Aretino definisce «Divino in venustà» in un sonetto del 1533. Nella sezione dedicata all’allegoria è esposta una copia della Madonna del Granduca di Raffaello, eseguita da Antonio Meucci nel 1805 circa.
Nella lettera che il “divino” avrebbe indirizzato all’amico Castiglione (pare invece che la lettera sia stata scritta dallo stesso Castiglione nel 1522) si trova il riferimento al metodo del pittore basato sull’utilizzo di modelli diversi, allo scopo di sintetizzare una bellezza ideale di stampo neoplatonico, ma nelle figure di Raffaello pulsa anche una forza trattenuta e ingentilita, che conserva alcuni tratti di quella prorompente del mondo antico. L’impulso vitale è tradotto in un moto gentile, educato, che per certi aspetti ritroviamo anche nell’opera di Bartolini, ma convertito nel bon ton della Restaurazione, in un galateo che rispecchia la società di quel tempo. La bellezza può essere tratta da un gobbo, o da una ragazzina del popolo accucciata, alla quale Bartolini s’ispira per il monumento domestico Fiducia in Dio, purché non ci sia riscatto sociale.
Nella Firenze moderata governata dal Granduca di Toscana al tempo della Restaurazione trionfa la “bellezza relativa” di Bartolini, una “bellezza naturale”, da non confondere con il “vero”, «parola che dopo il 1848 [dopo i moti rivoluzionari contro i regimi assolutisti in Europa] inizia a far tremare», spiega Sisi. La sua puntuale lettura critica delle opere è completata dalla ricostruzione del loro contesto sociale e culturale, nel quale svolge un ruolo importante il salotto, luogo di incontro, conversazione e pettegolezzo mondano.
Nella sezione della mostra dedicata al volto, che ospita cinque ritratti femminili a mezzo busto “in conversazione” tra loro, si può osservare come le acconciature delle signore siano accuratamente studiate allo scopo di farsi notare. Le pettinature fissate da pettini o da spille formano un sistema di segni, come lo sono il portamento, i gesti e l’abbigliamento. Quanto questi dettagli fossero considerati significativi è testimoniato dal fatto che nell’atelier di Bartolini lavorava un assistente che si dedicava esclusivamente alla lavorazione delle capigliature. Il carattere del soggetto veniva definito non solo dalla sua fisionomia, ma anche dal posto che occupava nella società, selezionando «gli aspetti ritenuti più consoni alle concezioni di ordine, di cultura, di convenienza, di gerarchia di valori che erano divenuti peculiari della civiltà della Restaurazione.» (Carlo Sisi, Il volto e l’allegoria, in Id. (a cura di), Il volto e l’allegoria. Sculture di Lorenzo Bartolini, catalogo della mostra, pp. 13-14). In questi ritratti la ricerca del carattere molto deve anche alla letteratura: «Candide nel pallore, candide nel rossore, pallide nel bruno bramoso; gracili e forti, alte o poche nella persona, ardite fattezze o tenere; di città, di campagna; sull’erta, sul pendio della vita; da’ suoi spregiate o dilette; beate di povertà monda o afflitte di grave ricchezza; in Dio raccolte, di lui non curanti […]» scrive Niccolò Tommaseo nel suo romanzo Fede e bellezza (pubblicato a Venezia nel 1840), che ebbe una certa popolarità. Moda, scultura, letteratura e teatro (ogni sera Bartolini andava a teatro) partecipano a un sincretismo delle arti, che nell’Italia della Restaurazione assume valore etico, come documenta la Carità che nutre ed educa. Di questa scultura si possono ammirare anche il modello e un calco in gesso esposti nella sezione dedicata all’allegoria. Nella stessa sala è in mostra anche un’altra scultura in gesso: Amore, ispirata alle opere di Desiderio da Settignano, una veduta dello studio di Bartolini (anonimo, matita su cartoncino), una veduta dell’interno della sala a Palazzo Pitti con la Carità educatrice (Domenico Caligo, olio su tela) e la Madonna con Bambino di Antonio Meucci (olio su tavola).
Nel sincretismo delle arti ottocentesco, il bello “naturale” o “relativo” si coniuga con il “bello sepolcrale” da ammirare nel corso delle visite ai cimiteri campestri, luoghi di serenità e conforto (Philippe Ariès, L’uomo e la morte dal medioevo a oggi, Laterza, Bari 1985, p. 617), ma anche da “leggere” nel corso delle visite ai chiostri dove sono raccolte iscrizioni lapidarie.
Nell’opera dello scultore toscano il naturalismo neoquattrocentesco s’inserisce nel Romanticismo con soluzioni formali che evidenziano la varietà della Natura, allo scopo di mettere in scena valori etici, come nella Carità dove una ciocca di capelli scompone la pettinatura e la veste cade sulla spalla: allegoria di un governo filantropico impegnato nel faticoso compito materno di nutrire ed educare. Altre allegorie realizzate da Bartolini, come il Timore materno o l’Amore paterno (non in mostra), concorrono a propagare una visione della società guidata da un governo di famiglia, quello del granduca di Toscana al tempo della Restaurazione, prima che la categoria estetica del “vero” sostituisca quella del “bello relativo” di Bartolini, la cui retorica plastica e scultorea è rinforzata da una psicologia degli affetti e dal sentimentalismo che caratterizza la temperie romantica.
La scultura si fonde così con la politica, con la letteratura, con il teatro, con il costume sociale e con la moda, diventando un oggetto culturale complesso. L’interesse per l’opera plastica e scultorea di Bartolini non è solo storico. Il contesto espositivo (il Museo d’Arte di Fondazione Luigi Rovati), dove l’arte antica incontra quella contemporanea conferendo all’Ottocento in mostra «un aspetto astratto e concettuale», mette in luce l’attualità dell’opera dello scultore toscano, che è discorso politico per immagini, estensione plastica di un costume sociale, intrattenimento mondano e psicologia degli affetti. Il volto e l’allegoria. Sculture di Lorenzo Bartolini è una mostra che è possibile leggere anche come critica a quella parte dell’arte contemporanea che interpreta in modo didascalico le urgenze del nostro tempo appiattendosi sulla cronaca. Un invito a considerare l’opera d’arte come un oggetto culturale complesso, che comunica in modo immediato e sintetico.
In copertina, Il volto e l’allegoria. Sculture di Lorenzo Bartolini, veduta della sala dedicata al volto. Foto Daniele Portanome.