Maternità / Brenda Navarro, Case vuote
“Non ho mai voluto essere madre, essere madre è il peggior capriccio che possa venire in mente a una donna.”
Brenda Navarro è nata nel 1982 in Messico, dove si è laureata in Sociologia ed Economia femminista, ha poi conseguito un master a Barcellona sugli Studi di genere e nel 2016 ha fondato un gruppo di donne che promuove la scrittura femminile dal nome #EnjambreLiterario. Si occupa perciò da sempre di donne, femminismo, della difesa di certi inalienabili diritti, soprattutto del racconto di questi. Nessuna storia esiste finché non viene raccontata. Navarro, mi pare di capire, pensa che la donna debba raccontare, debba essere raccontata come raramente è stato fatto, debba poter dire l’indicibile. E certe volte l’indicibile è la meraviglia, altre è il dolore profondo. I personaggi che immagina devono cambiare il punto di vista di capitolo in capitolo. Nessuna donna è uguale all’altra, nessuna voce si somiglia. Ogni storia ha sempre due lati, in mezzo c’è una corda; una donna tira da un lato, un’altra molla dall’altro, poi ricomincia a tirare. Non avevo mai sentito parlare di Brenda Navarro finché non mi è stato recapitato il suo romanzo Case Vuote (Giulio Perrone Editore, 2019, traduzione di Carlotta Aulisio). Mi hanno colpito il titolo e l’immagine in copertina: un abito bianco appeso a una gruccia per le spalline, sull’abito delle macchie rosse, che come il sangue che schizza si allontanano dall’abito e si spargono sull’altro rosso più chiaro che rappresenta il colore di fondo di tutta la copertina. Ho cominciato a leggerlo subito.
“Il mio futuro se l’è portato via Daniel.”
Il libro comincia con la sparizione di Daniel, un bambino autistico. Sta giocando al parco, in Messico, sua madre è poco distante, è distratta dal cellulare che controlla ossessivamente. Alza gli occhi e il bambino non c’è più, sparito. A nulla serviranno le ricerche, le attese, le rinunce. Daniel non comparirà più, non in quella casa, non in quella famiglia, non tra le braccia di sua madre, che – da narratrice di una parte della storia (nel romanzo ne troveremo due) – si definirà: “Un imbroglio di madre. La madre che non aveva visto”. Le storie dentro questo romanzo hanno come incipit una sparizione, ma in quell’incipit si intravede già molto altro di quello che Navarro vuole dirci. Un bambino sparisce e da quel momento, come ci si potrebbe invece aspettare, scompare anche come personaggio principale. Non è il protagonista nemmeno per un momento, è solamente la scintilla che fa scoccare il racconto.
“Respira. Togliti la terra di dosso. Resisti. Alzati. Respira. Ma a che serve?”
Il libro ha due voci ed è strutturato su piani narrativi abbastanza diversi. La prima narratrice è la madre di Daniel, il suo racconto procede per frammenti, piccoli paragrafi, come se la donna fosse costretta a fermarsi, per ripensare, per ricordare, per essere precisa, per provare a tenere insieme gli elementi del suo personale disastro, suo e della sua famiglia, ma la colpevole è lei. Un matrimonio per molto tempo felice con Fran, la vita in Spagna e poi in Messico. La figlia della sorella di Fran in affido a loro, per via della tragica scomparsa della madre, il viaggio verso il Messico con la figlia in affido e con Daniel piccolo di due mesi. Una madre di due bambini in un colpo solo, madre che non ne ha mai desiderati, madre che comunque ama. La sua è una famiglia colta, che non ha problemi economici, tutto pare procedere, eppure arriva la noia, un amante, Vladimir, che viene e va. Sono i suoi messaggi che la narratrice aspetta mentre suo figlio sparisce. Da quel momento si sentirà la donna che ha perso suo figlio mentre sperava che il suo amante non la lasciasse. Sarà vuota, disperata, inadeguata, ancorata al passato, una sorta di fantasma. Il ritratto dell’infelicità.
“Io i figli li volevo da Rafael”
A pagina 33 scopriamo la seconda narratrice e un bambino di nome Leonel, autistico. La seconda narratrice è colei che ha caricato quel giorno il bambino su un taxi e lo ha portato via. La disperazione ha tante facce. La seconda donna narra in un altro modo, più concitato, non ci sono paragrafi ma capitoli unici senza spazi. La seconda donna va di corsa. Ha portato via Daniel/Leonel ma non si sente in colpa, voleva un figlio più di ogni altra cosa. Non sapendo che fare un giorno ne ha preso uno al parco. Sta da tempo con Rafael, un uomo violento, spiantato, che la lascia e la riprende, la maltratta. Dai suoi familiari è considerata quella un po’ strana, perfino sua madre le sta distante. Cerca di capire Leonel ma non sa che fare, nessuno sa come fare. Rafael, che è orribile, le dà della matta, le chiede dei soldi, la abbandona. La donna ricostruisce la sua storia, cosa l’abbia portata quel giorno in quel parco. Non è mai il caso, siamo noi che ci disponiamo alla casualità, perché casuali e causali siamo.
“E mi lasciava così, senza possibilità di replica e se ne andava. Io restavo lì con la rabbia che mi rodeva lo stomaco e guardavo gli altri andare alle posadas, e Leonel che balbettava non si sa cosa e io sola, sempre sola.”
Le due narrazioni procedono alternate. Entrambe le donne fanno avanti e indietro nel tempo, lasciando venire fuori il passato, entrambe non vedono il futuro, non possono.
Brenda Navarro ha scritto un romanzo per nulla scontato, che tratta i temi della maternità e della perdita senza retorica, facendo davvero pochi sconti. Una donna non vuole essere madre ma lo diventa, una vuole un figlio ad ogni costo, ne ruba uno. Nessuna delle due riuscirà a essere felice nemmeno per un istante, la vita è una faccenda complicata.
“Ho sempre saputo che non ero io ad abitare il mio corpo, ridotto ormai a un involucro, una specie di cortile deserto in cui si sente solo l’eco dei rumori della città. La casa vuota, lugubre e disabitata la cui struttura però si ostina a resistere.”
La scrittrice messicana ha un grande talento per il ritmo, davvero bisogna fermarsi ogni tanto per riprendersi o per rileggere un passaggio, ammirati.
La madre di Daniel precipita ogni giorno di più nel vuoto, in un buco profondo che sembra trascinarla al centro della terra. La madre (perché così si sente) di Leonel crede di colmare un vuoto, eppure il buco da cui tenta di risalire la risucchia, la riporta giù, dopo averle negato tutto, le sottrae il resto.
Navarro ha scritto un libro sulla disperazione e sull’inadeguatezza, un libro del nostro tempo. I contesti sociali ci condizionano, ci indirizzano, ci fanno compiere scelte molto spesso sbagliate. Le donne di Case vuote ci commuovono. Come l’autrice, non giudichiamo ma le accompagniamo e vorremmo aiutarle entrambe. Le case vuote sono i loro corpi, le loro esistenze fatte a pezzi, le loro vite malcapitate.